Recensione: “Paradox” (2016) di Massimo Spiga

Ezio AmadiniParadoxRoma, oggi. La vita di borgata di Perla, adolescente randagia, si trascina fra le rovine di una famiglia disastrata e una suburra popolata da spacciatori, tossici e criminali di piccolo cabotaggio. L’unica nota di colore in questa periferia cronica e in bianco e nero è il barbone Tao – un mistico che vede cose che la feccia del quartiere non può capire. Per esempio il Cubo, un fenomeno alieno che appare di tanto in tanto nel cielo livido della città. Ma quell’impossibile geometria è l’avanguardia di qualcosa d’altro. Il Cubo deflagra contro la borgata, devastandola, e libera le due entità intrappolate al suo interno: il feroce e inarrestabile Giallo, e D, il Gatto dei Portali. La loro lotta, intrappolata in un loop temporale infinito, è solo la propaggine di una guerra universale fra potenze cosmiche impossibili anche solo da immaginare. Perla, imprigionata nel cronoclisma scatenato dal Cubo, si troverà a combattere per la salvezza della sua famiglia, del suo quartiere e, forse, dell’intero universo…

Titolo: Paradox | Autore: Massimo Spiga | Editore: Acheron Books | Copertina di Alberto Ponticelli | ISBN: 9788899216511 | Prezzo: 13€ (carta) / 4,50€ (eBook) | Pagine: 307

La prima cosa che viene in mente leggendo Paradox è che non è un romanzo dedicato al lettore medio di SF italiano o anglosassone.

È un romanzo complesso, costruito su una trama semplice e poco originale, dove la complessità sta fondamentalmente nella semantica e nei numerosissimi riferimenti. Forse volutamente, nella prima delle quattro parti il lettore è messo alla prova, con ben cinque capitoli nei quali, oltre a non succedere sostanzialmente nulla, l’autore descrive, senza condannarlo, un degradato ambiente simil-Scampia in cui violenza, droga, alcol e criminalità la fanno da padroni. In questo contesto avviene l’incontro tra la piccola Perla e il misterioso vagabondo Tao, una specie di profeta visionario che, oltre a svelarle il segreto del Cubo, riesce ad affascinarla con il suo delirio semantico.

Il racconto è caratterizzato da un turpiloquio inserito, oltre che nei dialoghi, dove può avere un senso, anche nella narrazione fatta in terza persona; turpiloquio del tutto gratuito che nulla aggiunge al romanzo in termini di modernità o attualità e che, anzi, stona con il linguaggio particolarmente erudito e ricercato successivamente adottato dall’autore. Se si supera la prova e non si abbandona il libro (cosa che io stesso sono stato fortemente tentato di fare), ci si avventura in una storia abbastanza movimentata, in cui la giovane protagonista sembra essere l’unica detentrice di una seppur minima morale. La tematica di fondo, di ispirazione Joyceiana, è che non esiste scampo dalla distruzione operata dal Male e dai suoi onnipresenti agenti e che, forse, solo dopo di essa si può sperare di ricostruire una società umana fondata su valori moralmente solidi: è tuttavia necessario ricordare che l’Opera di James Joyce è stata realizzata nella profonda angoscia dell’imminente conflitto mondiale, per cui ci si domanda quanto cupa sia la visione del futuro di Massimo Spiga.

Il testo di Joyce cui l’autore si riferisce nel romanzo è Finnegans Wake, sicuramente la più rivoluzionaria e astrusa Opera del grande Maestro del ‘900, in cui tutto accade in un sogno e ogni singola parola è accuratamente scelta, smontata e ricomposta nella più estrema applicazione della tecnica del flusso di coscienza.

Tecnica che Massimo Spiga ha voluto parzialmente applicare nella sua opera, con un discreto successo, specialmente nelle prime due parti.

Il romanzo racconta la storia, estremamente drammatica, di due personaggi molto particolari che si incontrano e che, insieme, dovranno lottare per la loro sopravvivenza.

Il primo è la giovane Perla, ragazza cresciuta in mezzo alla strada, dove ha imparato a considerare normali (e quindi accettabili) lo spaccio di droga e il furto (ma non la violenza) e che, tuttavia, legge il Finnegans Wake come terapia anti stress. Ragazza forte, capace di badare ai fratelli e al padre alcolizzato, che affronta gli eventi con grande coraggio e determinazione.

Il secondo personaggio è il signor D, un inquietante Viaggiatore nel Tempo ispirato al Doctor Who, ma assolutamente privo della sua morale. Cinico, violento, capace di uccidere con piacere, finisce incidentalmente nel Tempo e nello Spazio occupati da Perla, mentre è impegnato in una titanica lotta contro un altro Viaggiatore suo nemico, chiamato Aeris e detto il Giallo, cinico e spietato agente del Male.

Da quel momento la narrazione si arricchisce di una trama, che viene via via svelata in maniera sempre più esplicita (come probabile atto di pietà verso il lettore) e di una certa dose di azione, a momenti anche avvincente e sempre ben descritta. Non mancano espliciti riferimenti al 1968, ai gravissimi fatti del G8 di Genova, nonché alla fatidica marcia su Roma del 1922 e alla Repubblica di Vichy, riferimenti, a mio avviso, forzatamente incastonati nella narrazione al solo scopo di rivelare, con una certa enfasi, l’orientamento politico e lo spirito antifascista dell’autore.

Non volendo qui raccontare la trama dell’Opera, concludo osservando che Paradox, più che un romanzo di fantascienza, appare come un esercizio letterario in cui una quantità notevole di spunti, personaggi, situazioni e immagini, presi da una lunga serie di opere letterarie, musicali, cinematografiche e televisive (citate in coda dallo stesso autore) sono stati mescolati insieme per costruire una storia fortemente drammatica, densa di autocompiacimento culturale e priva di un reale interesse verso il lettore medio.

Ezio Amadini

FotoL’AUTORE

Massimo Spiga (Cagliari, 1983) scrive sceneggiature per fumetto, romanzi, racconti brevi, articoli sulla narrativa pop ed, in generale, qualsiasi cosa gli permetta di commentare la società in cui vive tramite la parola scritta.