Recensione: “Il nastro di Sanchez” (2017) di Giovanna Repetto

Fabio Cartail-nastro-di-sanchezLa vita di Marco non era esattamente piena di soddisfazioni. La fidanzata l’aveva mollato, il motorino glielo avevano bruciato, il computer non dava più segni di vita. E il lavoro, quello di dog sitter, non è che offrisse molte prospettive. Sarebbe stato normale, per uno come Marco, sognare una vita diversa. Ma nel modo in cui la sognava Marco non c’era molto di normale: su un altro mondo, un mondo alieno, con un altro nome, e soprattutto con un paio di ali con cui librarsi nel cielo.

Ma il sogno non poteva durare per sempre. Prima o poi sarebbe arrivato il momento della scelta, avrebbe dovuto decidere se tornare per sempre sulla Terra o restare là, in quell’altro posto. E rinunciare anche alle poche cose davvero belle che la vita gli aveva offerto.

Titolo: Il nastro di Sanchez | Autore: Giovanna Repetto | Anno: 2017 | Collana: Odissea Digital Fantascienza n°34 | ISBN: 9788825401936 | Formato: ebook | Prezzo: 2,99€ | Pagine: 285

Lo ammetto, prendendo in mano la copia de “Il nastro di Sanchez” pensavo di andare a leggere un romanzo per così dire incompleto, grezzo, certamente di qualità ma inevitabilmente approssimativo. In fondo, mi dicevo, era un romanzo arrivato in finale all’Urania, quindi con dei numeri, ma non abbastanza per vincere il premio.

Questo il pregiudizio con cui ho cominciato la lettura, un pregiudizio che ha trovato un’immediata conferma quando, dopo essermi sorpreso e divertito con un repentino tuffo in una realtà planetaria aliena e fiabesca, quasi fosse uscita da un ibrido tra “La storia infinita” e la più ingenua delle space opera della golden age, capisco di dover alternare questa stimolante lettura con un’ambientazione che sprofonda improvvisamente in Italia, anzi in un’italietta tra le peggiori: piccola, impersonale e stereotipata nelle sue nevrotiche bassezze. L’alternanza ha da subito una frequenza insolitamente alta, tanto che ogni volta si passa da una scena all’altra nel giro di un paio di pagine, al massimo.

Il ritmo del romanzo è, quindi, molto alto; e lo è per quanto inizialmente l’alternanza nella lettura sia priva di un’azione vera e propria, incentrata com’è solo tra la descrizione della misteriosa realtà del pianeta Tequiero, tutto da scoprire, intriso di peculiarità naturali colorate quanto assurde, e le vicende legate alla vita grottesca – al limite dell’improbabile – dell’alter ego Marco, proiezione terrestre, ma sarebbe meglio dire “fantozziana”, di Halcon, il nostro eroe alieno.

A legare queste due personalità così lontane, eppure così vicine, è proprio il nastro di Sanchez, un rivoluzionario principio della fisica (metafisica, patafisica?) che riesce a unire le potenzialità di una nuova disciplina telepatica, strutturata come una vera scienza, e la proiezione mentale della propria impronta genetica. Una proiezione che permette, praticamente, la reincarnazione della mente umana in un nuovo corpo rinato all’uopo a distanze galattiche e la possibilità, durante la fase embrionale di questa reincarnazione, di vivere contemporaneamente due vite.

La storia si svolge sullo sfondo di questo dittico interplanetario, tra i livori di una vita terrestre banale e spersonalizzata, tra personaggi come attori “caretteristi” loro malgrado, macchiette di uomini e donne così meschini, sbiaditi e irreali da far impallidire i cliché delle fiction più dozzinali e, per contrasto e contrappasso, i paesaggi da favola del pianeta Tequiero, in cui i particolari bucolici dell’ambiente sono ripetuti con frequenza costante in una narrazione che è melodia, una zufolata che pare uscire dalla siringa dello stesso dio Pan. Ah, quante volte specchierete la vostra meraviglia nel sorgere scintillante della Terza Luna. Diverrà quasi un appuntamento, pagina dopo pagina.

Nel più puro stile dell’intrattenimento seriale, quasi che ogni cambio di scena equivalga a una puntata, si va avanti a leggere voracemente perché si vogliono scoprire i dettagli dell’ambientazione, si vogliono scoprire i molti perché dietro al funzionamento del nastro di Sanchez, si vogliono enucleare i meccanismi di questa nuova società e svelare i misteri dietro a ogni storia portata come dote dai vari personaggi reincarnati sul lontano pianeta. In questa progressione, raccontata come ho detto con uno stile e un ritmo che riempiono di meraviglia, con termini ricercati e inusuali suonati con abilità, la storia terrestre assume, per buona parte del romanzo, quasi il misero ruolo di interludio. Una serie di scenette simpatiche, nulla di più, che serve a staccare da un evento e l’altro della “vera” trama.

Tuttavia anche sulla prosaica Terra “italiota” scoviamo perle di stile: il riferimento al francese che non è certo il frutto di un facile snobismo, ma è un malinconico richiamo a lingue, tempi e usi del passato, a passatempi più eleganti (l’ascolto di musica fine a se stesso) e a giorni in cui la cultura umanistica dava lavoro e metteva al bando i tecnicismi delle specializzazioni (tra l’altro proprio nella narrazione non compare nessun termine veramente tecnico). Ma, oltre a questo, della vita dell’eroe di casa nostra non resta granché da dire.

Povero Marco, veramente… personalmente amo i cani, e mi sono divertito a rivedere nella quotidianità del nostro sconclusionato dogsitter tutte le tenerezze del mio piccolo meticcio. Ma può bastare questo a reggere il confronto con la reincarnazione in un corpo dotato di ali?

Ebbene sì, ali. Su Tequiero gli eletti tra i reincarnati hanno ricevuto dall’ispanico Mentore, signore, bioingegnere e letteralmente creatore della fauna umana del suddetto paradiso alieno, un bel paio di ali membranose, sul cui utilizzo l’autrice si dilunga, anche qui, in ripetuti quanto piacevoli momenti descrittivi. SPOILER ALERT: ha così importanza il volo su Tequiero da essere ragione di vita e di scelta, quasi una summa filosofica, ipostasi della beatitudine della vita aliena, tanto che persino l’amore devoto di un cane arriva a sublimarsi e successivamente a concretarsi in una mascotte con un bel paio di ali (come si chiamava il cane di Superman? Krypto, vero?).

Continuo a leggere, ipnotizzato dal ritmo dell’alternanza da cui ormai non mi aspetto che succeda nulla, se non una nuova alba della Terza Luna o un’altra disavventura per quel povero sfigato di Marco. Improvvisamente, invece, ecco comparire il cattivo di turno. Il suo è in effetti un ingresso tardivo e inaspettato – quasi indesiderato, oserei dire – nella rassicurante ripetizione del romanzo, dove non si sentiva la mancanza di un tale villain da due soldi. La nemesi di Mentore è infatti un mitomane, narcisista e sadico come nella migliore tradizione, ma in fondo è un cialtrone, un poveraccio che si pavoneggia con le sue ali posticce alla Icaro – un trabiccolo a metà tra un ornitottero e un deltaplano – capace di rappresentare una minaccia coi suoi gavettoni velenosi solo perché i potenti guerrieri alati di Tequiero, alla prova dei fatti, si rivelano essere degli “emo” ipersensibili veramente troppo facili alle lacrime. Come avrete capito, come lettore ho reagito male all’ingresso di questo personaggio.

Già la sposa promessa di Halcon, la sacra meretrice sumera Paloma/Ishtar, mi era parsa un personaggio mancato e una ninfomane fastidiosa; superflua come superflue sono, per esempio, molte scene erotiche ne “Il trono di spade”. Le sue performance, come tra l’altro la promiscuità bisessuale di Mentore, parlano di una concupiscenza meramente ornamentale, che non racconta nulla, spesso completamente fine a se stessa.

Tuttavia se Paloma resta a “fare tappezzeria” per tutto il romanzo (tolto un cameo finale di action hollywoodiano-babilonese) così non è per Horacio/Nergal. A proposito, non trovate anche voi ci sia un’inquietante consonanza tra il nome Nergal con quello di un altro famoso cattivo esageratamente istrionico, ovvero l’odiato Negan di The Walking Dead?

Ma per quanto esagerato e ridicolo, Nergal serve, ci serve, eccome. Serve a rinnovare il ritmo della narrazione che, finito lo “spiegone” del background propinatoci abilmente a centellini, ormai pulsa bramando il colpo di scena finale: un evento risolutivo che si fiuta incombere in ogni pagina. Svelato il segreto del pianeta Tequiero, alla narrazione non resta che uno stra-classico scontro tra buoni e cattivi per spingere allo sprint finale della lettura. Banale e noioso? Assolutamente no, fidatevi. Come sempre, la Repetto gioca con le parole per farvi gustare un finale in ultima analisi ampiamente prevedibile, ma che, come nell’epilogo di ogni bella storia, è in grado di regalare una grande soddisfazione. Dispiace forse per il modo con cui viene liquidato l’amore terrestre del nostro eroe… ma non temete, poiché a consolarlo su Tequiero arriverà, come ho detto, il suo fido Krypto. E poi la speranza è l’ultima a morire.

In ultima analisi quella di Giovanna Repetto è una fantascienza atipica, particolare, che – lo ripeto – mi ha reso da subito diffidente ma che al contempo ha saputo catturarmi. Per la bellezza e la pulizia dello stile, per l’abilità nell’alternanza delle scene, per il giusto utilizzo di personaggi dallo spessore e la credibilità variabili, pedine messe sempre al posto giusto e al momento giusto. Ma soprattutto, il romanzo della Repetto merita per la meraviglia del pianeta da lei immaginato, un pianeta che, a dispetto dell’anonima toponomastica, mi è rimasto impresso nella mente.

E se leggerete “Il nastro di Sanchez” alla fine vorrete, come me, avere la possibilità anche voi di volare alla luce della Terza Luna, e di scegliere di vivere in una bella favola aliena.

Fabio Carta

L’AUTORE

Giovanna Repetto, nata a Genova e residente a Roma, è psicologa e psicoterapeuta. È redattrice della storica rivista letteraria online Il Paradiso degli Orchi  fin dalla sua fondazione. Ha pubblicato per Moby Dick i romanzi La banda di Boscobruno (1999, premio Selezione Bancarellino), Palude, abbracciami! (2000, premio Navile Città di Bologna). La gente immobiliare (2002) e Cartoline da Marsiglia (2004), e per Gargoyle L’alibi della vittima (2014). Col romanzo Il nastro di Sanchez è arrivata in finale al Premio Urania.