Recensione: “I gioielli di Aptor” (The Jewels of Aptor, 1968) di Samuel R.Delany

Antonio IppolitoI Giaoielli di AptorQuesto romanzo si svolge tra una quindicina di secoli, in un lontano futuro che vede profondamente trasformate la Terra e le sue creature. La religione presenta sotto forma di rito e di magia i ricordi della scienza del passato; sono sorte nuove razze di uomini e di mostri che danno forma concreta agli antichi incubi dell’umanità. Un’ostilità ereditaria domina tra la sinistra isola di Aptor e il paese civile di Leptar, e al servizio di Leptar s’imbarca uno strano terzetto, composto dal poeta Geo, dal gigantesco e rissoso Urson e da un giovane mutante telepatico. La loro missione: penetrare nel Tempio di Hama, in Aptor, e rubare un prezioso gioiello alla statua del dio. Gli ostacoli? Gli ostacoli sono appunto quelli che compongono la storia raccontata da Delany. Una storia piena di scorci fantastici, di strana bellezza e di orrori che hanno il loro lato luminoso, fino alla conclusione che dà a tutta la narrazione una più alta dimensione poetica.

Titolo: I gioielli di Aptor | Titolo originale: The Jewels of Aptor, 1968 | Autore: Samuel R.Delany | Edizioni italiane del romanzo: 1973 Fantacollana 1, (Editrice Nord) – 1979 I Grandi della Fantascienza 8, (Editrice Il Picchio) – 1981 Nelle pieghe del tempo – I gioielli di Aptor Raccolta “Spazio 2000” 20, (Editrice Il Picchio) | Per tutte le edizioni del romanzo clicca QUI

L’esordio di Delany, a 19 anni, è travolgente (anche tenendo conto che il romanzo come lo leggiamo ora fu rivisto nel ’68): l’autore si mostra già capace di trascendere i generi letterari, utilizzando un genere e rispettandone forma, contenuti, convenzioni (in questo caso il fantasy; in Stella imperiale, la space opera; e così via), ma caricandolo di altri contenuti, di senso critico, di ricchezza stilistica, fino a trascendere i limiti del genere.

Si tratta di uno dei primi esempi di science-fantasy ambientato in un mondo post-atomico, dove il tempo passato ha fatto perdere qualunque cognizione scientifica ai discendenti dei superstiti; la narrazione rispetta quindi le regole della verosimiglianza, senza vera e propria magia, ma i personaggi sono pittoreschi come in un heroic fantasy. Lo stesso tipo di ambiente che sarà usato da Terry Brooks nella Spada di Shannara, o nel fumetto Kamandi di Jack Kirby. Anche la struttura della storia è quella della classica “Quest” fantasy, dove un’eterogenea compagnia (un poeta, immancabile nei romanzi di Delany..; un forzuto; un emarginato telepate) si imbarca alla ricerca dei leggendari Gioielli.

Ma in un romanzo di Delany, l’ambiguità regna in ogni paragrafo: cosa sono davvero i gioielli? Davvero qualcuno sta cercando di impedire loro di recuperarli?

La misteriosa terra di Aptor è davvero un covo di mostri, sede del culto del malvagio dio Hama, come si vocifera? O è stata la sede di una civiltà rinata dalle ceneri della precedente, solo per perir ancora più rapidamente tra le fiamme atomiche? E se invece fosse l’ultima roccaforte dei guardiani della civiltà? E l’uomo è poi solo sulla Terra?

THJWLSFPTR1971Perché la bianca dea Argo, che si oppone a Hama, non è unica? Ed è davvero così benigna?

Il primo problema dei nostri eroi, dopo la sopravvivenza immediata, è capire che cosa stanno cercando, e perché, e chi li abbia davvero incaricati.

Tutta questa ambiguità farebbe certamente perdere la testa a un fan di Terry Brooks; ma Delany è uno scrittore che ha rispetto per il lettore: dopo averlo stupito e abbagliato, lo prende per mano e riprende una solida narrazione, oltre a dare tutte le chiavi per capire ciò che non era chiaro subito.

Come lo stile di Delany è ricco di metafore, così la trama è ricca di invenzioni, che sfruttano a fondo il tema delle trappole lasciate da una civiltà abbandonate. Indimenticabile la traversata della “Città di Buona Speranza”, dai mostri particolarmente insidiosi, addirittura in forma liquida, e dalla ancor più insidiosa radioattività; solo in un racconto di Delany il protagonista può rimanere irrimediabilmente mutilato ben prima della fine.. si tratta del suo amore per i “diversi”, sempre portatori di verità.

L’apertura mentale dell’autore si vede in questo scambio iniziale tra allieva e maestro:

“voglio sapere le ragioni! Voglio sapere la ragione per cui inchiodarono quell’uomo alla croce di quercia. Voglio sapere perché gli fecero una cosa del genere”. “buona domanda.. il che mi fa pensare: più o meno nella stessa epoca in cui lo stavano inchiodando alla croce, in Cina fu deciso che le forze dell’Universo dovevano essere rappresentate da un cerchio, mezzo bianco, mezzo nero. Per ricordare a sé stessi, comunque, che non esiste nessuna forza pura, nessuna unica e sola ragione, misero un punto di vernice bianca nella metà nera e un punto di vernice nera nella bianca. Interessante, no?”

Pochi anni prima, Walter M. Miller jr. aveva composto il suo magnifico trittico su un’umanità postatomica, dove briciole di civiltà venivano faticosamente conservate nei monasteri di una Chiesa Cattolica superstite. Delany è interessato a tutte le forme di spiritualità, ma non potrebbe farne sua una sola:

“L’Ultima cena di Leonardo da Vinci? E chi era?” “uno dei tanti pittori, che disegnavano scene della vita di Gesù”. “Ma chi era Gesù?” “Uno dei tanti dèi”.

$_57Vale la pena riportare il “momento religioso fondamentale” vissuto dai protagonisti (e sfruttato dalle sacerdotesse di Argo), per avere un’idea della prosa poetica di Delany e del suo senso di comunione con l’universo:

Geo lanciò gli occhi verso l’alto e cercò in un solo momento di avviluppare qualunque cosa vedesse, qualunque cosa fosse. Al di sotto del ruggito dell’acqua c’era una ferma marea di quiete. La sabbia pallida lungo la nuda mezzaluna era smorta in alcune depressioni, brillante come specchio in certi rialzi. All’orlo della giungla, foglie e fronde facevano correre il verde dalle molte superfici, come onde lungo i rami carichi di fogliame. Ogni singolo frammento in quella tappezzeria verde appesa al sole era una singola foglia, rifletté, con due lati, un intero sistema di scheletro e vene, come il suo braccio era stato. E forse un giorno anch’essa sarebbe caduta. Adesso guardava da roccia a roccia. Ognuna era diversa, dalla forma e linee distinte, ma perdeva dettaglio via via che la nave scivolava più al largo, come il ricordo della sua intera avventura andava perdendo dettaglio. Quella laggiù era come una testa di toro semisommersa; quelle due piatte vicine sulla sabbia sembravano ali distese di aquile. E le onde, misurate e magnifiche, seguivano l’una l’altra sulla sabbia, come il variabile e mai duplicato ritmo di una buona poesia; eppure pacifico, ordinato, e calmo. Dalla sua mente cercò di versare il caos dell’annegamento di Urson nell’acqua. Scorreva in ogni incavo verde vetro che correva verso la spiaggia immobile. Cercò di spargere il dolore che aveva in corpo sopra la tela di schiuma e verde luccicante. E fu sorpreso che vi si adattasse così bene, che vi rimanesse. Da qualche parte, una comprensione molto vera stava iniziando a fiorire grazie all’acqua di mare, sotto il sole che s’innalzava.

Delany gioca continuamente con il linguaggio; sposta parole nella costruzione della frase (“cadde e sentì un suono di ossa e carne rotta”), usa una stessa parola con diversi significati (“Goddess Argo has fishy intentions”, cioè poco chiare, ma poche pagine dopo: “we have been saved by our fishy friends”, cioè piscei, in forma di pesce).

Forse il modo migliore per godere questo romanzo lussureggiante è abbandonarsi al flusso di immagini, colori, al suo stile ellittico e acuto, arricchito da oscure poesie allegoriche, che si apre in brani di abbagliante bellezza.

Antonio Ippolito

samuel-delaneyL’AUTORE

Samuel Ray Delany Jr. (New York, 1º aprile 1942) è uno scrittore, glottoteta e critico letterario statunitense.  Delany nacque nel 1942 da un’importante famiglia nera e crebbe ad Harlem. Sua madre, Margaret Delany, lavorava presso la biblioteca pubblica di New York mentre il padre gestì, dal 1938 fino alla sua morte, avvenuta nel 1960, un servizio di pompe funebri, Levy and Delany Funeral Home sulla 7th Avenue ad Harlem. Alle scuole superiori Delany incontrò la poetessa Marilyn Hacker, che sarebbe poi divenuta sua moglie nel 1961 e dalla quale avrebbe avuto una figlia. Tuttavia egli era un convinto bisessuale, e la stessa moglie era prevalentemente orientata verso i rapporti lesbici. Entrambi hanno avuto così varie relazioni omosessuali durante il matrimonio. Dopo diversi anni di separazione, i due hanno divorziato nel 1980, restando però in buoni rapporti. Delany ha iniziato a scrivere storie di fantascienza intorno ai vent’anni. Pubblicò nove romanzi tra il 1962 e il 1968, oltre a varie storie brevi. Il suo decimo e più popolare romanzo, Dhalgren, fu pubblicato nel 1974. Tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta si dedicò al ciclo di Ritorno a Nevèrÿon composto da quattro romanzi. Delany ha pubblicato varie autobiografie più o meno romanzate relative alla sua vita come scrittore nero e gay nell’ambito di un matrimonio aperto, inclusa The Motion of Light in Watervincitrice di un premio Hugo. Dal 1988 ha insegnato lettere e letteratura comparata in varie università. Nota è anche la sua attività come critico letterario, per la quale ha ricevuto il Pilgrim Award nel 1985. Delany ha ricevuto il premio Damon Knight Memorial Grand Master 2013, il più prestigioso riconoscimento alla carriera che viene assegnato nell’ambito della fantascienza.