I Classici della SF: “La nube purpurea” (The Purple Cloud, 1901) di Matthew Phipps Shiel

Antonio IppolitoB486 001Immaginate un Robinson Crusoe che abbia per scena, invece di un’isola sperduta, il mondo intero; in cui il protagonista, invece di sperimentare tutte le risorse del raziocinio, passi per tutti i deliri di una solitudine allucinante, affollata di cadaveri e di relitti; immaginate che le vicende del romanzo si svolgano dopo la fine del mondo, provocata da una catastrofe di demoniaca sottigliezza, che estingue l’umanità conservandola immobile come uno sterminato museo di cere, imbalsamata in un delicato profumo di pesca; e che la narrazione di questa fine del mondo e dell’inizio di una nuova vita sia spinta da un soffio epico, guidata da una continua lucidità visionaria; che il linguaggio assuma successivamente cadenze, insieme ingenue e preziose, di stile Art Nouveau, il tono asciutto del romanzo di avventure, l’impeto di una predicazione apocalittica; immaginate, poi, un proliferare di strabilianti invenzioni, agevolmente amalgamate alla grandiosa visione centrale, e avrete un romanzo che, scritto sul limitare del nostro secolo, ne prefigura con perfetta esattezza il cronico incubo di essere il secolo ultimo, per scioglierlo in una storia emblematica che congiunge rovina e rinascita, distruzione e principio. Pubblicato nel 1901, riscoperto una prima volta, in America, nel 1928 – quando si arrivò a pubblicare quattro romanzi di Shiel nello stesso giorno – e poi nel 1948, La nube purpurea è senza dubbio il capolavoro di M.P. Shiel, la cui opera è stata esaltata da scrittori quali Arnold Bennett, Hugh Walpole, H.G. Wells, Dashiell Hammett. (Dal risvolto dell’edizione Adelphi)

Titolo: La nube purpurea | Titolo originale: The Purple Cloud | Autore: Matthew Phipps Shiel | Anno di pubblicazione: 1901 | Per tutte le edizioni del romanzo clicca QUI

Il Vostro recensore oggi vi propone un romanzo cardinale nell’immaginazione del primo ‘900, precursore di Lovercraft e uno dei suoi anelli di congiunzione con Poe; ma vi darà anche le istruzioni per l’uso affinché non vi risulti indigesto anzichenò.

Uscito nel 1901, portato anche sul grande schermo nel 1959, il romanzo si apre in una Londra fine secolo, popolata da spiritisti e agitatori, come quella che fa da sfondo ai racconti di Machen. I Poli erano ancora inesplorati; e un miliardario americano ha lasciato una somma enorme a chi saprà raggiungerli per primo. Ma una spedizione dopo l’altra fallisce nel tentativo, e un predicatore ammonisce a non ripetere il peccato di Adamo ed Eva: la tracotanza di voler uscire dai limiti prefissati.

THPRPLCLDT1966Quando una nuova esplorazione viene organizzata da suoi conoscenti, il nostro protagonista, un medico che fin da bambino “sentiva” due voci, una buona e una cattiva, lottare per influenzarlo, non vorrebbe partecipare; ma la sua fidanzata, la nobile decaduta, avida e semifolle Clodagh, riesce a eliminare gli altri possibili partecipanti finché il nostro Adam Jeffson “deve” partecipare.

Questa prima parte è la più bella e appassionante del romanzo: seguiremo l’esplorazione artica minuziosamente descritta, e vedremo come il nostro protagonista, attraverso una serie di misfatti più o meno involontari, arriverà a essere l’unico conquistatore del Polo. Le incredibili visioni della marcia solitaria fino al Polo, in una spianata di ghiaccio ricoperta da gioielli meteoritici, fino al “lago d’occhi” in cui spicca una colonna con iscrizioni incomprensibili, è di una potenza e fantasia tali da competere con il Poe di “Gordon Pym”, che nel finale alludeva a una misteriosa creatura dei ghiacci antartici e a scritte misteriose; ed è al tempo stesso una prefigurazione della civiltà, o entità preumane che si possono rifugiare in queste lande inesporate, come vedremo in “At the mountains of madness”.

Peccato che il nostro Adam non potrà incassare il premio: durante il lungo e solitario ritorno verso l’Europa, comincerà a notare morie di animali artici (del resto, non sopravviverebbe altrimenti a incontri con orse); di tratto in tratto vedrà strani bagliori color pesca all’orizzonte sud, e percepirà zaffate di aroma di mandorle.

Non appena sarà riuscito a imbarcarsi sul suo kayak, inizierà a incontrare navi fantasma dall’equipaggio di cadaveri (altro richiamo al Gordon Pym), tra cui la sua nave-appoggio originale (Shiel non ha alcun problema a sfidare la verosimiglianza, se serve a ottenere un bell’effetto). A mano a mano che si avvicina all’Europa, e comincia a fermarsi in villaggi di pescatori scandinavi, può solo constatare che trova solo morti; ma morti arrivati da tutto il mondo.. risparmio i dettagli per non guastare la lettura di questa prima parte, catastrofista, del libro.

Il protagonista, una volta rassegnatosi alla solitudine, comincerà a percorrere il mondo in preda alla smania di incendiare le città ormai già morte: inizia così la parte centrale del romanzo, onestamente di una ripetitività e noia mortali, dove si susseguono incendi e Adam si dà al più frenato lusso orientaleggiante; fino a stabilirsi in quel che resta di Istanbul per godere dei lussi del Sultano. La sua piromania dovrebbe essere causata da una vittoria del Nero, la forza malvagia che lotta contro il Bianco per il dominio del mondo di cui gli aveva parlato un professore all’Università; le due forze che forse hanno sempre guidato il protagonista attraverso le voci. Impiegherà 18 anni a costruire un fantasmagorico palazzo nell’isoletta greca di Imbros, con tanto di piscina di vino costantemente rinnovato; costruzione però risolta in poche pagine; viceversa Shiel enumera infinite varietà di pietre preziose e semipreziose utilizzate, nonché di fogge di abiti turcheschi, di abitazioni anatoliche, e così via: non so se per preziosismo decadente o puro sfoggio di erudizione verso il lettore, che in confronto Salgari lèvati!

THPRPLCLDG1973Solo ogni tanto si apre qualche squarcio lirico di notturna poesia simbolista: la Luna come una regina malata accudita dalle ancelle, l’Oceano di notte illuminato dalle meduse “noctiluca”, i venti che litigano tra loro.. Unico nella sua bellezza morbosa e decadente è il ritrovamento dell’amata e odiata Clodagh.

Anche dal punto di vista spirituale, l’autore appare abbastanza confuso: continue invocazioni a Dio e citazioni bibliche si alternano a negazioni di Dio e di un senso del Tutto.

Attraverso una serie di fortuitissime circostanze, dopo vent’anni di solitudine il nostro Robinson vede finalmente in un bosco, su un cuscino di muschio, l’impronta di un piede umano: il suo Venerdì! Che è nientemeno che una leggiadra fanciulla ignara di tutti i fatti della vita.

Inizia così la terza parte, angosciante quasi quanto la seconda ma per ragioni diverse. Non c’è bisogno di essere cattolici praticanti per augurare una feconda unione ai due: anche P.J.Farmer si divertirebbe a descrivere il seguito di questa svolta. Ma purtroppo Adam rifiuta di essere Adamo: e nonostante i vent’anni di solitudine e la grazia della giovane (probabilmente circassa, come le più ambite schiave dell’antichità!), per non essere pedina delle potenze fa di tutto perché lei lo abbandoni, infliggendole maltrattamenti psicologici (la ribattezzerà “Clodagh” per ricordarsi che la donna è veleno..) e arrivando anche a frustarla: brutalità che si aggiunge ad altre brutalità gratuite espresse in precedenza, come calpestare i cadaveri passeggiando per Londra, accanendosi a rompere i denti di una morta: morbosità degna di Poe, ma che mi rinforza l’idea che molto di questo libro sia stato scritto tra i fumi dell’oppio!

Il tira-e-molla tra loro prosegue straziante per decine di pagine, fino a una conclusione sul lago di Ginevra: tra magnifici paesaggi alpini che ricordano Frankenstein e partite di pesca minuziosissimamente descritte, il protagonista imporrà una separazione finale con la Manica di mezzo, però mitigata dall’esistenza del telefono; e la nostra ragazza, vera figlia di Eva,, con un trucco di pura astuzia femminile riuscirà a sciogliere la situazione in un finale a sorpresa.

In definitiva, il consiglio del recensore è di leggere assolutamente la prima parte; e proseguire poi solo se si è davvero entusiasti… o curiosi.

Antonio Ippolito

shielL’AUTORE

Matthew Phipps Shiel, meglio noto come M. P. Shiel (Plymouth, 21 luglio 1865 – Chichester, 17 febbraio 1947), è stato uno scrittore britannico, ricordato soprattutto per i suoi romanzi soprannaturali e di fantascienza, tra i quali l’apocalittico La nube purpurea.  Lo scrittore nacque sull’isola di Montserrat, nelle Indie Occidentali Britanniche (Isole Leeward) da Priscilla Ann Blake, una donna mulatta, e dall’irlandese Matthew Dowdy Shiell. Malgrado il suo cognome anagrafico fosse “Shiell”, lo scrittore avrebbe in seguito adottato la forma abbreviata dell’ultima lettera per firmare le sue opere. Per il suo quindicesimo compleanno fu incoronato, da un predicatore wesleyano e su specifica richiesta del padre, sovrano della piccola isola deserta di Redonda, nei Caraibi, col nome di Re Felipe I. Dopo essere stato educato all’Harrison College di Barbados, nel 1881 si recò in Inghilterra per continuarvi gli studi, che si conclusero con la laurea in medicina. Ai numerosi impieghi occasionali nel corso degli anni novanta fecero seguito i primi successi come scrittore, attraverso una serie di racconti influenzati da Edgar Allan Poe e incentrati attorno alla figura del Principe Zaleski, che furono pubblicati grazie a John Lane. Shiel subiva intanto il fascino della vita intellettuale, del nuovo mondo letterario decadente, e ciò gli permise di stringere amicizia con alcune delle figure di maggior spicco della cultura del tempo: Robert Louis Stevenson, Oscar Wilde, Pierre Louÿs. In breve tempo produsse il suo più grande successo di critica, il romanzo La nube purpurea (The Purple Cloud, 1901), seguito da altre opere che divennero anch’esse molto popolari. Alla sua morte, avvenuta nel 1947, John Gawsworth divenne suo esecutore testamentario nonché erede del piccolo regno insulare. (Bio tratta da Wikipedia)