Recensione: REGNO A VENIRE (Kingdom Come, 2006) di James Graham Ballard

I quartieri residenziali sognano la violenza.
Addormentati nelle loro sonnacchiose villette,
protetti dai benevoli centri commerciali,
aspettano pazienti l’arrivo di incubi che li
facciano risvegliare in un mondo più carico
di passione…”

 

Regno a venire (Kingdom Come, 2006) è stato l’ultimo romanzo che lo scrittore britannico James Graham Ballard ha scritto, prima di andarsene nel 2009.
Appartiene alla Tetralogia di Cocaine Nights, di cui i precedenti romanzi sono Cocaine Nights (“Cocaine Nights”, 1996), Super-Cannes (“Super-Cannes”, 2000) e Millennium People (“Millennium People”, 2003).
Ma seppure i temi della tetralogia siano intercomunicanti, Regno a venire, come del resto gli altri tre romanzi, è autoconclusivo e può essere letto in solitaria senza perdere nulla del messaggio dell’Autore.

9788807701801_quartaIl regno a venire

In Italia “Regno a venire” è stato pubblicato due volte, entrambe da Feltrinelli: nel 2006 nella collana “I Canguri”; nel 2009 nella collana “Universale Economica, 2124”. Traduzione di Federica Aceto

L’argomento conduttore e legante della Tetralogia di Cocaine Nights è il senso di crisi che si avverte nella classe media e borghese della società consumistica occidentale, quindi la fascia di popolazione che sta a metà tra un mondo che non ce la fa e quello che ce l’ha fatta alla grande e che si risolve nella fascia numericamente maggiore (almeno per adesso, perché ci sono i presupposti che la prima, quella del non-ce-la-fa, tagli il traguardo vincente al più presto).
Quando dico società occidentale intendo un modello di vita che non necessariamente corrisponde a territori geografici europei o nordamericani: l’ubicazione di Regno a venire, per esempio, è posta nei sobborghi di Londra, ma potrebbe benissimo essere anche in Asia o in Africa, in Australia o in Sudamerica, dovunque questo modello abbia attecchito e sia prospero e vitale, o comunque condiviso più o meno consapevolmente.

Più nel dettaglio, le angolature con cui Ballard guarda a questo mondo che ci descrive – e che un docente di letteratura del ventesimo secolo dell’Università di Birmingham e studioso di Ballard, Andrzej Gasiorek, ha stigmatizzato come un capitalismo “terminale” – sono elementi simbolo di questo capitalismo avanzato: in Cocaine Nights il simbolo è un centro sportivo situato in Spagna sulla Costa del Sol, in Super-Cannes è un parco tecnologico nei pressi di Cannes, in Millennium People un quartiere della classe media o medio-alta nei pressi di Londra, in Regno a venire un immenso centro commerciale.

3 - prima edizione orig. KingdomComeNovelJ.G. Ballard: “Kingdom Come” (Fourth Estate, 2006). Prima edizione in lingua originale

La storia di Regno a venire si apre dentro i piccoli drammi automobilistici di un ex-pubblicitario di successo che sta tentando di uscire da Londra, dove abita, per raggiungere a fatica una di quelle cittadine di sobborgo senza storia e tutte uguali nate intorno alle cinture autostradali. Gli è morto il padre che non vedeva da anni, assassinato da un pazzo all’interno del centro commerciale di Brooklands, la cittadina dove si sta dirigendo, e ha due appuntamenti: il primo alla Centrale di polizia locale, il secondo dall’avvocato che si è preso in carico il testamento.
L’inizio è così normale e ordinario da far credere di essere entrati nella solita tipica cupa squallida e mille volte riscritta vicenda realistica e introspettiva di cui è piena la letteratura di oggi, senonché la registrazione del primo brevissimo periodo dell’incipit, che il lettore dimentica subito dal momento che non ha alcuna apparenza sincronizzata con il resto, lavora in sottofondo e incrina questa annoiata sicurezza del lettore dirigendolo e preparandolo a cose straordinarie. In realtà Ballard sta aprendo il suo ventaglio misuratamente realistico per scaraventare chi legge in una storia fantastica sul filo del rasoio tra realtà e fantasia. Quanto è vero e quanto è finzione?

Perché qui pare che la realtà abbia preso il posto della fantasia e viceversa. Niente è come sembrava, o come dovrebbe essere.

4 - Ballard e famiglia

 Ballard con i suoi figli nel giardino di Shepperton

Chi già ha letto qualcosa di Ballard sa che è uno scrittore finale, per niente incline a facili ottimismi, anzi, il portatore di un vessillo che incide spietato nel marcio umano: lo prende, lo analizza al microscopio, lo rivolta di sopra e di sotto, da ogni lato, gli permette di ballare il canto del cigno e poi lo risputa nudo e crudo, fotografato nella sua macabra essenzialità lasciando al lettore trarre le ovvie conclusioni.

Su questa tetralogia si sono già spesi fiumi di inchiostro, difficile che possa dire qualcosa di nuovo. Basta fare una superficiale ricerca in Rete e si troveranno analisi critiche sopraffine di ogni tipo.
Ma c’è una cosa che forse ancora non è stata detta e che continuerò a dire: Ballard è un autore che poco, anzi per niente, si presta ad essere mistificato e portato a bandiera di passeggeri momenti politici o sociali, oscurando o deprivando l’originalità delle sue parole. Regno a venire non è un romanzo sul razzismo, pro razzismo o contro il razzismo: parla a tutti, di qualunque colore siano. E quindi, se per caso vedeste accostare questa parola al suo romanzo e interpretare i suoi personaggi alla luce di questa variabile per fini di convenienza, sappiate che si sta tentando di mistificarne il significato. Non importa se per motivi pseudopolitici, ideologici, o commerciali del perché tira.
La sua è invece l’opera compiuta e raffinata di un autore sempre pronto a riscrivere con coraggio e originalità la realtà che vede e i meccanismi irrazionali con cui l’essere umano reagisce, spodestando di ogni supposto potere gli inutili orpelli di parole consumate e ridotte a niente.
Perché la sua penna non è di quelle che si accontenta di prendere la superficie delle cose e farne il nocciolo della questione: quando un suo personaggio parla di nazismo, per esempio, non sta parlando di quale colore abbia il nazismo, ma sta mostrandoti quanto sei o quanta potenzialità hai di essere nazista. Anche tu, che stai leggendo. In questo senso si dimostra autore politico, dove il termine politica ha il significato originale di arte e tecnica del governare, non di infimo artigianato e cricca dedita al predominio. Di fatto le sue deduzioni (non intuizioni) su come si muove l’autorità principe nei confronti degli eventi spiegano bene la sua assenza.
Come per alcuni altri autori così radicali e scavati in se stessi (erosi e levigati da una ferma volontà di arrivare al punto cruciale), Ballard non è un nichilista passivo all’insegna del tutto è inutile, ormai è così e sarà sempre peggio, non c’è salvezza. La sua scrittura non si perde per strada dietro a scuse e paraventi, ma diventa una rigorosa analisi di un fenomeno insito nell’essere umano attraverso la quale ne mette a fuoco le possibilità negative: lo fa con l’impassibilità di un medico rigoroso che toglie una dolorosa cancrena mentre il paziente urla, e lo medica attraverso “eroi” che hanno dubbi e si fanno domande, e proprio in virtù di questi dubbi e domande riescono a esercitare un ruolo positivo decisivo.
Ballard ha sempre creduto nella capacità dell’immaginazione di plasmare il mondo e favorire un’evoluzione e ha sempre dichiarato di essere ottimista nei confronti del futuro.
Lo si vede bene qui, in Regno a venire, dove perfino le sue donne tormentate o indecifrabili, quando non ambigue, diventano salvifiche e cruciali per l’evoluzione della storia. E dove, forse sentendo vicino lo scoccare dell’ultima ora e sapendo di non poter più lasciare adito a dubbi se ancora ce ne fossero, di spiragli ne lascia, e grossi, quando invece spesso si sente ancora dire che sia autore senza spiragli.
Li lascia in ogni colpo di bisturi (di penna) inciso nel corso dell’intero romanzo, teso alla soluzione attiva a cui costringe il lettore.
Perché attiva? Ma è ovvio. A te, lettore, ti ha scavato dentro il cuore e il cervello, ti ha descritto in ogni personaggio, ti ha spiegato che cosa ami e che cosa desideri e perché lo desideri, ti ha messo in luce l’effimero su cui viaggi, ti ha mostrato quanto la tua vita conti poco e niente, ti ha svelato il gioco perverso delle emozioni, ti ha anche illuminato sul meccanismo a fondo cieco in cui ti sei incastrato: vuoi davvero un mondo così? Perché i presupposti per cui si origini ci sono tutti, e tu ci sei già in mezzo.

Tea C.Blanc

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