Speciale P.K.Dick – “L’esegesi”, ovvero: Zibaldone Dickiano (The Exegesis of Philip K. Dick, 2011)

SpecialePhilipDick[11]L'esegesiTorniamo a quella giornata tragica. 1982, 3 marzo. Philip Kindred Dick ha da poco lasciato questo mondo, non si sa bene diretto dove (ognuno la veda come vuole sulla base delle proprie convinzioni…). Amici e conoscenti entrano nel suo appartamento, e purtroppo qualcuno comincia ad allungare le mani, ognuno vuole un ricordo. Dick viveva solo, riceveva sempre tutti gli amici e chi lo voleva andare a trovare, ma non aveva contatti diretti con le sue cinque ex-mogli e i tre figli (Isa, Laura e Christopher). Telefonate, lettere, ma in pratica non si vedevano. Al momento della sua morte (avvenuta in ospedale per una serie di infarti del miocardio) non c’è nessuno o quasi che vigili sulla sua casa e le sue cose.

Entra in scena Paul Williams. Uno che dovrebbero fare santo. Giornalista di Rolling Stones, grandissimo amico di Dick fin dai primi anni Settanta. Williams vede la scena, nota una pila imponente di dattiloscritti e manoscritti. Sa cos’è: sono gli appunti che lo scrittore ha preso fin dal febbraio-marzo del 1974, quando ebbe strane visioni e altri fenomeni psichici inspiegabili, che da quel momento si era industriato a spiegare. Sono il frutto di otto anni di meditazioni, interrogazioni, ricerche, letture frenetiche, ipotesi sempre più estreme, un intenso lavoro di scrittura, disordinato, affannoso, caotico, momenti di illuminazione quasi estatici alternati a fasi di sconforto e scetticismo. Williams capisce che quelle carte non devono andare perdute per nessun motivo; le nasconde in modo che scampino all’invasione e all’affettuoso saccheggio.

Ecco come ci è pervenuta l’Esegesi. Diciamo subito che questi materiali Dick li produsse senza pensare minimamente a pubblicarli. Per lui non era un’opera, non era un trattato, non era un romanzo, non era altro che una catasta di fogli, molti dei quali scritti a mano e spesso coperti di disegni e schemi, sui quali per otto anni aveva annotato tutto quello che aveva scoperto e che aveva pensato riguardo alle strane visioni del 1974, agli strani stati mentali di quel periodo, quando aveva “ricordato” di essere un cristiano del primo secolo, di nome Thomas, quando s’era reso conto improvvisamente che la realtà della California meridionale negli anni Settanta era un’illusione che nascondeva l’eterna prigione di ferro, la Roma imperiale che non se n’era mai andata via. In tutti questi appunti Dick produce una quantità impressionante di spiegazioni e speculazioni: si va dal mistico al religioso, dalla neurologia alla fisica delle particelle, alla psichiatria. Dick non esclude neanche che quelle visioni siano solo il delirio di una mente malata. Del resto, tutto il suo sforzo di capire cos’aveva visto e cosa aveva avvertito lo commentò con una di quelle sentenze ironiche che lasciano il segno: “Ha assunto droghe. Ha visto Dio. Bel cazzo di capolavoro”.

P.K.DickLa pila di manoscritti e dattiloscritti viene successivamente rimossa dalla casa di Dick e presa in custodia dal PKD Estate, cioè il pool di legali che curano gli interessi degli eredi di Phil. A differenza di altre carte trovate nell’appartamento, come i manoscritti dei suoi romanzi realistici inediti (che verranno pubblicati tutti negli anni Ottanta grazie soprattutto all’incessante attività di Paul Williams come curatore del lascito letterario di Dick), non si sa bene cosa farne. Non è un romanzo, non è un saggio organico. Dentro c’è di tutto di più. Anche solo leggere quel mostruoso ammasso, ottomila pagine di annotazioni lunghe e brevi (tra cui un testo di 150 pagine che venne scritto da Dick – pare – tutto in una notte…), è un lavoro ingrato. Neanche Williams se la sente di metterci mano.

Nel 1991, comunque, esce a stampa una prima, minuscola scelta dei materiali dell’Esegesi; li sceglie Laurence Sutin, autore di quella che fino ad oggi può essere considerata la più attendibile biografia di Dick, anche se non la più dettagliata, e cioè Divine invasioni (che in Italia è stata pubblicata da Fanucci). Si tratta di un volumetto di poco più di 200 pagine, In Pursuit of Valis, poca cosa se confrontato alle dimensioni totali del mostro.

Entra in scena a questo punto Jonathan Lethem, scrittore e critico non-accademico, e seguace di Dick, dal punto di vista letterario, fin dai suoi esordi narrativi. Lethem, è bene ricordarlo, è di origine Newyorchese doc, però si trasferì a Berkeley negli anni Ottanta, e qui poté entrare nella gloriosa Philip Kindred Dick Society, il club fondato da Paul Williams e pochi altri credenti poco dopo la morte di Dick, quando lo scrittore non godeva ancora della fama che ha oggi (sia a casa sua che da noi). Da allora Lethem si è dato molto da fare per far conoscere e apprezzare il grande californiano, riuscendo a far pubblicare ben dodici dei suoi romanzi nella prestigiosissima Library of America, una collana dove trovate i mostri sacri della letteratura statunitense, da Melville a Hawthorne, da Kerouac a Malamud (va detto che in origine il volume doveva essere uno solo, ma vendette talmente bene che la LoA si convinse a pubblicarne altri due…). E nel 2011 Lethem convince una delle più rispettabili e gloriose case editrici americane, Houghton Mifflin Harcourt, a pubblicare una nuova selezione di materiali presi dall’Esegesi, ben più ampia di quella curata da Sutin. Ed è questo il testo che, tradotto con grande cura e impegno da Maurizio Nati (veterano delle traduzioni di Dick e grande appassionato dello scrittore americano), esce ora per i tipi di Fanucci.

ExegesisEcco, una cosa vorrei dire sul lavoro ingrato che ha tenuto Maurizio occupato full-time per più di un anno: è stata una traduzione fatta con vero amore. Alle prese con un testo tremendamente complesso, involuto, frammentario, il traduttore s’è trovato davanti continuamente frasi, parole, interi periodi, che Dick non aveva scritto perché li leggessero altri – erano annotazioni per se stesso, il cui significato gli era chiaro intuitivamente. Pensieri appena formati, allusioni a fatti della sua vita che erano noti solo a lui e pochi altri, riferimenti a letture che per lui erano ovvi ma per noi possono essere veri e propri enigmi. Maurizio ha lavorato confrontandosi costantemente con una squadra di appassionati americani dell’opera di Dick, della quale facevano parte non pochi personaggi che l’avevano conosciuto di persona, che erano stati suoi amici, che l’avevano frequentato per anni. Io ho seguito a intermittenza il dibattito sulla traduzione, che è stata una vera impresa dal punto di vista interpretativo, e ha vista coinvolta occasionalmente anche Pamela Jackson, la curatrice dell’edizione americana. Potrei dire che, da un certo punto di vista, grazie all’enorme lavoro di Maurizio Nati, l’edizione italiana in certi punti potrebbe essere più comprensibile dell’originale. Sia quindi lode al traduttore!

Qualcos’altro andrebbe detto della presente edizione dell’Esegesi. Pamela Jackson non ha lavorato da sola, ma gomito a gomito con Lethem, e assistita da una squadra di agguerriti commentatori, tra i quali mi preme ricordare Gabriel McKee (uno dei primi a interrogarsi sul lato religioso di Dick, e a scrivere un saggio sull’argomento), David Gill (organizzatore del primo PKD Festival a San Francisco nel 2012, scrittore e conoscitore insuperabile della vita di Phil), Steve Erickson (critico cinematografico e romanziere californiano potentemente ispirato da Dick e autore di un autentico capolavoro come Zeroville). Il testo è quindi corredato da una serie di note che talvolta illuminano, talvolta sviluppano, talvolta complicano, anche creativamente, le intuizioni di Dick. Questo apparato di note sta a dimostrare che pur essendo un filosofo fai-da-te, un pensatore dilettante, che non immaginava affatto di vedere un giorno stampati i suoi appunti, Phil aveva qualcosa da dire a intellettuali di diverso stampo, che perseguono diversissimi interessi, ma che non possono fare a meno di fare i conti con lui, e che tra ingenuità e incoerenze hanno trovato spesso idee brillanti, visioni spiazzanti, riflessioni avvincenti.

Non un romanzo, dunque; ma sicuramente un testo che riveste un enorme interesse per chi, come il sottoscritto, si è trovato spesso a commentare e interpretare l’opera di uno dei più singolari scrittori di tutti i tempi. Da questo coacervo di materiali eterogenei e disordinati escono infatti i tre romanzi conclusivi di Dick, la cosiddetta Trilogia di VALIS; impossibile comprenderne fino in fondo il senso e il valore, e l’ingannevole complessità, senza fare riferimento al frenetico lavoro di scrittura nel quale Dick fu impegnato (spesso intrappolato) a partire dal 1974.

E anche, ci tengo a sottolinearlo, un materiale intellettuale magmatico e incandescente che offrirà spunti di riflessione negli anni a venire.

Umberto Rossi

Philip K. DickL’AUTORE

Philip Kindred Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982) è stato uno scrittore statunitense. La fama di Dick, noto in vita esclusivamente nell’ambito della fantascienza, crebbe notevolmente nel grande pubblico e nella critica dopo la sua morte, in patria come in Europa (in Francia e in Italia negli anni ottanta divenne un vero e proprio scrittore di culto), anche in seguito al successo del film Blade Runner del 1982 liberamente ispirato a un suo romanzo. In vita pubblicò quasi solamente opere di narrativa fantascientifica – un genere all’epoca considerato “di consumo” – ed è stato successivamente rivalutato come un autore postmoderno precursore del cyberpunk e, per certi versi, antesignano dell’avantpop. Gli sono stati dedicati molteplici studi critici che lo collocano ormai tra i classici della letteratura contemporanea. Temi centrali dei suoi visionari romanzi sono la manipolazione sociale, la simulazione e dissimulazione della realtà, la comune concezione del “falso”, l’assuefazione alle sostanze stupefacenti e la ricerca del divino.

Nato a Chicago, con la sorella gemella Jane, in una famiglia dai legami burrascosi (la madre, da lui descritta come nevrotica, divorziò dal padre pochi anni dopo la nascita dei gemelli), Philip Dick trascorse un’infanzia e un’adolescenza solitarie e tormentate: la sorellina morì a poche settimane dalla nascita (Dick le rimase sempre legato, e decise di essere seppellito accanto a lei); dopo il trasferimento in California, frequentò l’Università di Berkeley, ma non concluse gli studi a causa della sua militanza nel movimento contro la guerra di Corea e del suo pacifismo(per continuare gli studi universitari avrebbe dovuto sostenere un corso di addestramento – ROTC – come ufficiale della riserva, all’epoca obbligatorio), che lo portarono ad avere problemi col maccartismo di quegli anni. Iniziò a lavorare in un negozio di dischi dove conobbe la prima moglie, Jeanette Marlin (il matrimonio durò da maggio a novembre ’48). Le sue affermazioni secondo cui in quel periodo avrebbe lavorato in una radio locale non sono mai state provate, anche se è possibile che abbia scritto testi pubblicitari per qualche emittente di Berkeley. Sicuramente la nascita della sua conoscenza e del suo amore per la musica classica precedette gli anni in cui lavorò come commesso nel negozio di dischi.

L’incontro con la fantascienza avvenne, forse per caso, e forse nel 1949 (ma il suo primo racconto, “Stability” Stabilità, pubblicato postumo, fu scritto nel 1947), quando invece di una rivista di divulgazione scientifica ne acquistò per sbaglio una di fantascienza (la circostanza non è certa). Esordì nel 1952 sulla rivista Planet Stories. Lasciata la prima moglie, si risposò con Kleo Apostolides (dal 14 giugno 1950 al 1959), militante comunista di origini greche. In questo periodo pubblicò i primi romanzi e una notevole quantità di racconti. Il matrimonio con Kleo andò in crisi quando Dick si trasferì nella zona rurale di Point Reyes, a nord di San Francisco, in quella Marin County che fu l’ambientazione di diverse opere (tra tutte Cronache del dopobomba). Lì conobbe Anne Williams Rubinstein, che diventò la sua terza moglie (rimasero sposati dal 1º aprile 1959 all’ottobre 1965). Era una donna colta e di forte personalità, vedova e madre di tre figlie, che gli diede una figlia: Laura Archer (25 febbraio 1960). Dick si trasferì a casa di Anne, e per mantenere la famiglia e il tenore di vita della moglie abbandonò la fantascienza, poco remunerativa e per niente prestigiosa, per tentare di occuparsi di narrativamainstream. Ma Dick visse ciò come una sconfitta, di cui considerò responsabile la moglie. Il fallimento come “nuovo” autore fu la goccia; il matrimonio andò a pezzi, Dick si convinse che la moglie avesse assassinato il precedente marito e che avrebbe fatto lo stesso con lui. Divorziarono nel 1965, e Dick si trasferì a San Francisco.

Dick assumeva anfetamina fin dai primi anni Cinquanta, sostanza che gli era stata prescritta dallo psichiatra che gli aveva diagnosticato una lieve forma di schizofrenia; l’anfetamina era usata per combattere gli stati depressivi di cui lo scrittore soffriva occasionalmente. Man mano Dick sviluppò una vera e propria tossicodipendenza dalla sostanza, che lo agevolava nella stesura delle sue opere. L’abuso di stimolanti raggiunse livelli allarmanti durante la seconda metà degli anni Sessanta, proprio mentre l’autore scriveva due dei suoi romanzi più importanti (Il cacciatore di androidi e Ubik). La rottura con la quarta moglie, Nancy Hackett (sposata dal 6 luglio 1966 al 1972), che lo abbandonò assieme alla figlia Isolde Freya (ora Isa Dick Hackett ) (15 marzo 1967), e la morte del suo carissimo amico Jim Pike, mandarono Dick alla deriva; lo scrittore si trovò a vivere in una casa di sbandati, e la situazione arrivò al punto critico quando, in sua assenza, la sua abitazione subì un’effrazione durante la quale sconosciuti forzarono il suo schedario blindato (Dick fece innumerevoli ipotesi sulla loro identità, arrivando a sospettare che fossero agenti dell’FBI; a tutt’oggi la questione non è stata chiarita). In seguito Dick partecipò a una conferenza sulla fantascienza a Vancouver, in Canada, e decise di stabilirvisi. Anche l’esperienza canadese fu però un fallimento, dovuto al consumo eccessivo di psicofarmaci e alla mancanza di denaro. Dick si fece ricoverare in una comunità di recupero pertossicodipendenti, la X-Kalay, un’esperienza breve che però lo aiutò chiudere con le anfetamine. Molti eventi e situazioni risalenti al suo percorso esistenziale di questo periodo ebbero un ruolo importante nel suo romanzo Un oscuro scrutare. Tornato in California, Dick si stabilì alla periferia di Los Angeles e nel 1972 riprese a scrivere, anche in seguito all’incontro con Leslie (Tess) Busby (18 aprile 1973-1977), la quinta moglie, dalla quale ebbe il terzo figlio, Christopher Kenneth (25 luglio 1973). Tra il febbraio e il marzo del 1974 Dick iniziò a sentire voci e avere visioni in sogno e da sveglio. Convinto di vivere un’esperienza mistica, Dick prese a scrivere l’Esegesi, una vasta raccolta di appunti a carattere teologico-filosofico a partire dai quali scrisse la celebre Trilogia di Valis, punto d’arrivo della sua esperienza letteraria.

Morì a Santa Ana, in California, per collasso cardiaco, nel 1982, proprio quando i diritti delle sue opere cominciavano a dargli per la prima volta una certa sicurezza economica, e mentre era in lavorazione il primo film basato su una delle sue storie: Blade Runner, di Ridley Scott, che Dick non poté vedere completato, anche se riuscì a visitarne il set. (Biografia tratta da Wikipedia)