“Il Codice dell’Invasore” di Alessandro Vietti – Un italiano su Giove (Introduzione al romanzo di Sandro Pergameno)

Sandro PergamenoIl Codice dell'InvasoreNel 2168 l’umanità è stata distrutta da un misterioso morbo. Gli esseri umani hanno cominciato a morire in un modo spaventoso: semplicemente smettendo di respirare. Solo la colonia sul satellite di Europa è sopravvissuta, anche grazie alla clonazione degli esseri umani che ha permesso prima di mantenere numericamente sufficiente la colonia, poi di creare una razza di umani “secondari” da utilizzare come manodopera nelle miniere. Un delicato equilibrio destinato a crollare, quando nascerà una strana secondaria dotata della facoltà di decidere e, soprattutto, di strani ricordi di cui nessuno conosce la provenienza. Alessandro Vietti si districa in una trama complessa, con numerosi personaggi ben tracciati, tenendo il lettore in pugno con un crescendo di tensione e di rivelazioni ben miscelato fino a un finale apocalittico.

Titolo: Il Codice dell’Invasore | Autore: Alessandro Vietti | Anno Prima Edizione: 1999 (Cosmo. Collana di Fantascienza n° 303, Editrice Nord) | Anno Nuova Edizione: 2015  (Odissea Digital Fantascienza n° 6, Delos Digital) | Formato: eBook | Pagine: 528 | Prezzo: 3,99€ 

Di seguito l’introduzione al romanzo di Sandro Pergameno presente nell’edizione 2015 (Grazie a Sandro Pergameno e Silvio Sosio per la gentile concessione):

Molte cose sono state dette sulla fantascienza italiana nel corso dei decenni, fin dalle prime apparizioni di scrittori nostrani nelle collane specializzate, e mi riferisco a Urania, Cosmo Ponzoni, e poi Galassia e Nova negli anni sessanta e settanta. Molti critici del settore si sono inoltre dannati l’anima per dare l’importanza dovuta a questo genere letterario e recuperare al nostro mondo autori importanti della letteratura mainstream come Italo Calvino, Guido Morselli, Dino Buzzati (quest’ultimo ha al suo attivo almeno un romanzo di vera fantascienza, Il grande ritratto), Mario Soldati (Lo smeraldo) e altri ancora (Tullio Avoledo in tempi recenti). I risultati, ahimè, non sono stati all’altezza degli sforzi e la sf viene ancor oggi considerata qui da noi un genere di serie B, sia essa composta da scrittori americani, sia da autori italiani. A tale riguardo spesso si è dibattuto se esistesse una “via italiana” alla fantascienza, un modus nostrano di intendere e assimilare i concetti basilari e le tematiche impostate dagli autori anglosassoni, a partire da Herbert George Wells (primo vero scrittore di sf, con la sua straripante immaginazione e capacità estrapolativa: fu lui a dare un volto concreto a quasi tutte le tematiche della sf, dal viaggio nel tempo all’invasione e alla guerra con gli alieni cattivi). Spesso si è parlato dei rapporti con la cultura italiana “ufficiale”, fortemente impregnata quest’ultima dai concetti negativi contro la scienza e tecnologia espressi dal padre nobile Benedetto Croce, a differenza di quanto avvenuto (almeno parzialmente) nel mondo anglosassone. Ricordo, per inciso, che il discorso sulle due culture (scientifica e umanistica) fu espresso da Charles Percy Snow, scienziato inglese, nel suo testo Le due culture (The Two Cultures and the Scientific Revolution, 1959), dove osservava che la carente comunicazione tra scienza e mondo umanistico era uno dei mali che portavano alla mancata soluzione dei problemi nel mondo. Si è giustamente osservato, parlando delle opere di Landolfi, dei già citati Calvino e Buzzati, e degli stessi autori degli anni cinquanta e sessanta, a partire da Lino Aldani e Renato Pestriniero, per arrivare ai vari Curtoni, Catani, Miglieruolo, Rambelli e Malaguti, che la fantascienza italiana ha preferito concentrarsi sugli aspetti di introspezione nell’animo dei personaggi piuttosto che esplorare ed estrapolare le conseguenze degli sviluppi tecnologici. State tranquilli, non è mia intenzione rifare la storia della fantascienza italiana, che altri, molto più autorevoli ed esperti di me (ho letto molto in gioventù, poi, soprattutto per motivi lavorativi, ho trascurato la sf nostrana per dedicarmi alla lettura e critica di titoli prevalentemente anglosassoni) hanno già esplorato abbondantemente con dovizia di particolari e di ottime e interessanti spiegazioni. Qualche concisa esposizione andava tuttavia fatta per poter correttamente introdurre quest’opera di Alessandro Vietti che la Delos Books ha scelto di ripubblicare, dopo che nel 1999 era uscita sulla mitica Cosmo Argento Nord, quando c’era ancora al timone della storica casa editrice il mai troppo compianto Gianfranco Viviani. Dagli anni sessanta e settanta a oggi sono ormai passati vari decenni e anche la fantascienza italiana ha subito notevoli trasformazioni. Le tematiche tecnologiche anglosassoni sono state in qualche modo metabolizzate dagli autori nostrani, e anche i mutamenti della sf in genere e il suo diramarsi in maniera vivace in forme moderne tra le più varie, lo scoppio dei fenomeni fantasy e steampunk, l’avvicinarsi della stessa sf al mainstream attuale, sono solo alcuni dei fattori che hanno, se non annullato, almeno assai smussato le distanze tra la sf prodotta nei paesi anglossassoni e quella scritta attualmente dagli italiani. Le nuove generazioni di scrittori del nostro paese si presentano dunque molto più preparate, dal punto di vista scientifico, dei loro predecessori, leggono le opere anglosassoni in originale, seguono l’evoluzione dei vari generi, e spesso riescono anche a dare un preciso e coerente sviluppo narrativo alle opere. Passando per la generazione di mezzo dei vari Mongai, Fabriani, Grasso, tutti ottimi autori, maturi e in grado di produrre opere che nulla hanno da invidiare ai maestri d’oltreoceano, passiamo così agli scrittori più vivaci di oggi, a partire da Dario Tonani, con la sua particolarissima rimuginazione dello steampunk (il ciclo di Mondo 9), per passare al post-umanesimo di Livido di Francesco Verso, autore particolarmente attento alle tendenze più moderne e sperimentali, fino alla moderna space opera di Francesco Troccoli, che nulla ha da invidiare ai classici del genere, o alle ucronie geniali e divertenti di Giampietro Stocco. Alessandro Vietti si inquadra più o meno a metà tra queste due generazioni, avendo pubblicato i suoi due romanzi principali subito prima degli anni duemila. Vietti nasce nel 1969 a Genova, dove tuttora risiede. Laureato in ingegneria elettrotecnica, lavora nel settore dell’impiantistica nell’ambito della produzione dell’energia, ma si occupa anche di letteratura fantastica e divulgazione scientifica, soprattutto di ambito astronomico. Come vedete, il discorso sulle due culture e sull’evoluzione della sf italiana aveva un senso. Vietti è un tipico esponente della nuova generazione: scrittore-scienziato come tanti autori americani, a partire dai mitici Asimov e Clarke, per arrivare a Larry Niven e soprattutto a Gregory Benford e Greg Bear, riesce a fondere mirabilmente nelle sue opere l’attenzione agli aspetti tecnici con lo sviluppo interiore dei personaggi. Se il suo primo romanzo, Cyberworld, vincitore del Premio Cosmo 1996 e anch’esso appena ripubblicato da Delos Books, è un classico romanzo del genere cyberpunk, opera distopica ambientata nel prossimo futuro, che mostra una certa influenza dei romanzi di William Gibson e Bruce Sterling, e, come tutte le opere prime, mostra ancora una certa ingenuità, Il codice dell’invasore esprime invece una notevole maturità stilistica e narrativa. La storia è assai complessa e Vietti riesce a mescolare sapientemente i numerosi ingredienti. La trama si sviluppa in vari ambienti planetari. Da una parte abbiamo una visione abbastanza classica, una Terra decimata da un morbo che colpisce le persone all’improvviso e da cui non esiste protezione. L’apocalisse terrestre, il terrore che fulmina gli abitanti del nostro pianeta sono tuttavia solo accennati dall’autore. Abbiamo poi una sorta di missione aliena, i cui sviluppi non rivelerò: Vietti ci narra infatti di un’astronave che arriva da un mondo lontano e dei suoi occupanti, della loro cultura aliena e delle lotte intestine che hanno luogo all’interno del vascello in viaggio alla volta del Sistema Solare. Ma la parte sostanziale del romanzo, e dove troviamo i personaggi principali, ha luogo sulle lune dei pianeti più esterni del nostro sistema, dove ancora sopravvivono gli esseri umani non contagiati dal morbo che ha devastato la Terra. I personaggi principali si muovono infatti su Europa, una delle lune di Giove, un mondo gelido, avvolto da una tenue atmosfera irrespirabile e ricoperto da una spessa crosta di acqua ghiacciata. Qui troviamo una civiltà complessa e stratificata, dove ai ricchi potenti scienziati dell’Istituto dedicato alla clonazione si contrappongono i reietti che vivono di sotterfugi. La colonia di Europa, il più lontano insediamento umano, non era ancora del tutto autosufficiente al momento della catastrofe planetaria che ha colpito la Terra (che avviene circa settanta anni prima del tempo degli avvenimenti del romanzo) e per questo gli europei sono terrorizzati non solo dalla possibilità di essere colpiti anch’essi dal morbo, ma anche da quella di rimanere del tutto privi di generi alimentari, medicinali e, soprattutto, parti di ricambio per mantenere in funzione la tecnologia necessaria alla sopravvivenza in un mondo così ostile. In questo background planetario, che ci ricorda assai le opere di grandi scrittori come Poul Anderson (Le nevi di Ganimede, ad es.) o Brin & Benford (Nel cuore della cometa), Vietti innesta un’altra vicenda, complicando ulteriormente le cose. Uno dei cloni sviluppati dall’Istituto, Grace, mostra caratteristiche assai diverse dagli altri “secondari”. Grace non è come gli altri: infatti, la ragazza sembra possedere ricordi della Terra che non dovrebbe avere, perché la sua educazione è stata rigidamente controllata dall’Istituto fin dall’inizio dell’ipergravidanza, e dopo l’Ultimo Messaggio dal pianeta Terra non è giunto altro che il silenzio della morte. Senza contare l’assurda ossessione per la libertà e il categorico rifiuto di svolgere il lavoro nelle miniere del satellite Io per il quale è stata creata; atteggiamenti assolutamente fuori dell’ordinario per gli individui plasmati in serie dall’Istituto Europeo per la Clonazione. Non contento, Vietti aggiunge ulteriore sostanza e carne al fuoco con la figura di Gordon Kemp, reietto che vaga nel sottosuolo della colonia e del suo Willie, il personaggio più geniale e affascinante del romanzo, un’intelligenza artificiale che recita Shakespeare in maniera incoerente e del tutto illogica rispetto alla sua programmazione. Alla fin fine Willie è sicuramente il vero protagonista del libro, quello a modo suo più tormentato e quindi anche più reale. E questo assume anche i connotati di un paradosso perché il personaggio più “vero” è anche quello più “artificiale” e, nella contrapposizione con la figura di Grace, anch’ella a suo modo artificiale, delinea quello che è forse il principale tema portante del romanzo, ovvero il ruolo dell’origine del pensiero e del libero arbitrio nella formazione della coscienza dell’individuo. Siamo quindi di fronte a un’opera assai complessa e impegnativa, direi anzi assai ambiziosa. Come dice anche lo stesso Vietti: «In effetti dentro c’è un po’ tutto quello che mi piace di più della sf. Sia la parte più hard – la mia formazione fantascientifica parte dai più classici Asimov e Clarke, per approdare ai vari Benford, Brin, Vinge, Egan (e non è un caso che sia sempre e comunque fantascienza scritta da scienziati) – sia quella legata ai temi più moderni del cyber (compresa la citazione esplicita da Blade Runner quando Grace chiede quanto tempo le rimane da vivere). La cosa non facile era amalgamare questi elementi in maniera omogenea e coerente e alla fine credo di esserci riuscito abbastanza bene, vista anche la complessità sostanziale dell’intreccio.» E io sono pienamente d’accordo con lui. Devo ammettere infatti che questo romanzo mi ha colpito molto. Nonostante la notevole lunghezza si legge tutto d’un fiato e Vietti, a mio modesto parere, riesce nel suo ambizioso progetto di far confluire senza troppe forzature tutti i vari thread narrativi. E pochi romanzi italiani di sf possono vantare un risultato di questo tipo. In sostanza, un’opera davvero soddisfacente, che non fa rimpiangere i romanzi dei grandi scrittori-scienziati americani degli ultimi decenni.

Sandro Pergameno

Alessandro ViettiL’AUTORE

Alessandro Vietti, ingegnere, nasce giusto in tempo per essere presente alla conquista della Luna. Forse è per questo che è da sempre appassionato di astronomia e fantascienza. Vive e lavora a Genova nel settore dell’energia, e nel tempo libero si occupa di divulgazione scientifica e scrittura. Suoi articoli sono apparsi sulla rivista “Robot” e sui mensili “Coelum”, “Le Stelle” e “L’Astronomia”. Nelle vesti di autore ha pubblicato i romanzi “Cyberworld” e “Il codice dell’invasore”, il primo dei quali vincitore del Premio Cosmo 1996, nonché svariati racconti. Di recente suoi lavori sono apparsi nelle antologie “Ambigue utopie” (Bietti), “Sinistre presenze” (Bietti), “Crisis” (Della Vigna), “I sogni di Cartesio” (Della Vigna), “Ma gli androidi mangiano spaghetti elettrici?” (Della Vigna). Il suo blog (su Blogger) si intitola “Il grande marziano”.