A volte non ritornano: Henry Kuttner

Mariateresa Bottaclip_image002Come sappiamo, l’editoria italiana sta attraversando un periodo di forte declino, caratterizzato dalla pubblicazione di opere per lo più rivolte a un pubblico giovanile, il quale è più propenso a inseguire le tendenze letterarie del momento che ad affrontare la lettura di opere che si distinguono per il loro valore culturale. Dall’altro lato, le poche case editrici che ancora offrono opere di qualità scelgono di andare sul sicuro proponendo ristampe di autori grandi, sì, ma sempre gli stessi. È come se avessero dimenticato che la letteratura di genere non è nata con i soliti cinque o sei autori che troviamo sugli scaffali in libreria e che, addirittura, questi autori, sebbene importanti a tutti gli effetti, siano diventati tali anche grazie al lavoro di chi li ha preceduti: sto parlando di autori, come tale Henry Kuttner, che hanno spianato la strada ai loro successori introducendo tematiche, stili, archetipi, veri e propri “dogmi” in un genere – la fantascienza degli anni Trenta – ancora, per certi aspetti, immaturo.

L’intento con il quale vi offro questo mio articolo è quello di stimolare una riflessione e, magari, il desiderio di riscoprire i primi maestri, i “vegliardi” della Fantascienza che, sebbene dimenticati, rivivono continuamente nel lavoro degli autori odierni.

Ho deciso di iniziare da Henry Kuttner perché è il mio preferito e perché spero intimamente che questo articolo passi sotto gli occhi di qualche “addetto ai lavori” che, mosso a compassione (siete pregati di immaginarmi con il cappellaccio in mano e gli occhioni lucidi del Gatto con gli Stivali in Shrek), decida di ristampare le opere di questo autore da lungo tempo (troppo!) ingiustamente trascurato.

È vero, qualche sua opera è sporadicamente riapparsa sulle principali testate italiane dedicate alla letteratura di genere; ricordo che qualche anno fa furono riproposti un paio di racconti minori (Gli Invasori; Le campane dell’orrore, su I Miti di Lovecraft, Urania Epix, 2010) e due romanzi già ampiamente noti (Furia; Il pozzo dei mondi, Urania Collezione).

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Ammettiamolo: chi già li conosce per averli letti in passato non li riacquisterà di certo; e chi, invece, non conosce Kuttner potrebbe essere poco motivato nel proseguire la sua conoscenza leggendo opere dal gusto un po’ troppo retrò. Ma non lasciatevi fuorviare dalla proverbiale eccezione: i racconti di Kuttner sono tutto, fuorché sorpassati.

 

Potrebbe essere giunto il momento di portare in Italia qualcuno dei suoi inediti. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Kuttner era un autore eclettico, originale e, soprattutto, incredibilmente produttivo. Durante la sua breve carriera (morì prematuramente a poco più di quarant’anni) ha dato alla luce duecento e più fra romanzi e racconti. Non per niente Ray Bradbury diceva di Kuttner che era “simile a un melograno, zeppo di semi e di idee”.

ALLA VITA E ALLE OPERE

Henry Kuttner nacque a Los Angeles il 7 aprile 1915 da Henry Kuttner, immigrato prussiano, e Annie Lewis, originaria della Gran Bretagna. A seguito della prematura morte del padre, proprietario di una libreria, il giovane Kuttner crebbe tra ristrettezze economiche. Condusse gli studi presso l’Università della California del Sud ma, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dovette interromperli per prestare servizio nel corpo medico militare.

Tornato in patria, trovò lavoro a Los Angeles nell’agenzia letteraria di suo zio Laurence D’Orsay.

startling worlds of henry kuttnerNel 1936 esordì sulla celebre rivista Weird Tales con la poesia “Ballads of the Gods” e il racconto Lovecraftiano “I ratti del cimitero”, con cui conquistò i lettori. Apparve regolarmente su Astounding Stories con racconti di fantascienza come The Fairy Chessman e Fury. Scrisse opere sul tema delle razze perdute (tanto caro al fantasy dell’epoca) come The Dark World, Time Axis, Elak of Atlantis.

Fu, inoltre, fra gli autori che cercarono di colmare il vuoto lasciato dalla tragica morte di Robert E. Howard dedicandosi alla Sword and Sorcery: con questo intento iniziò una serie di avventure fantastiche per Strange Stories (antagonista di Weird Tales) aventi protagonista il principe Raynor di Sardopolis, un regno dimenticato dell’Asia leggendaria.

Purtroppo, la crisi economica che afflisse gli U.S.A. in quel periodo provocò la scomparsa della rivista e la fine delle avventure di Raynor, di cui ci restano soltanto due racconti introvabili in Italia.

La penna di Henry si distinse in ogni genere in voga all’epoca: gotico, horror, giallo, western, avventura, fantascienza e fantasy.

Sebbene si sia dimostrato uno degli autori più eclettici, la fantascienza è stata la passione nella quale profuse tutto se stesso. È impossibile dimenticare le esilaranti avventure del duo Mr. Gallegher-Joe, l’uno scienziato ubriacone e l’altro robot–apribottiglie, sempre impelagati in situazioni impossibili.

La dedizione di Kuttner alla scrittura è esemplare e incrollabile. L’apprezzamento di fan e colleghi è stato riassunto dal collega e autore Anthony Boucher: “Uno dei più eruditi e intelligenti narratori di SF”.

kuttnerI marchi distintivi di Kuttner furono, e sono tutt’ora, il suo umorismo beffardo e a tratti grottesco, l’acume, l’originalità, la delicatezza delle tematiche affrontate.

I MILLE NOMI DI DIO? NO, DI HENRY.

Ahead of Time, Vintage Season, Shock, De Profundis, Twonky, When the Bough Break, scritti per lo più in collaborazione con la moglie C. L. Moore, sono esempi eloquenti del contributo dato al genere. Eppure, oggi, molti appassionati di fantascienza (e quasi tutti i più giovani) se interrogati risponderebbero a loro volta con la domanda: “Henry Kuttner, chi?”

Henry Kuttner fu considerato uno scrittore di second’ordine almeno fino a quando Campbell (direttore di Astounding) rivelò, nel 1943, che dietro le firme di Lewis Padgett, Lawrence O’Donnel, C.H. Liddell, Paul Edmonds, Kelvin Kent, Noel Gardner, Will Garth e altri ancora, si nascondeva proprio lui.

Asimov, Heinlein, Sturgeon e Van Vogt, ovvero le colonne di Astounding, erano sotto le armi, la rivista era in crisi e Campbell era corso ai ripari reclutando nuovi scrittori; Kuttner aveva al suo attivo (con il suo vero nome) diversi racconti piccanti in cui horror e sesso si mescolavano; quindi, temendo l’indignazione dei lettori, Campbell lo pubblicò sotto uno pseudonimo che l’autore mantenne anche dopo aver consolidato la propria fama.

L’INCONTRO CON C.L. MOORE

Nel 1935 Kuttner scrisse una lettera al “signor” C.L. Moore – entrambi facevano parte del Lovecraft Circle’s – in cui si complimentava per i suoi splendidi racconti.

È facile immaginare la sua sorpresa quando fu la signorina Catherine Lucille Moore a rispondergli!

Ben poche erano le donne che, all’epoca, osavano avventurarsi nel territorio tutto maschile della fantascienza. Il loro incontro, avvenuto dopo pochi giri di posta, portò alla prima collaborazione: Quest of the Starstone appartiene al celebre ciclo di Jirel di Joiry – la prima eroina e protagonista del fantasy moderno – ed è un bellissimo racconto in cui si incontrano mondi alieni e magia oscura.

Le loro opere a quattro mani furono così numerose che, a partire dal 1940, anno del loro matrimonio, divenne impossibile stabilirne la paternità (o la maternità…).

In un’intervista, la Moore rivelò che persino per loro era difficile capire quanto ci fosse dell’una o dell’altro in un racconto. I rispettivi interventi si intrecciavano così fittamente che, spesso, quanto lasciato in sospeso da lei era ultimato da lui. Infatti, diceva la Moore, per lei era più semplice iniziare un racconto e Henry era più bravo a tracciarne l’epilogo.

F-327Insomma, una comunione sia sentimentale che intellettuale. Nella Moore, Kuttner aveva trovato ciò che gli mancava per sentirsi uno scrittore completo: uno stile elegante e barocco, vivido, evocativo, con tocchi di lirismo che ben si prestavano ad esprimere le rivelazioni sconvolgenti, le allucinazioni, i sorprendenti colpi di scena e le terribili verità tipiche delle sue storie.

Ormai scrittore a tempo pieno e stimato nell’ambiente fantascientifico, Kuttner continuò ad avvertire la mancanza di una preparazione scientifica perciò, dopo essersi trasferito in California, si iscrisse all’università, dove conseguì il Bachelor of Arts. Lavorava alla tesi per ottenere il Masters of Arts quando un attacco di cuore lo uccise, a soli 44 anni. Era il 1958.

La sua morte segnò il ritiro della Moore dal campo fantascientifico.

LE TEMATICHE E LO STILE

Kuttner era uno scrittore umano, umani erano i suoi protagonisti.

Il suo lavoro anticipa le tendenze di quelle opere che poi andranno sotto il nome di Fantascienza Sociologica (o Fantascienza Soft, ribattezzata New Wave negli anni ’60), in voga a partire dal dopoguerra.

Gli orrori del secondo conflitto mondiale, infatti, toglieranno respiro alle penne di molti scrittori, costringendoli a rivalutare la propria società, ad analizzare con occhio critico le contraddizioni che la caratterizza.

Queste pesanti riflessioni confluiranno in un nuovo genere di narrativa focalizzata non più tanto sull’avventura dell’esplorazione fine a se stessa, quanto sul futuro del mondo e sulle conseguenze dei conflitti nelle vite e sulle menti degli uomini.

FuriaKuttner è classificato fra gli autori della Golden Age ma le sue opere gettano furtivi sguardi premonitori che scavalcavano etichette e movimenti.

L’ottimismo acritico verso la scienza, così diffuso nella produzione fantascientifica dell’anteguerra, non era più proponibile dopo il dramma di Hiroshima.

Kuttner fu il primo autore a usare l’idea della distruzione atomica della Terra in Fury; delle mutazioni come empia eredità della guerra nucleare in Mutant. Da quel momento la fantascienza non fu più semplice intrattenimento ma un pretesto per indagare l’insolito, una critica alla civiltà delle macchine, uno strumento speculativo e una fonte di riflessione sul divenire dell’uomo, sulle possibili conseguenze del contatto con esseri provenienti da civiltà temporali non solamente aliene ma altre. L’esplorazione della mente, la distorsione dell’intelligenza, la follia, l’accettazione della perdita di se stessi nel fascino di un futuro che inghiotte e disperde: tutti temi cari a Kuttner.

Nella sua produzione il mistero, la civiltà futura, l’imprevedibile, il diverso in maniera inconcepibile irrompono nel quotidiano tran-tran di uomini qualunque con l’effetto di distruggerne l’equilibrio.

Qui sta la sua genialità: mentre il resto della fantascienza si inchina nella glorificazione del superuomo – con il quale il lettore non riesce a confrontarsi (troppo inferiore!) – i protagonisti di Kuttner sono quanto di più comune possa esserci: uomini e donne della classe media, impiegati, massaie, che vedono le loro attività quotidiane bruscamente interrotte dalla visita di alieni dal linguaggio incomprensibile, di gente che sbuca inaspettatamente dal muro del salotto, di misteriosi turisti dai tratti troppo esotici che assistono all’abbattersi di una catastrofe con lo stesso entusiasmo di chi ha i posti migliori a Teatro.

MutantIl futuro si incunea minacciosamente nel quotidiano e lo fruga per mero passatempo. È impossibile lottare contro tutto questo. L’unica resistenza praticabile è l’accettazione passiva: improvvisarsi burattini e danzare fino alla morte, o fino a quando queste “interferenze” si annoieranno e, così come sono apparse, se ne andranno.

Kuttner ci regala storie dove i ruoli di lettore e personaggio si ribaltano. Chiudere il libro sulla parola “fine” non è sufficiente perché dentro c’è il nostro mondo. L’immedesimazione è totale: la nostra percezione della realtà è la stessa dei personaggi e questo ci confonde e ci inquieta perché, a lettura finita, crediamo di avere assistito a uno scorcio di futuro plausibile.

L’EREDITA’ DI KUTTNER

Ebbene, all’inizio dicevo che molti maestri di genere oggi non sarebbero considerati tali senza il suo zampino intinto d’inchiostro.

Con Robots have no tails, lo svampito Gallagher – supergenio solo da sbronzo – e il suo vanitoso robot Joe hanno ispirato il duo Sheckleyano della serie A.A.A. Asso; Joe, in particolare, precorre gli automi di Simak.

clip_image018Sono moltissimi gli autori che ricordano Kuttner nelle loro opere. Roger Zelazny non ha mai fatto mistero dell’influenza che il romanzo The Dark World ha avuto sul suo ciclo Le Cronache di Ambra. Marion Zimmer Bradley dedicò a Kuttner, che vedeva come un esempio da eguagliare, il romanzo L’esiliato di Darkover.

“I consider the work of Henry Kuttner to be the finest science fantasy ever written”

Marion Zimmer Bradley

Anche Richard Matheson, amico dello scrittore, gli dedicò il suo romanzo del 1954 Io sono leggenda per ringraziarlo di averlo aiutato nella stesura. Per lo stesso motivo Ray Bradbury ringraziò Kuttner dedicandogli la sua prima raccolta di racconti, Dark Carnival: Henry lo aveva aiutato a scrivere le ultime 300 parole dell’horror The Candle, pubblicato nel 1942 su Weird Tales. Bradbury si rammaricava di come il talento di Kuttner fosse stato dimenticato.

Anche Il biglietto che è esploso di William Burroughs contiene citazioni su Kuttner.

La produzione di Kuttner (circa 225 opere tra romanzi e racconti) è ancora per la maggior parte inedita in Italia.

Il lavoro esemplare svolto dal Vegetti con il suo Catalogo della Fantascienza offre la bibliografia italiana di Kuttner: clicca QUI

Henry Kuttner è stato un grande autore, merita un posto sugli scaffali di ogni libreria. Non dimenticatelo, leggetelo.

Mariateresa Botta