Recensione: Star Man’s Son, 2250 A.D. (1954) di Andre Norton

Di Zeno Saracino

DBRKDQQGBK0000In seguito a un olocausto nucleare negli anni ’50, che ha trasformato gli States in una landa desolata e radioattiva, i sopravvissuti si sono organizzati in bande tribali, perseguendo ciascuno un diverso stile di vita. La tribù degli Eyrie risiede da secoli sulle montagne: gli schiavi e gli infermi gestiscono le colture idroponiche, mentre gli uomini più abili percorrono le strade degli “Old Ones”, dell’umanità pre bomba. La loro missione è trovare città e insediamenti umani intatti, per poterne saccheggiare le ricchezze: libri, tecnologie, artefatti di un’altra epoca. I “Mountaineers” hanno conservato l’abilità di leggere e scrivere e si considerano custodi dell’umanità di un tempo: si sforzano di comprenderne le tecnologie e tracciano mappe e diagrammi delle strade percorse. Il massimo prestigio all’interno di questo tipo di tribù deriva dalla scoperta e dall’esplorazione di una città conservatosi intatta dalle bombe, pronta al saccheggio.

Scendendo dalle montagne, le pianure sono un luogo insidioso.

Chilometri su chilometri di terreno grigio e desertico, quasi lunare: zone a tal punto contaminate dalle radiazioni da respingere gli umani anche a secoli di distanza. Qui vivono i “Lizard”, lucertole antropomorfe che abitano sottoterra, in completo isolamento. Altrove, la natura ha riconquistato con boschi e prati l’entroterra americano: le distese verdeggianti sono dominio dei “Plainsmen”, tribù nomadi simili ai mongoli delle steppe o ai nativi americani del Vecchio West. Inizialmente si trattava di rifugiati umani che non avevano altro modo di sfuggire le radiazioni che di muoversi continuamente, migrando senza fissa dimora. I “plainsmen” sono orgogliosi della propria libertà, ma in realtà il loro legame con la tradizione li rende testardi e facili all’offesa: hanno generalmente buoni rapporti con gli esploratori dei “mountaineers”.

L’Aeronautica Militare durante l’apocalisse nucleare, così come gli aerei di linea e chi disponeva di un velivolo, riuscì in alcuni casi a sfuggire alle radiazioni. Quando si esaurì il carburante, i piloti si trovarono ai confini con il deserto: non le “blow-out” zones, ma il deserto americano, proprio ad esempio di Las Vegas (Fallout, anyone?). I piloti e gli equipaggi, in larga parte afro-americani, hanno costituito una società di pastori e agricoltori, stanziale, che ricorda le società mesopotamiche della mezzaluna fertile. Il progressivo inaridirsi della poca terra rimasta, l’estendersi delle radiazioni e le eruzioni dei vulcani li hanno spinti negli ultimi anni verso le terre dei “plainsmen”, scatenando un conflitto tribale.

In agguato nelle città morte, c’è infine una terza razza: “The Beastie Things”. Si tratta di uomini che scelsero di restare nelle metropoli infettate dalle radiazioni, ritirandosi nel sottosuolo: mutanti mostruosi e scimmieschi, astuti e brutali. Aggrediscono gli eventuali esploratori dei “mountaineers” e sono odiati dalle altre tribù, “Lizard” compresi.

Fors è un giovane ragazzo della tribù degli Eyrie, che sogna un giorno di diventare uno “Star Man”: un esploratore rispettato e un membro a pieno titolo della tribù. Atletico e intelligente, Fors ha ricevuto la migliore formazione possibile dal padre, Langdon, che gli ha insegnato a leggere e a scrivere, a orientarsi e a combattere. Sono tuttavia anni che Langdon è scomparso, inghiottito dalle terre selvagge; senza la sua protezione, Fors rischia di venire declassato a umile schiavo, costretto fino alla morte a lavorare come agricoltore nelle montagne.

Fors sa infatti bene di non avere grandi possibilità: è un mutante, (quasi) un albino, dai capelli bianco-argentato. Ha ereditato dalla madre la visione notturna, mentre ha un legame telepatico con un gigantesco gatto selvatico addomesticato nell’infanzia: Lura, una sorta di tigre/animale-guida.

Fors è consapevole, dolorosamente consapevole della sua diversità rispetto ai “mountaineers”. Non esiste ambizione per lui più grande che essere accettato tra loro come pari, ma sa di essere un estraneo, un maledetto mutante. Nella notte prima di essere giudicato se “Star Man” o schiavo, Fors fugge con Lura e le poche cose che possiede: è l’inizio di una lunga odissea nel mondo del dopo bomba, tra combattimenti, scoperte e nuove amicizie.

Andre Norton, Caricature Portrait by David Ludwig

Star Man’s Son, 2250 AD è quel genere di romanzo completamente estraneo e allo stesso tempo stranamente familiare. E’ innanzitutto uno dei primi romanzi post apocalittici, nel 1954, quindi in contemporanea con la guerra in Corea e nel clima tutt’altro che “cold” delle tensioni maccartiste.

Il fatto che sia uno dei primi romanzi post apocalittici lo rende libero dagli stereotipi, dalle citazioni e dagli archetipi che hanno in seguito ammorbato il genere: non vi sono “vaults” per i sopravvissuti, così come risultano assenti tribù che adorano bombe inesplose, ragni e insetti giganti, mostruosi mutanti, robot impazziti e altri tropes fissati nell’immaginario collettivo dalla saga di Falllout.

Allo stesso tempo il fatto di scrivere nel 1950 e non negli anni ’60, ’70 , ’80, pone la Andre Norton a confronto con una tecnologia e un concetto di conflitto nucleare proprio di quegli anni: il romanzo è curiosamente -retrò nel senso che descrive motori a scoppio e tecnologie meravigliose per il 1950, ma oggigiorno sorpassate. Attualmente, quando si sceglie di collocare il conflitto nucleare nel 1950, come in Fallout, si modifica la linea temporale per includere una tecnologia atompunk avanti con i tempi; nel caso tuttavia di Andre Norton, la profonda ammirazione di Fors è rivolta verso camion e aerei di mezzo secolo fa. Fors ad esempio si stupisce per aver azionato un semplice camion: la leva del cambio, il volante, il pedale di avviamento diventano magici e incomprensibili artefatti.

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In tal senso, è possibile definire Star Man’s Son un romanzo che si avverte “estraneo”, perchè collocabile nella cultura del 1950 e nel contempo “familiare”, perchè anticipa e descrive tematiche che verranno continuamente riprese fino ad oggi.

Una cosa terrorizzante quando sono su Twitter e scatta l’hashtag relativo a un incidente in Nord Corea o al “rocketman” di Trump, è la quantità di persone sinceramente convinte che sia possibile sopravvivere a un conflitto nucleare. Sono davvero tanti gli utenti – docenti, giornalisti e intellettuali, niente affatto “analfabeti funzionali” – convinti che un attacco preventivo, con la morte di milioni e milioni d’innocenti civili nord coreani sia una soluzione auspicabile, anzi l’unica possibile. Tralasciando come sia facile giocare con le vite altrui dalla sicurezza degli States, sfugge alla gran parte dei commentatori come una guerra nucleare non sia qualcosa a cui “sopravvivere”: una volta scatenata quell’opzione, è tutto finito. Kaputt, Sayonara, Goodbye.

Questa consapevolezza era ben viva in Andre Norton nel 1954: a secoli di distanza, il continente americano rimane una landa preistorica, largamente disabitata e ostile. Vi sono regioni a tal punto contaminate che entrarvi equivale a morire, molte delle città sono altrettanto infettate dalle radiazioni e la civiltà degli “Old Ones” è scomparsa del tutto. Gli “Star Men” sono razziatori e il loro massimo conseguimento è saper leggere e scrivere, un privilegio riservato a pochi; i “plainsmen” sono invece selvaggi a cavallo, cacciatori e raccoglitori. Gli afro americani discendenti degli aviatori – una strana combinazione – i “Fly Men”, sanno quantomeno coltivare i campi e allevare le pecore, ma le loro abilità si fermano qui. Conservano ancora un aereo (un bombardiere?) di quei tempi, ma non hanno idea di come poterlo utilizzare.

La civiltà, nel romanzo di Andre Norton, ha fatto un passo indietro, o meglio è caduta all’indietro e non si è più ripresa. A differenza che nei film post apocalittici o nei videogiochi, Fors non ha modo di utilizzare un computer, di riattivare un antico impianto, di scoprire qualcosa di nuovo: quando visita una città abbandonata, si stupisce per aver scoperto delle matite colorate!

In the fourth shop he entered was something much better. An unbroken glass case contained a treasure even greater than all the museum had to offer. Shut out from dust and most of the destruction of time were boxes of paper — whole boxes with blocks of separate sheets — and also pencils! Of course the paper was brittle, yellowed, and easily torn. But in the Eyrie it could be pulped and re-worked into serviceable sections. And the pencils! There were few good substitutes for those. And the third box he opened held colored ones! He sharpened two with his hunting knife and made glorious red and green lines on the dusty floor. All of these must go with him. In the back of the shop he found a metal box which still seemed sturdy enough and into it he crammed all that he could. This — from just one shop! What riches could be expected from the city!

Il passaggio è un buon esempio dell’abilità della Norton di trasmettere la giovinezza e l’entusiasmo (quasi) bambinesco dell’eroe alla scoperta di carta&penna.

E’ facile immaginare la confusione della casa editrice e dei critici letterari quando il romanzo comparve nella sua prima edizione, nel 1952, con il titolo Star Man’s Son, 2250 AD.

Tutt’ora, nell’epoca della “distruzione” delle etichette e dei generi, quest’opera è uno strano esemplare. E’ un romanzo di fantascienza, certo: è ambientato nel futuro e dialoga con le conseguenze dell’uso improprio di una tecnologia, in questo caso dell’atomica.

BKTG12702E tuttavia… c’è tanto fantasy alla Sword&Sorcery, con la Norton. Il rapporto di Fors con il suo animale, Lura, sembra tratto da un racconto di Howard, così come le scene di combattimento, gli inseguimenti e le fughe. E’ un romanzo d’azione, dove l’elemento avventuroso fin dall’inizio prende il sopravvento sull’elemento fantascientifico. La ricostruzione del mondo post apocalittico attinge dal fantasy classico, mescolandovi il fascino antropologico della Norton per la vita tribale.

I “plainsmen” sono pellerossa romanticizzati, mentre i “fly men” si comportano come i nobili selvaggi di un’Africa mai esistita. Stringerebbero volentieri la mano a Conan il Barbaro, senza sfigurare in un quadro di Frazetta.

Il carattere “fantasioso” di Star Man’s Son viene espresso al suo meglio con i nemici, ovvero “The Beastie Things”. I minus habens che si definiscono recensori su Goodreads hanno criticato il romanzo, perchè l’antirazzismo della Norton viene rovesciato negli antagonisti della storia, che sembrano riassumere ogni possibile stereotipo razziale. In realtà sfugge a costoro come i “Beastie Things” siano mostri che attaccano i visitatori nelle città a ogni occasione, senza provare mai a trattare con gli umani. Sono sì mutanti, ma ormai alieni all’umanità, intenti solo a distruggerla.

Una delle migliori creazioni della Norton, “The Beastie Things” è una razza disgustosa, mostri cenciosi e cannibali. In effetti, con anticipo di trent’anni sull’universo di Warhammer Fantasy della Games Workshop, la Andre Norton descrive quelli che sembrano uomini-ratto:

They were probably no taller than he but their emaciated bodies perched on stick legs made them seem to top him. The grayish skin which was stretched tight over their sharp bones was deep grained, almost scaly, and their bodies were bare save for strips of filthy tattered stuff worn about their loins. But their faces — ! Fors forced himself to study, to study and file in memory what he saw. He tried to view those masks of horror with detachment. In general outline they were remotely human. But the eyes deep set in bone-rimmed pits, the elongated jaws above which the nose was only two slits — jaws equipped with a hunting beast’s fangs — sharp fangs never fully covered by thin vestiges of lips — those were not human. They were — he recoiled from the picture formed in his mind — they were rats!

Il legame e il paragone con i ratti è reso esplicito successivamente, quando Fors scopre che i nemici allevano i topi e li usano come cavie e riserva di carne viva.

I “Lizard” rivestono un ruolo minore nel romanzo, ma permettono alla Norton di introdurre il tema dell’adorazione degli idoli, che viene così inserito dentro un romanzo per bambini nell’America cristianissima degli anni ’50.

Prima di essere catturato dagli uomini lucertola, Fors aveva infatti saccheggiato il museo di una città in rovina: tra le tante cose, i “lizard” scoprono nello zaino diverse statuette egizie, che scambiano per effigi della propria divinità. Il paragone con il Conan howardiano e con il Conan filmico di Milius sorge spontanea.

“Arskane! Those figures — there in that hollow — they are the ones I brought from the museum — and they are making offerings to them — worshiping them!”

The southerner rubbed his hand down his jaw in the familiar gesture which signified puzzlement. Then he fumbled in the traveling pouch at his own belt and brought out a fourth figure.

“They do it, don’t you see — because of this!” Fors indicated the small head of the carving. Although the figure was human the head was that of a hook-billed bird of prey.

“One of those figures down there has the head of a lizard — or at least it looks like a lizard!”

“So. And thus — yes — I can see it!”

Questi elementi fantasy, destinati a un romanzo per bambini e adolescenti, incontrano tuttavia un altro elemento estraneo, ovvero un certo gusto per la violenza, anche esibita.

La Norton ad esempio descrive una trappola dei “Beastie Things” senza risparmiare sul sangue e sull’accuratezza dei dettagli:

It was a wicked trap — that pit — a trap artfully constructed and skillfully concealed with the matted covering. And it held its victims. The small deer had been dead for days, but the other body which, as his eyes adjusted to the dim light, he saw writhe weakly, must have lain there for a shorter time. The blood on the impaled shoulder still ran free. Sharp-pointed stakes had been set in the earth at the bottom, pointing upward to catch and hold the fallen for a tortured death. And the man who half hung, half lay there now had escaped that death by less than six inches.

daybreak-2250-ad-3Si noti in particolare quel “The blood (…) still ran free”.

Altrove nel romanzo, Fors è soddisfatto di combattere e uccidere i suoi nemici e al contempo il comportamento degli stessi non è esente da efferatezze, non ultimo il fatto dichiarato che si cibano di carne umana. Catturato dai “Beastie Things”, Fors è costretto a guardare un altro prigioniero venire torturato, ad esempio.

Sotto un profilo letterario, la scrittura di Andre Norton a fatica si eleva dalla mediocrità di un romanzo di formazione per lo Young Adult. Siamo nel campo della fantascienza pulp, se mi consentite la definizione: lo stile è funzione alla storia, con alcuni eccessi retorici nei dialoghi, specie nel finale. Al momento inedito in Italia, il romanzo è leggibile in originale senza difficoltà, con uno stile classico dalla difficoltà medio-bassa. Peccato per l’eccesso di avverbi e le descrizioni ancora legate al canone classico della descrizione fisica ricca di dettagli, che annoia il lettore.

Si veda ad esempio la descrizione di Lura, pure gradevole:

Because of that same plague the cats had changed. Small domestic animals of untamable independence had produced larger offspring with even quicker minds and greater strength. Mating with wild felines from the tainted plains had established the new mutation. The creature which now rubbed against Fors was the size of a mountain lion of pre-Blow-up days, but her thick fur was of a deep shade of cream, darkening on head, legs, and tail to a chocolate brown — after the coloring set by a Siamese ancestor first brought into the mountains by the wife of a research engineer. Her eyes were the deep sapphire blue of a true gem, but her claws were cruelly sharp and she was a master hunter.

I titoletti dei diversi capitoli commettono un involontario spoiler e in tal senso si segnala anche un eccesso di esclamativi. Nell’insieme, sebbene non si possa definire un capolavoro, il romanzo non annoia il lettore con tecnicismi o termini desueti: è una scrittura artigianale, adatta all’argomento.

Un elemento che è invece andato scomparendo nel genere post apocalittico è il legame di Fors con gli animali, che sia Lura, i cavalli, o la natura nel suo insieme. Se l’umanità non si è ripresa dal conflitto, il mondo naturale ha continuato il suo corso: il romanzo abbonda di descrizioni idilliache, tanto botaniche quanto faunistiche. Il corso indifferente della natura è reso efficacemente dalla Norton, così come il legame con Lura.

La prima parte del romanzo, quando Fors si limita a vagare nelle terre selvagge, è forse la migliore: vediamo con i suoi occhi le autostrade in rovina, i boschi e le pianure silenziose. Fors riesce ad ammaestrare un cavallo e viene continuamente aiutato da Lura, che considera suo pari. Non è il rapporto di un uomo con il suo cane, piuttosto un’intesa tra compagni di ventura, tra un uomo e una fiera razza di animali. Lura è per certi versi più intelligente di Fors, ma per chi ha familiarità con i felini, questa non sarà una sorpresa. Il romanzo in tal senso non segue una trama precisa e funziona al suo meglio quando si limita a un viaggio di scoperta, senza obiettivi precisi. Dalla seconda metà del romanzo in poi, Star Man’s Son si confonde e sembra incerto su quale direzione prendere; è chiaro come la Norton scrivesse a braccio, senza scaletta. La storia mantiene tuttavia un ammirevole climax, che trova il suo culmine nella battaglia finale.

Star Man’s Son è dunque un romanzo post apocalittico; di fantascienza, ma nel contempo fantasy; pubblicato in origine per bambini&adolescenti, ma in realtà con contenuti per adulti.

Una lettura a tratti “bizzarra”, ma invecchiata bene, che vale la pena recuperare.

Zeno Saracino

Zeno Saracino è il creatore e amministratore del portale CRONACHE BIZANTINE:

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