Speciale P.K.Dick – Non c’è giustizia a questo mondo: “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968)

SpecialePhilipDickSarà capitato a tutti quelli che amano Dick di dire a qualche amico che non lo conosce: “hai presente Blade Runner?” Ora, se il vostro amico sta sotto i vent’anni, lasciate stare, c’è il serio rischio che, come molti miei studenti, non sappiano di cosa si tratta (i miei studenti all’inizio dell’anno scolastico, intendo; dopo un anno con me sicuramente avranno colmato almeno questa lacuna).

Ma gli Androidi Sognano Pecore ElettricheAllora, vista la fama del film, che ha portato tanta gente a scoprire Dick (qualcuno l’avrà anche scoperto a causa di Minority Report o Atto di forza, ma non so se si saranno sentiti invogliati a leggere i racconti dai quali erano stati tratti), dovendo cominciare questa serie di articoli parto proprio da quello che in America è noto come Do Androids Dream of Electric Sheep?, che uscì nel fatidico 1968 (fatidico più per noi in Italia ed Europa che negli Stati Uniti; lì l’anno della protesta giovanile fu il 1967).

Il romanzo uscè quasi subito in Italia, e più precisamente nel 1971 – non su Urania perché Fruttero & Lucentini, che all’epoca dirigevano la rivista, dopo un inizale innamoramento per lo scrittore di Chicago se ne tennero alla larga per tutti gli anni Settanta.

Ora qualcuno potrà dire: come, Chicago? Ma non era californiano? Be’, avrebbero quasi ragione. Dick a Chicago ci nacque solamente, nel 1928; la maggior parte della sua vita trascorse prima nella zona della Baia di San Francisco, poi, dal 1971 in poi, a sud di Los Angeles. E sicuramente la maggior parte dei suoi romanzi sono ambientati nello stato delle arance, del cinema e della Apple. Anche questo, la cui storia si svolge proprio a San Francisco in un futuro non prossimo, ma neanche lontanissimo.

Passiamo alla trama, ma prima accenniamo a un fatterello apparentemente insignificante ma in realtà degno di nota. Questo romanzo scaturisce da un’idea presentata in un racconto, “I seguaci di Mercer” risalente a quattro anni prima (parlo dell’edizione originale, in Italia venne pubblicato solo nel 1981). Nel periodo in cui Dick scrisse Ma gli androidi… il nostro lavorava a velocità folli. Doveva pagare gli alimenti già a due mogli (Kleo Apostolides e Anne Rubinstein) e ne manteneva una terza (Nancy Hackett); dalla seconda aveva avuto una figlia, e pure dalla terza.

blade-runnerO meglio no, scusate, Kleo era la seconda e Anne la terza perché prima della Apostolides ce n’era stata un’altra durata solo sei mesi e sparita senza lasciare tracce (non ce ne sono foto, e i biografi di Dick non sono mai riusciti a rintracciarla). Vi siete persi? Be’, non è niente di strano. La vita di Dick è un romanzo, e vedrete in future puntate che se n’era accorto anche lui. Comunque Dick aveva bisogno di soldi, quindi scriveva romanzo dopo romanzo, di solito in un paio di settimane, ingollando manciate di pasticche di anfetamina per tenersi sveglio e in tiro, cosa che poi gli creò non pochi problemi. Non era quindi niente di strano prendere un’idea che già aveva sfruttato in un racconto e usarla come punto di partenza per un romanzo.

Due parole sulla trama, che sicuramente conoscerete. Il romanzo non è proprio uguale al film. Spicca la grande differenza tra Rick Deckard nel romanzo, un uomo qualsiasi, per di più un brav’uomo, sposato e ligio al dovere, mentre nel film è un duro semi-chandleriano, interpretato – mancando Humphrey Bogart – da una star del calibro di Harrison Ford. Altra grande differenza: nel Director’s Cut e successive versioni del film, alla fine si scopre che anche Rick è un replicante; mentre nel romanzo, anche se a un certo punto viene preso per un androide dalla polizia, il protagonista è senza dubbio umano.

do-androids-dream-of-electric-sheepIl Deckard di Dick è assillato da un grosso problema etico. Sa bene che la differenza tra gli umani e gli androidi è che i primi hanno emozioni e sono capaci di amore, cioè di immedesimarsi negli altri (la famosa “empatia” che gioca un ruolo cruciale nel mondo narrativo dickiano), mentre i secondi sono creature artificiali prive di sentimenti, crudelmente indifferenti alla sofferenza altrui (come Roy Baty, il capo della banda di androidi fuggiaschi, meno atletico e più infame del personaggio interpretato da Rutger Hauer nel film). Ma allora che razza di creatura sarebbe il cacciatore di androidi, è pagato per uccidere creature semi-umane? È una macchina assassina priva di sentimenti, quindi androide come le sue prede? Oppure un essere umano che non può restare indifferente alla morte che procura? Ma così si rischia di esitare (come quando Rick deve eliminare la cantante Luba Luft) e quindi di dare agli androidi la possibilità di farla franca; oppure di vivere in una contraddizione tanto lacerante da portare alla pazzia.

Il tema dell’artificiale e dell’autentico non si materializza narrativamente solo nella caccia agli androidi (con tutti i paradossi che ingenera, inclusa la vertiginosa scena in cui il poliziotto Deckard viene portato in un commissariato fasullo dove tutti gli agenti sono androidi fuggiaschi); c’è anche l’altro filone degli animali artificiali, al quale il film allude solo di sfuggita. Una catastrofe nucleare ha estinto tutti gli animali domestici: i pochi rimasti sono costosissimi e sono esclusivi status symbol da ricconi. La gente comune, come Rick e consorte, si accontenta di “pecore elettriche”, cioè di androidi di animali che accudisce come fossero veri (nel caso di Rick, una capra fasulla).

Non basta: nel mondo futuribile immaginato da Dick una nuova religione ha soppiantato le altre, il Mercerismo, basato sulla figura di Mercer, un santone/martire nel quale ti puoi identificare tramite un macchinario che ti consente di vivere in prima persona le sofferenze patite dal sant’uomo (il cui supplizio è di salire su una montagna, bersagliato da pietre). Ma anche questa religione, come rivela un personaggio televisivo (che è anch’egli un androide in incognito), è una truffa, Mercer era un attore, la scena del suo martirio è stata realizzata in uno studio televisivo, si tratta di un business messo in piedi per sfruttare le ansie mistiche della gente.

coverEppure proprio la divinità fasulla, l’inverosimile Mercer (la cui religione non a caso si basa sull’idea dell’empatia e dell’immedesimazione nei deboli e nei perdenti), aiuterà Rick a uscire da un momento di profonda crisi; il finto santo quindi offre un aiuto reale. Come sempre nei romanzi di Dick l’autenticità e la simulazione si alternano in un vorticoso gioco di rivelazioni, smentite, spiazzamenti, colpi di scena, smascheramenti, che ha il vero scopo di farci riflettere sulla linea di confine tra vero e falso, tra androide e umano, tra cacciatori e prede. Nonché di interrogarci sulla natura del male, uno dei temi ricorrenti nella scrittura di Dick, fino alle ultimissime opere.

Questo romanzo teso, compatto, basato su una trama da vero thriller, ma percorsa da brividi metafisici, ha avuto fortuna non solo sullo schermo cine/televisivo, ma anche in termini di riscrittura letteraria: è infatti alla base di un altro notevole romanzo americano, il surreale Musica per archi e canguro di Jonathan Lethem.

Ultima noticina. Mentre Ridley Scott stava girando il film, Dick venne invitato a visitare il set. Si mise l’abito della festa e andò, e si chiuse per un’oretta in una stanza col regista. Il resto della troupe stava di fuori, e si preoccupò date le grida rabbiose che provenivano dall’interno. Ma che stava succedendo? Si stavano prendendo a cazzotti? Alla fine escono Scott e Dick, sorridenti, e quando chiedono allo scrittore cos’era successo, lui dice: “No, niente, gli ho chiesto di fare delle modifiche e lui mi ha spiegato perché non si potevano fare”. Comunque, quando proiettarono delle scene già girate per Dick, lui si voltò stupefatto e disse che non capiva come avevano fatto a tirargli fuori quelle cose dalla testa; da quel momento in poi fu contentissimo per il film e ne parlò benissimo.
Finale tragico: il film completo e montato Dick non lo vide mai. Morì, stroncato da un infarto, il 2 marzo 1982. Il film uscì nelle sale nel giugno dello stesso anno. Non c’è giustizia a questo mondo, vero?

Umberto Rossi

Philip K. Dick

L’AUTORE

Philip Kindred Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982) è stato uno scrittore statunitense. La fama di Dick, noto in vita esclusivamente nell’ambito della fantascienza, crebbe notevolmente nel grande pubblico e nella critica dopo la sua morte, in patria come in Europa (in Francia e in Italia negli anni ottanta divenne un vero e proprio scrittore di culto), anche in seguito al successo del film Blade Runner del 1982 liberamente ispirato a un suo romanzo. In vita pubblicò quasi solamente opere di narrativa fantascientifica – un genere all’epoca considerato “di consumo” – ed è stato successivamente rivalutato come un autore postmoderno precursore del cyberpunk e, per certi versi, antesignano dell’avantpop. Gli sono stati dedicati molteplici studi critici che lo collocano ormai tra i classici della letteratura contemporanea. Temi centrali dei suoi visionari romanzi sono la manipolazione sociale, la simulazione e dissimulazione della realtà, la comune concezione del “falso”, l’assuefazione alle sostanze stupefacenti e la ricerca del divino.

Nato a Chicago, con la sorella gemella Jane, in una famiglia dai legami burrascosi (la madre, da lui descritta come nevrotica, divorziò dal padre pochi anni dopo la nascita dei gemelli), Philip Dick trascorse un’infanzia e un’adolescenza solitarie e tormentate: la sorellina morì a poche settimane dalla nascita (Dick le rimase sempre legato, e decise di essere seppellito accanto a lei); dopo il trasferimento in California, frequentò l’Università di Berkeley, ma non concluse gli studi a causa della sua militanza nel movimento contro la guerra di Corea e del suo pacifismo(per continuare gli studi universitari avrebbe dovuto sostenere un corso di addestramento – ROTC – come ufficiale della riserva, all’epoca obbligatorio), che lo portarono ad avere problemi col maccartismo di quegli anni. Iniziò a lavorare in un negozio di dischi dove conobbe la prima moglie, Jeanette Marlin (il matrimonio durò da maggio a novembre ’48). Le sue affermazioni secondo cui in quel periodo avrebbe lavorato in una radio locale non sono mai state provate, anche se è possibile che abbia scritto testi pubblicitari per qualche emittente di Berkeley. Sicuramente la nascita della sua conoscenza e del suo amore per la musica classica precedette gli anni in cui lavorò come commesso nel negozio di dischi.

L’incontro con la fantascienza avvenne, forse per caso, e forse nel 1949 (ma il suo primo racconto, “Stability” Stabilità, pubblicato postumo, fu scritto nel 1947), quando invece di una rivista di divulgazione scientifica ne acquistò per sbaglio una di fantascienza (la circostanza non è certa). Esordì nel 1952 sulla rivista Planet Stories. Lasciata la prima moglie, si risposò con Kleo Apostolides (dal 14 giugno 1950 al 1959), militante comunista di origini greche. In questo periodo pubblicò i primi romanzi e una notevole quantità di racconti. Il matrimonio con Kleo andò in crisi quando Dick si trasferì nella zona rurale di Point Reyes, a nord di San Francisco, in quella Marin County che fu l’ambientazione di diverse opere (tra tutte Cronache del dopobomba). Lì conobbe Anne Williams Rubinstein, che diventò la sua terza moglie (rimasero sposati dal 1º aprile 1959 all’ottobre 1965). Era una donna colta e di forte personalità, vedova e madre di tre figlie, che gli diede una figlia: Laura Archer (25 febbraio 1960). Dick si trasferì a casa di Anne, e per mantenere la famiglia e il tenore di vita della moglie abbandonò la fantascienza, poco remunerativa e per niente prestigiosa, per tentare di occuparsi di narrativa mainstream. Ma Dick visse ciò come una sconfitta, di cui considerò responsabile la moglie. Il fallimento come “nuovo” autore fu la goccia; il matrimonio andò a pezzi, Dick si convinse che la moglie avesse assassinato il precedente marito e che avrebbe fatto lo stesso con lui. Divorziarono nel 1965, e Dick si trasferì a San Francisco.

Dick assumeva anfetamina fin dai primi anni Cinquanta, sostanza che gli era stata prescritta dallo psichiatra che gli aveva diagnosticato una lieve forma di schizofrenia; l’anfetamina era usata per combattere gli stati depressivi di cui lo scrittore soffriva occasionalmente. Man mano Dick sviluppò una vera e propria tossicodipendenza dalla sostanza, che lo agevolava nella stesura delle sue opere. L’abuso di stimolanti raggiunse livelli allarmanti durante la seconda metà degli anni Sessanta, proprio mentre l’autore scriveva due dei suoi romanzi più importanti (Il cacciatore di androidi e Ubik). La rottura con la quarta moglie, Nancy Hackett (sposata dal 6 luglio 1966 al 1972), che lo abbandonò assieme alla figlia Isolde Freya (ora Isa Dick Hackett ) (15 marzo 1967), e la morte del suo carissimo amico Jim Pike, mandarono Dick alla deriva; lo scrittore si trovò a vivere in una casa di sbandati, e la situazione arrivò al punto critico quando, in sua assenza, la sua abitazione subì un’effrazione durante la quale sconosciuti forzarono il suo schedario blindato (Dick fece innumerevoli ipotesi sulla loro identità, arrivando a sospettare che fossero agenti dell’FBI; a tutt’oggi la questione non è stata chiarita). In seguito Dick partecipò a una conferenza sulla fantascienza a Vancouver, in Canada, e decise di stabilirvisi. Anche l’esperienza canadese fu però un fallimento, dovuto al consumo eccessivo di psicofarmaci e alla mancanza di denaro. Dick si fece ricoverare in una comunità di recupero pertossicodipendenti, la X-Kalay, un’esperienza breve che però lo aiutò chiudere con le anfetamine. Molti eventi e situazioni risalenti al suo percorso esistenziale di questo periodo ebbero un ruolo importante nel suo romanzo Un oscuro scrutare. Tornato in California, Dick si stabilì alla periferia di Los Angeles e nel 1972 riprese a scrivere, anche in seguito all’incontro con Leslie (Tess) Busby (18 aprile 1973-1977), la quinta moglie, dalla quale ebbe il terzo figlio, Christopher Kenneth (25 luglio 1973). Tra il febbraio e il marzo del 1974 Dick iniziò a sentire voci e avere visioni in sogno e da sveglio. Convinto di vivere un’esperienza mistica, Dick prese a scrivere l’Esegesi, una vasta raccolta di appunti a carattere teologico-filosofico a partire dai quali scrisse la celebre Trilogia di Valis, punto d’arrivo della sua esperienza letteraria.

Morì a Santa Ana, in California, per collasso cardiaco, nel 1982, proprio quando i diritti delle sue opere cominciavano a dargli per la prima volta una certa sicurezza economica, e mentre era in lavorazione il primo film basato su una delle sue storie: Blade Runner, di Ridley Scott, che Dick non poté vedere completato, anche se riuscì a visitarne il set. (Biografia tratta da Wikipedia)

Una risposta a “Speciale P.K.Dick – Non c’è giustizia a questo mondo: “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968)”

  1. No, non c’è giustizia in questo mondo, almeno per un uomo come Dick, che è stato un grande scrittore, prima ancora che uno scrittore di fantascienza. Il suo stile è unico: inquietante nel modo di raccontare qualcosa, come se debba sempre succedere qualcosa di terribile, anche quando la situazione è tranquilla. Uno scrittore che inquieta perché scruta nella psiche umana. Grande Dick!

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