SETTE CHIAVI PER L’IGNOTO, un’antologia del 1967

SETTE CHIAVI PER L'IGNOTO, un'antologia del 1967

Da “Il futuro alla gola” a “Storie di fantamore”, da “C’è sempre una guerra” a “Per il rotto della mente”, Urania è venuta via via proponendo un insieme di nutriti volumi antologici che sono ormai “obbligatori” per ogni vero lettore di fantascienza. Queste “Sette chiavi per l’ignoto” – che riuniscono sotto il segno dell’evasione classici come Dick e Sturgeon, Laumer e Young, Leiber e Silverberg – continuano la memorabile serie: una serie che, nell’equivoco disordine della produzione corrente, segue una linea di costante qualità e organicità; una serie che apre un ventaglio di temi originali e di prospettive stimolanti, mettendo nello stesso tempo sott’occhio al lettore italiano tutto ciò che realmente conta nel fertile e sempre più vario campo della “short-story” anglosassone di fantascienza. (Mondourania)

 

Sette chiavi per l’ignoto è una interessante antologia pubblicata nel luglio 1967 da Mondadori nell’allora quattordicinale Urania (“Le antologie”, 466).
Riunisce sette racconti di autori diversi, tutti statunitensi, il cui comune denominatore è l’ignoto.
Se vi dovesse capitare di incrociarla in mercati dell’usato, fisici o digitali, acquistatela perché alcuni dei racconti non hanno più avuto una traduzione italiana dopo il 1967.
Poiché sono tutti di magistrale scrittura, un piccolo approfondimento per ognuno aprirà sicuramente ulteriori domande e scoperte. Vediamo chi sono gli autori e quali i racconti.

J.K. Laumer

John Keith Laumer (1925 – 1993) è stato uno autore di fantascienza. La sua produzione conta numerose serie, romanzi, molti racconti.
Nel 1971, dopo un ictus che lo ha immobilizzato, ha dovuto smettere di scrivere. Ci ha ritentato qualche anno dopo, ma la vena artistica, corrosa dalla sua condizione, a cui comunque non ha mai mostrato di arrendersi, gli ha precluso di tornare ai fasti anteriori all’incidente.

Ha cominciato a scrivere nel 1959, raccontando storie che si dipanano nel tempo e nello spazio, con protagonisti solitari ed eroici per volontà e determinazione, disposti al sacrificio di se stessi per arrivare all’obiettivo. Anche la trascendenza è uno dei suoi leit-motiv.
Inoltre, parte della sua produzione appartiene a quel genere di sperimentazione – sia di forma (stile) che contenuto – assimilabile alla cosiddetta New Wave scientific fiction statunitense degli anni Sessanta e Settanta, un movimento di letteratura fantascientifica in contrapposizione al tradizionale concetto di fantascienza pulp, denominato invece hard science fiction, dove predominano accuratezza per l’analisi scientifica e predittività.

Evasione nell’assurdo, di Keith Laumer (It Could Be Anything, 1963), apparso anche con il titolo A Trip to the City nel 1967, è un racconto lungo.
Non mi risulta ci siano state ulteriori traduzioni in lingua italiana dopo il 1967.

Brett, soffocato dalla provinciale cittadina in cui è cresciuto, decide di partire perché vuole vedere la città e cercare un futuro. Durante il viaggio, mentre è nel bagno sente il treno rallentare e, quando riesce con qualche difficoltà a uscirne, si ritrova su un treno vuoto. Scende e comincia a camminare, in lontananza ha visto una città…

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L’idea di recensire l’antologia mi è venuta da questo primo racconto di Laumer, che ho trovato ottimo per la qualità dell’idea fondante e dello sviluppo universale, dove per universale intendo una narrazione in grado di parlare ai lettori di ogni tempo, avulsa perciò dall’essere coinvolta da una corrente politica, sociale o di costume.
È sempre un ristoro leggere qualcosa che non sia propaganda. E per riuscirci, a volte occorre fare un passo indietro, non perché gli anni Sessanta siano stati esenti da coinvolgimenti di dubbia natura, piuttosto perché è stato un periodo in cui le paure, le paranoie, le precognizioni circa il tempo che stiamo vivendo adesso potevano ancora essere viste con una certa oggettività.
Si presentavano, cioè, per chi volesse vederle, ancora a uno stato di potenzialità. Stavano per nascere, ma non erano ancora.
Attraverso una metafora, o nel racconto di finzione, era quindi possibile mostrare che cosa poteva nascondersi dietro l’angolo che sarebbe stato il mondo odierno. All’essere sociale di oggi, poiché queste metafore non sono più potenzialità ma realtà acquisite, appaiono velate e dai contorni indistinguibili, in generale quindi incomprensibili. Riconoscere la metafora nel momento in cui la si sta vivendo costringe a un esame e a un riordinamento totali del proprio punto di vista soggettivo, geografico, temporale, culturale, insomma investe un po’ tutte le sfere dell’attività umana. Chi è disposto?
Niente di nuovo sotto il sole, d’accordo: ogni epoca ha visto nell’immediato passato quello che si preparava in nuce. Nella nostra di adesso molto si trova negli anni Sessanta.

Resta inteso che è inutile leggere, ascoltare musica, vedere un film o una pittura, passeggiare in un bosco, fare l’amore, se diventano una ripetizione acefala e priva di stimolo creativo, un prodotto di consumo a cui ne seguirà un altro simile, a poi un altro ancora, in un’eterna ripetizione di se stessa. Inutile farlo anche con questa antologia.
Non è il testo o il film o il bosco che apriranno all’illuminazione, ma restano ottimi strumenti per accedere a una sfera di comprensione nel caso ci sia l’intento di capire.
Bene, questi sono i pensieri su cui ho riflettuto dopo aver letto il primo racconto, e non mi è parso poco.

It could be anything è un potente specchio di quanto ci troviamo a vivere oggi. Fuori e dentro di noi. Forse il racconto più bello dell’antologia.
Non è una storia di uomini e donne, ma dell’essere umano; con emozioni, obiettivi, ideali comuni a entrambi.
Il nucleo narrativo, infatti, sta nella ricerca e nel riconoscimento reciproco dell’essere umano e delle sue qualità peculiari. Azioni che, il lettore potrà ben constatarlo, diventano difficili a verificarsi perché…
Chi non riconosce tradisce se stesso e l’essenza umana. E nel processo di disumanizzazione che comporta il rifiuto al riconoscimento, diventa servo dell’alienità. Anzi, si aliena per consenso.

Philip K. Dick

Sullo scrittore Philip Kindred Dick (1928 – 1982) non spendo una parola. Il film Blade Runner del regista Ridley Scott (1982) è basato sul suo romanzo Il cacciatore di androidi.
Minority Report di Steven Spielberg (2002) basa la storia sul suo racconto Rapporto di minoranza.
Chi non ha mai letto Dick, sono sicura che abbia visto almeno una delle due pellicole.

Il racconto breve Il sobborgo dimenticato, di Philip K. Dick (The Commuter; 1953), dopo questa prima edizione è apparso in traduzione italiana più volte, anche con il titolo Il pendolare.
Appare con quest’ultimo nell’ultima pubblicazione che lo contiene: Tutti i racconti 1947 – 1953 (“Collezione Dick, 28”; Fanucci, 2006).

Alla stazione ferroviaria, il signor Critchet chiede un biglietto per Macon Heights. Il bigliettaio gli fa notare che il luogo non esiste, l’uomo ribatte che è impossibile perché ci vive e fa la spola per lavoro da casa sua alla città ogni giorno.
In seguito a questo incidente che assume sempre più una valenza irreale, si apre una frattura su cui il vice direttore ferroviario Paine comincia a indagare…

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Che cosa succederebbe se un giorno ciò che abbiamo immaginato diventasse realtà? La risposta è una domanda: abbiamo immaginato incubi oppure abbiamo dato vita a sogni?
O ancora. Che cosa succederebbe se la nostra ignavia prendesse consistenza e le mancate azioni diventassero la realtà? Che ci si ritrovi felici o meno, dipende sempre da quello che abbiamo posticipato.

Insomma, pare proprio che realtà e immaginazione si modellino a vicenda. Per fortuna – forse non se ne rendeva nemmeno conto – il signor Paine…

Theodore Sturgeon

Theodore Sturgeon (1918 – 1985) è reputato uno dei migliori scrittori dell’Età d’oro della fantascienza, insieme ad altri del calibro di Isaac Asimov o Arthur C. Clark. Esordì sulla rivista Astounding.
Tra le molte cose, scrisse le sceneggiature di alcuni episodi della serie Star Trek introducendo la Prima direttiva, cioè la norma per cui è vietato interferire nello sviluppo di una civiltà che ancora non sia arrivata al viaggio interstellare.

Nell’antologia è contenuto il suo racconto breve Evasione e ritorno (The Way Home, 1953).
Il racconto appare in Italia con un titolo diverso (Via da casa) una seconda volta in una antologia di Sturgeon: Luci e nebbie (“Urania”, 1045; Mondadori, 1987). L’antologia originale è A Way Home, 1955.

Mentre i primi due racconti appena visti hanno in comune la figura del treno, The Way Home di Sturgeon si accomuna con It Could Be Anything di Laumer per l’immagine della fuga.
Il protagonista, infatti, è un ragazzo di nome Paul che un bel giorno decide di scappare da casa. Durante la fuga incontra alcune persone che lo faranno pensare…

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Il racconto è costruito in modo semplice, così semplice che il finale riesce commovente.
A volte abbiamo le risposte davanti a noi e non le vediamo.
Ci danniamo per fare, andare, concludere, desideriamo senza accorgerci che tutto quello che occorre è solo aprire gli occhi e vedere.

Fritz Leiber

Fritz Reuter Leiber jr., (1910 – 1992), autore pluripremiato e uomo di interessi eclettici, ha scritto fantascienza e fantastico, sfruttando anche elementi orrorifici.
Esordì su riviste pulp nel 1939, mostrandosi fin da subito una penna colta ed elegante.

La prigione di cristallo di Fritz Leiber (The Crystal Prison, 1966 ) apparve pubblicato in originale sulla rivista Galaxy nell’aprile 1966.
Sembra quasi impossibile, ma l’unica traduzione italiana esistente di questo racconto pare contenuta nella presente antologia.

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Con brevi e scanzonate pennellate l’autore descrive un mondo quasi ideale, se non fosse che questa società è retta da vecchi ultracentenari che, per il loro bene, tengono in condizioni di sottomissione giovani che non vengono reputati adulti se non dopo i trent’anni.
Ma i due ragazzi protagonisti hanno sviluppato per se stessi sogni diversi da quelli che bisnonni e vecchie zie hanno deciso per loro…

Dopotutto, ciò che sembra ideale o benefico a prima vista, nasconde baratri di inconsistenza che, istituzionalizzati, finiscono col diventare una drammatica distopia.
La storia è di una disarmante linearità, quasi una storia per ragazzi, ma coglie il bersaglio e fa riflettere.

SETTE CHIAVI PER L'IGNOTO, un'antologia del 1967
Norman Spinrad

Norman Spinrad (1940) iniziò la sua carriera di scrittore nel 1963, fu anche autore di alcune sceneggiature di Star Trek, Serie classica.
Il suo romanzo Il signore della svastica, in cui raccontava di un Adolph Hitler ucronico, incappò nella censura tedesca.

Anche Evasione nella droga, di Norman Spinrad, pubblicato in originale con il titolo Neutral Ground sulla rivista The Magazine of Fantasy and Science Fiction nel novembre 1966, sembrerebbe godere del fatto di poter essere letto solo in questa antologia.

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Si tratta di un racconto di lunghezza media, pervaso da un’angoscia crescente e misteriosa che deriva dalle anomale esperienze del protagonista.

La scienza ha trovato una sostanza, chiamata Psychion-36, che permette di fare i Viaggi previa inoculazione. Non si sa esattamente dove la sostanza conduca, se in mondi interiori oppure fisici, e nemmeno se questi mondi fisici appartengano alla nostra galassia. Il protagonista è convinto che questi Posti esistano per davvero…

Robert F. Young

Robert Franklin Young (1915 – 1986) è stato un autore prolifico. Ha scritto per trent’anni, pur essendo poco conosciuto dal pubblico, e solo alla fine si seppe che era un bidello del sistema scolastico di Buffalo. Ha scritto cinque romanzi e un mare di racconti.
Per il suo stile poetico e romantico è stato accomunato a Ray Bradbury e Theodore Sturgeon.

Il sesto racconto, Viaggio sul fiume, di Robert F. Young (On the River, 1965) apparve in originale su Fantastic Stories of Imagination, nel gennaio 1965. Per questo la maggior parte delle bibliografie danno, invece, l’anno 1964.
In traduzione italiana compare in questa antologia e poi, col titolo Sul fiume, nel 1982 in Avventure tra i mondi, Il contatto con i mondi alieni (“Enciclopedia della Fantascienza, 8”; Fanucci Editore).

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Farrel sta viaggiando in barca e a un tratto vede una ragazza, Jill, che gli fa segno di fermarsi. Il loro incontro risveglia sentimenti assopiti che, in una lenta ascensione attraverso la compagnia reciproca, li porta a comprendere cosa c’è dietro il fiume.
Una storia delicata, magica, profonda.

SETTE CHIAVI PER L'IGNOTO, un'antologia del 1967
Robert Silverberg

Robert Silverberg (1935), pluripremiato e prolifico autore, oltre a essere stato curatore editoriale ha scritto romanzi, racconti, saggi, e anche sceneggiature, tra cui un episodio della Prima serie di Ai confini della realtà (The Elevator, L’ascensore, 1986).

L’ultimo racconto dell’antologia, Evasione tra i mostri (By the Seawall, 1967), venne pubblicato sulla rivista IF (gennaio 1967) durante la storica direzione di Frederik Pohl.
In Italia si trova in questa antologia e in un’altra dedicata esclusivamente a Silverberg, Buone Notizie dal Vaticano (“Oscar, 917”; Mondadori, 1979), con il titolo Il guardiano della muraglia.

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Nella Terra di questo racconto esistono mostri marini, originati da una non meglio precisata catastrofe, che l’umanità ha rintuzzato erigendo mura possenti a ridosso dell’oceano e sorvegliate da sintetici, esseri artificiali che non sono robot ma il prodotto di una manipolazione genetica.
Una curiosità indicativa è il nome dei sintetici, tutti appartenenti a profeti biblici. Il nostro protagonista, per esempio, è Micah-IV, cioè Michea, uno dei profeti minori dell’Antico Testamento.

Il tema del muro è ricorrente in letteratura e nelle arti in generale: basti pensare a Le mur di Jean-Paul Sartre, a The Wall dei Pink Floyd, fino ad arrivare alla pittura parietale della moderna art street.
Dove c’è il simbolo del muro c’è una barriera, fisica o interiore. A seconda di come ci si pone e si agisce nei confronti del muro sta la molteplice configurazione, e l’evoluzione, di un essere pensante. E anche il suo riscatto.

 

We don’t need no education
We don’t need no thought control
No dark sarcasm in the classroom
Teachers leave them kids alone
Hey! Teachers! Leave them kids alone! (…)