Film: “Alien” (Alien, 1979) diretto da Ridley Scott

Articolo di Alessandro PinAlienL’astronave Nostromo sbarca su un pianeta da cui proviene un SOS, ma la colonia sembra essere disabitata. Nel corso di una ricognizione, un membro dell’equipaggio viene attaccato da un essere a forma di ragno. La situazione precipita: i coloni sono stati in realtà sterminati da una razza aliena che ha trasformato la base in una gigantesca covata. L’idea della specie aliena che usa il corpo degli esseri umani come ospite per la proliferazione parassitaria non era nuova già nel 1979 – basti pensare a L’invasione degli Ultracorpi di Siegel. Eppure l’alieno, concepito dalla follia visionaria di H.R. Giger e realizzato da Carlo Rambaldi, è divenuto nel corso degli anni una vera e propria icona, cinematografica e non solo. Esempio sublime di bellezza e malvagità, può essere visto come una versione estrema di “dark lady” – e non a caso, forse, è femmina, nera e sfuggente. Una specie totalmente priva di qualsiasi moralità, che ha come unico scopo la sopravvivenza e la riproduzione, è una trovata geniale nella sua semplicità: gli alieni hanno la stessa psicologia delle mosche, ma in più sono estremamente letali. Lo stesso titolo, Alien, sembra riferirsi tanto all’essere alieno quanto all’ambiente entro cui si svolge la storia: le creature divengono padrone di tutto ciò che serve al loro scopo, tanto dei corpi usati come materia prima organica quanto della base spaziale, nonostante questa sia opera degli uomini. L’angoscia generata dal film sta proprio nel disperato girovagare dell’equipaggio tra i claustrofobici labirinti della colonia, in cerca di un’impossibile salvezza. Sale progressivamente, nei personaggi e nel pubblico, la consapevolezza che gli alieni braccano gli umani come il gatto fa col topo. Un gioco crudele che al topo riserva solo due finali: la fuga, o la morte. La più inquietante meditazione sul ruolo della specie umana nel cosmo che il cinema abbia mai offerto

Titolo originale: Alien | Genere: fantascienza | Durata: 118 min | Paese: Regno Unito, Stati Uniti d’America | Anno: 1979 | Distribuito da 20th Century Fox | diretto da Ridley Scott | Casa di produzione: 20th Century Fox

Per vedere un’altra rivoluzione cinematografica di genere fantascientifico, dopo il capolavoro di Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio del 1968, dobbiamo attendere la fine degli anni Settanta. Dopo Guerre stellari (1977) di George Lucas e Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) di Steven Spielberg, lo spazio non è più lo stesso. Le battaglie spaziali ci hanno regalato forti emozioni, la crescita di giovani eroi ci ha conquistato e appassionato, ci siamo affezionati e abbiamo creduto in loro. Il coraggio e il disorientamento dell’uomo di fronte alla consapevolezza di non essere solo nell’universo ci ha fatto riflettere. Nel 1979 Ridley Scott ha provato con Alien(riuscendoci pienamente) a inserirsi in questo genere esploso proprio in quegli anni. La pellicola si è conquistata il diritto a entrare nel gotha della fantascienza e dell’horror. Spielberg e Lucas hanno costruito universi dove la figura dell’alieno è benigna e positiva per l’essere umano o comunque, se maligna, non necessariamente letale, e dove i buoni esseri umani vincono sempre e trovano la loro collocazione nell’universo. Spielberg con Incontri ravvicinati del terzo tipo ci mostra il primo contatto con una specie aliena, una rivelazione (la Rivelazione) per la società e per il mondo intero, mostrata con occhio ingenuo, bonario e gentile; preme i tasti giusti per far leva sul cuore dello spettatore (operazione facilitata grazie all’iconica e toccante scala pentatonica di John Williams). L’alieno di Spielberg è antropomorfo, avvolto da una luce abbagliante e pacifica e speranzosa per il genere umano. In seguito, con E.T. l’extra-terrestre (1982), Spielberg arriva a umanizzare l’alieno per antonomasia (una creatura rugosa che di umano ha ben poco, ma che caratterizza il suo essere con sentimenti tipicamente nostri e che viene in pace), facendolo entrare in sintonia o meglio in simbiosi con Elliot, il bambino che lo trova e lo protegge dal malvagio Governo che lo vuole catturare e studiare. Film semplici, per famiglie, che mostrano drammi famigliari; in questo Spielberg è da sempre maestro indiscusso. Ridley Scott non attinge al lato umano descritto da Spielberg, ma a quello mostruoso già mostratoci da un’altra opera spielberghiana, Lo squalo (1975), con cui Alien ha in comune l’essenza. Alien racconta di un equipaggio a bordo di un’astronave mineraria sperduta nello spazio profondo, dove l’efficace tagline recita “dove nessuno può sentirti urlare”. Analogamente nella pellicola di Spielberg troviamo una vastità sperduta, immensa, blu anziché nera, ma anch’essa inospitale per l’essere umano. Pericolosa. Mortale. Alien e Lo squalo sono due tipici monster movie; in entrambi l’equipaggio dà la caccia a un mostro che infligge danni mortali di cui è vittima terrorizzata, l’incarnazione stessa delle nostre paure. La differenza è questa: mentre ne Lo squalo i tre cacciatori sono consapevoli di dover catturare e uccidere un pericoloso pesce (il più ferale) dall’istinto omicida, vendicativo e di proporzioni gigantesche, ma ben noto dai libri di biologia, in Alien l’equipaggio non parte volontario per la missione, ma è pedina inconsapevole in un gioco di potere tipico della natura umana, ma che non ci è mostrato. Spediti nello spazio dalla classica corporazione militarista, che si cela dietro il paravento della ricerca, Scott dosa sapientemente gli ingredienti per farci capire ugualmente e forse con maggior potenza di quella visiva (la forza della narrazione) la situazione in cui l’equipaggio si ritrova costretto ad agire, suo malgrado, in un ambiente completamente ignoto ed estraneo, alieno, ostile, inospitale, terrificante e claustrofobico. Due film che hanno generato un filone di pellicole e che a tutt’oggi rimangono inarrivabili per potenza visiva e narrativa. Dan O’Bannon, autore della sceneggiatura, si ispira ai classici dell’epoca come La cosa da un altro mondo (1951), ove un gruppo di spaziali affronta un mortale alieno in spazi angusti e inospitali, a Il pianeta proibito (1956), ove la nave spaziale atterra su un pianeta sconosciuto e i membri dell’equipaggio sono sterminati a uno a uno da una mostruosa creatura, ma anche e soprattutto a Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava, dal quale Scott e O’Bannon hanno largamente attinto, seppur, a detta loro, senza aver visto il film. Un’altra fonte d’ispirazione è senz’altro il racconto breve Discord in Scarlet (1939) di Alfred Elton van Vogt, che narra di un alieno che depone le uova nel corpo di ospiti umani.

Nostromo, il vascello minerarioNostromo, il vascello minerario

Alien narra del viaggio di ritorno verso casa del mercantile Nostromo (omaggio al romanzo omonimo di Joseph Conrad, ove il compito dell’ufficiale Nostromo è simile: espatriare preziosi minerali dalla città mineraria di Sulaco in Sud America) e del suo equipaggio, i cui membri esternano sentimenti molto umani, e per questo è facile empatizzare con loro; la paura della solitudine, le differenze sociali, il femminismo, sono temi molto cari alla fantascienza, che qui O’Bannon descrive con efficacia, incanalando in ognuno dei sette membri del gruppo opinioni diverse e aspettative diverse. Il focus è posto sullo stato d’animo che il terrore puro provoca, perché è proprio la paura del diverso, dell’ignoto e di ciò che non si conosce su cui Scott fa leva. Alien definisce, come mai prima, il fanta-horror. Se negli anni Cinquanta era sostanzialmente un genere di serie B, quasi ingenuo, con Alien avviene un’importante e sostanziale rivalutazione. Scott riesce a mostrare, attraverso una scenografia angosciante, oscura e tenebrosa, il terrore nell’animo umano. La Paura è la vera protagonista. Tutti i membri dell’equipaggio sono impotenti di fronte a essa, rimangono pietrificati in attesa di essere smembrati da ciò che non conoscono e che mai conosceranno. L’abisso che li separa dalla consapevolezza di non essere soli è così grande da essere spiazzante per i protagonisti, quando se ne rendono conto. Contrariamente agli alieni descritti da Spielberg, in Alien troviamo un mostro che è tutto fuorché rassicurante.

I protagonisti: (da sinistra) Kane, Lambert, Dallas, Parker, Ripley, Brett e AshI protagonisti: (da sinistra) Kane, Lambert, Dallas, Parker, Ripley, Brett e Ash

La navicella Narcissus (omaggio al romanzo Il negro del Narciso, sempre di Conrad, in cui un marinaio è portatore di tubercolosi a bordo della nave, la quale diventa un microcosmo isolato, specchio della società umana) si stacca dal Nostromo per atterrare sul pianeta alieno Lv-426 e indagare l’origine del segnale di soccorso. L’equipaggio è così catapultato in un ambiente aberrante, mostruoso e misterioso. Sinistro e completamente silenzioso. Un luogo avvolto nella nebbia e disabitato, ove è rinvenuto un relitto spaziale nel quale l’enorme salma del pilota è qualcosa di così alieno e diverso da risultare inconcepibile per l’impreparata mente dei minatori spaziali. Il manipolo di sacrificati preleva, suo malgrado, da quel pianeta buio, brullo e inospitale una forma di vita sconosciuta e cerca di comprenderne il significato con ogni mezzo a disposizione, per salvare la vita al compagno Kane (interpretato da John Hurt), attaccato dalla forma aliena. L’unico in grado di capirne l’essenza è lo scienziato Ash (interpretato da Ian Holm), pedina fondamentale di quel perverso gioco di morte, poiché conoscitore silente del mostro che nasconde la verità al resto dell’equipaggio.

Il relitto spaziale sul pianeta LV-426Il relitto spaziale sul pianeta LV-426

La gigantesca salma aliena trovata nel relittoLa gigantesca salma aliena trovata nel relitto

Kane trova un nugolo di uova aliene e assiste suo malgrado alla schiusuraKane trova un nugolo di uova aliene e assiste suo malgrado alla schiusura

Solo tardivamente i membri dell’equipaggio si rendono conto di essere vittime di un gioco più grande di loro e cercano di sopravvivere alle condizioni avverse cui sono sottoposti, ignorando i rischi cui vanno incontro nel tentativo di capire cosa sia quella “cosa” portata a bordo. Kane è incubatrice vivente del germe alieno che cresce dentro di lui, finché quando al sicuro sulla nave madre gli esplode dal petto, suscitando sgomento e terrore nell’equipaggio, decretando così l’inizio della loro fine. La Paura prende il sopravvento sull’Astuzia, e gli errori commessi dall’equipaggio nell’atto di catturare lo xenomorfo diventano mortali. Una curiosità: durante le riprese solo Scott e Hurt conoscevano la scena, così il terrore che appare sui volti degli altri attori è autentico!

Il facehugger è avvinghiato alla faccia di KaneIl facehugger è avvinghiato alla faccia di Kane

Una scena memorabile e terrificanteUna scena memorabile e terrificante

Kane dà alla luce il chestbuster Kane dà alla luce il chestbuster

Lo scenario e lo xenomorfo sono creati dall’artista svizzero Hans Ruedi Giger, che è riuscito a concretizzare i suoi più intimi incubi trasponendoli in surreali e visionarie forme. Un talento particolare quello di Giger, poiché attraverso il suo lavoro è riuscito a infondere alla pellicola le sue più profonde paure e a trasmetterle allo spettatore grazie alla genialità di Scott. Lo stile di Giger è caratterizzato dall’unione di materia organica con elementi inorganici, il risultato è lo xenomorfo; “di diversa forma” l’alieno è mostruoso, aberrante e misogino: la creatura ci è mostrata come un essere spietato e dall’istinto omicida, ma definito da comportamenti tipicamente umani. Un superstite, non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità, questa è la fredda descrizione dello xenomorfo, fornita con preoccupante ammirazione dal membro che solo alla fine si scopre essere (con grande turbamento) il non-umano del gruppo, l’androide Ash. Lo xenomorfo è un mostro che prova piacere a violare e uccidere le sue vittime.

Ripley e Lambert affrontano il TerroreRipley e Lambert affrontano il Terrore

Dallas dà la caccia alla creatura, inconsapevole che è lui la preda designataDallas dà la caccia alla creatura, inconsapevole che è lui la preda designata

Ash è un androide cinico, dalla programmazione moralmente deviata e al servizio della corporazioneAsh è un androide cinico, dalla programmazione moralmente deviata e al servizio della corporazione

Nell’equipaggio troviamo due donne, la debole Lambert (interpretata da Veronica Cartwright), e la forte Ellen Ripley (interpretata da Sigourney Weaver, ruolo che avrebbe potuto essere di Meryl Streep, se avesse accettato la parte, o della stessa Cartwright, alla quale solo poco prima delle riprese le fu affidato il ruolo della vittima impaurita Lambert). Lo xenomorfo si riserva per ultimo il gentil sesso come la portata finale da gustare, e si concentra prima sugli uomini, che rapidamente miete uno a uno. L’alieno appare per la prima volta nella sua forma adulta all’ignaro e sempliciotto ingegnere Brett (interpretato da Henry Dean Stanton), presentandosi velatamente e in gran segreto, lasciandosi dietro una scia di sangue e un’ombra fugace (solo il gatto Jones è testimone dell’efferatezza) per spronare gli altri a iniziare la caccia; in seguito gioca a nascondino con il capitano Dallas (interpretato da Tom Skerritt), che arranca spaventato nelle tubature della Nostromo per uccidere la bestia – entrambi catturati e usati dalla creatura per nutrirsi –; infine ci mette poco a uccidere il pragmatico Parker (interpretato da Yaphet Kotto). La sequenza dell’uccisione di Lambert è carica di suspense, lenta, quasi Scott voglia insinuare il dubbio che l’alieno abbia intenzione di violentarla per trarne piacere. La scelta di tenere la protagonista dulcis in fundo conferma tale ipotesi. Di fatto nell’atto finale, quello dell’evacuazione dalla nave in procinto di autodistruggersi, lo xenomorfo si rifugia nella capsula di salvataggio, aspettando nascosto l’arrivo di Ripley, la quale riparandosi nella capsula è inconsapevole di avere a bordo il mostruoso ospite, rannicchiato come un feto e mimetizzato coi tubi che lo circondano. Una mortale fuga d’amore, siglata e (non) definitivamente conclusa dalle romantiche note della seconda sinfonia di Howard Hanson. Scott riesce a trasmettere questo messaggio con efficacia. Il modo in cui il facehugger (letteralmente “aggrappa-faccia”) esce dall’uovo tramite un’apertura che ricorda la forma vaginale, di come l’alieno tentacolare penetra la bocca di Kane per mezzo di un’escrescenza tubolare per depositare il suo seme, di come il chestburster (letteralmente “spacca-torace”) di forma fallica fuoriesce con dirompenza e aggressività dal petto dell’ospite, una volta raggiunta la maturazione (quasi fosse una “penetrazione all’inverso”), e di come dalla bocca dello xenomorfo adulto emerge una seconda bocca (effetto speciale curato da Carlo Rambaldi, futuro creatore di E.T.), non sono altro che la rappresentazione dell’erotismo della creatura, elemento fondamentale della storia.

Lo xenomorfoLo xenomorfo

Il terrore sul volto di Ripley prima dello scontro finale con il mostroIl terrore sul volto di Ripley prima dello scontro finale con il mostro

“Rapporto finale del veicolo spaziale Nostromo, da parte del terzo ufficiale. Gli altri componenti dell’equipaggio Kane, Lambert, Parker, Brett, Ash e il comandante Dallas sono morti. Carico e nave sono distrutti. Dovrei giungere alla frontiera tra sei settimane. Se sono fortunata la sorveglianza mi porterà in salvo. Parla Ripley, unica superstite del Nostromo. Passo e chiudo.”

Per la prima volta un alieno prova impulsi sessuali. Non a caso la protagonista è donna; Ellen Ripley è forte, intelligente, autoritaria, tenace e mascolina e per l’epoca una figura atipica in un film di genere e non solo. Un simbolo del femminismo entrato nella cinematografia al momento giusto, ovvero non troppo vicino agli anni Sessanta e all’esplosione delle manifestazioni per rivendicare i diritti delle donne, così da non intenderlo un personaggio politicamente corretto. Ripley è l’unico elemento dell’equipaggio in grado di fronteggiare e uccidere lo xenomorfo. Nel quadro d’insieme Scott dipinge emozioni, paure, ansie comuni e non comuni, inserendole in un contesto estraneo, completamente alieno e terrificante. La colonna sonora è di Jerry Goldsmith, ma il suo lavoro è sacrificato all’interno della pellicola, a favore di partiture preesistenti. Inizialmente Goldsmith aveva deciso di comporre due tipologie di musiche, la prima costituita da brani sinfonici e orchestrali, mentre la seconda caratterizzata da timbri elettronici, strumenti orientali e dall’utilizzo dell’echoplex (un generatore di echi per simulare vasti ambienti sconfinati). Scott preferì la seconda, ma non utilizzò in toto il materiale (influenzato dal montatore Terry Rawlings), con conseguente sdegno del compositore; il risultato è comunque straordinario e segna un punto di riferimento importante per le pellicole di genere che seguiranno. Lo xenomorfo fluttua nello spazio profondo, perduto anch’esso e sconfitto al gioco mortale dall’eroina per eccellenza, Ellen Ripley, la donna più forte che la cinematografia di genere abbia conosciuto. Infine Ripley si iberna per il lungo sonno cui è destinata, vagando nello spazio profondo insieme al gatto Jones, unici testimoni oculari della orrorifica mattanza. Alien è senza dubbio un capolavoro, prova di quanto grande è stato il cinema di quell’epoca, i mitici e irripetibili anni Settanta.

Alessandro Pin

Recensione pubblicata originariamente sul blog Destinazione Cosmo di Alessandro Pin

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