Recensione: DOMANI IL MONDO CAMBIERA’ (Stations of the Tide, 1991) di Michael Swanwick

Stefano SpataroCOP_urania_1642coverUn funzionario tutto d’un pezzo, di cui non ci è dato conoscere il nome e che l’autore chiama semplicemente “il burocrate”, atterra su Miranda, un pianeta mantenuto in una sorta di quarantena tecnologica. Il burocrate è alla ricerca di un uomo: un mago, uno scienziato, un filosofo, e forse anche qualcosa di più. Il motivo della caccia all’uomo? La sottrazione di tecnologia illegale dal fuori-mondo e la propaganda per la popolazione del suo paese. Una propaganda dai toni religiosi e magico-misterici, di fede e di salvezza dalla fine del mondo che presto si abbatterà su Miranda sotto forma di diluvio. “Fra poco inizierà una nuova era per quanto riguarda l’interpretazione magica del mondo”, scrive Gregorian, il profeta-mago di un nuovo mondo, “un’era in cui l’interpretazione non verrà più fatta in termini di intelligenza, bensì in termini di volontà. La verità non esiste assolutamente, né dal punto di vista morale né da quello scientifico”.

Titolo: Domani il mondo cambierà | Titolo originale: Stations of the Tide, 1991 | Autore: Michael Swanwick | Editore: Mondadori | Collana: Urania #1642 (2017) | Pagine: 235 | EAN: | Prezzo di copertina: 6,50€ | Per tutte le edizioni del romanzo clicca QUI | Romanzo vincitore del Premio Nebula nel 1991

La lettura di questo romanzo è un’esperienza che mi sento di consigliare sia agli appassionati del genere che ai meno addentrati in esso. Al di là della trama, anche piuttosto semplice, la profondità dei dettagli filosofici, scientifici e soprattutto umani è di rilievo. Innanzitutto dal punto di vista della tecnologia Swanwick riesce a trasmettere bene l’idea prometeica del progresso. L’isolamento tecnologico del pianeta sul quale si svolgono gli eventi assume una importanza assoluta, forse ancora di più dell’attesa delle maree del giubileo, una catastrofe ambientale annunciata e alla quale gli abitanti sono a modo loro rassegnati.

u1236In questo senso la figura dell’uomo in grado di sconvolgere il destino e portare a un mutamento è allo stesso tempo spiazzante e consolante, non solo per il lettore, ma anche per il protagonista, che sulla carta dovrebbe essere il suo aguzzino. Il mondo descritto da Swanwick è quindi avanzato tecnologicamente, nelle comunicazioni, ad esempio, o nell’uso spinto di intelligenze artificiali e robotiche, ma allo stesso tempo legato a un immaginario esoterico quasi fantasy, dove progresso scientifico e magia si fondono in un’unica affascinante dimensione.

Le descrizioni delle ambientazioni, di una flora per certi versi aliena, non perché differente da quella terrestre, ma perché soggetta a leggi diverse e di conseguenza evolutasi in modo imprevedibile, portano il lettore in un’atmosfera psichedelica che difficilmente riuscirà a scrollarsi di dosso. Lo stile dell’autore è complesso, a volte forse volutamente ermetico, quasi a cercare costantemente di sottolineare lo stesso grado di straniamento provato dal burocrate durante la sua missione. Questa perpetua distanza percettiva dell’individuo da quello che sta realmente vivendo è ancora più evidente negli scambi tra i personaggi, spesso teatrali ed esistenzialisti, ma non privi di fascino. Ecco un esempio: “Il burocrate si presentò, e la donna annuì senza alzare lo sguardo dalle sue carte. – Sto facendo un gioco che si chiama futilità – disse. – Lo conosce? […] Non si vince. Si può solo rimandare la sconfitta. Sto riuscendo a portare avanti questa partita da diversi anni, ormai”.

SOTT1992L’esistenzialismo avvolgerà anche e soprattutto la personale visione del burocrate, soprattutto nel momento della fine, donando al romanzo quel pizzico di “formazione” che si rivelerà essere una marcia in più. Il burocrate entrerà a far parte di un mondo che a breve sarà sommerso e si troverà a provare empatia per la popolazione di Miranda, che poco tempo prima guardava più che con disdegno, con indifferenza. “Gli annunciatori erano più eccitati che mai. I loro volti erano paonazzi, i loro occhi luminosi. I disastri naturali facevano sempre quell’effetto sulla gente; li facevano sentire importanti, li rassicuravano del fatto che le loro azioni contassero”. E il protagonista non sarà estraneo a sensazioni di questo tipo.

Non fraintendete però la mia chiave di lettura, forse un po’ troppo filosofica. Nel romanzo non mancano l’azione, i tradimenti, i colpi di scena, e la descrizione della catastrofe, dai riferimenti ovviamente biblici, non è meno potente rispetto a quello che ci si aspetta dal momento in cui si inizia a leggere. Michael Swanwick è un autore che ha sviluppato col tempo un suo personale stile narrativo. Ha iniziato con racconti di vario genere, tra fantasy e fantascienza, ha militato per molto tempo nell’ambito cyberpunk, non si è sottratto dal raccontare di ucronie e dinosauri, e nel 1991 raggiunge il Premio Nebula proprio con questo Stations of the Tide, romanzo dai toni teorici forti, e non solo dal punto di vista squisitamente scientifico, coinvolgente e appassionante sebbene si sviluppi all’interno di una trama semplice, e carico di un umanesimo emozionante.

Stefano Spataro