Recensione: “Arma infero: I cieli di Muareb” (2016) di Fabio Carta

Recensione di Mario Luca MorettiArma infero I cieli di MuarebLakon e Karan sono divisi. Karan, con l’amata Luthien, si trova a sud nell’esotica e rigogliosa Gargan mentre, Il Mastro di Forgia, prosegue la sua ricerca nelle remote lande boreali. Pur così lontani i nostri protagonisti vedranno intrecciarsi nuovamente le loro storie sullo sfondo di una guerra civile dove, la furia cieca dell’uomo, scatena il potere di nuove e terribili armi. Contro queste barbarie, la cavalleria coloniale, è costretta ad evolversi crescendo e diventando qualcosa di diverso e migliore. Tra intrighi e lotte interne, la Falange, potrà trovare la forza di levarsi sopra le bassezze e i tradimenti del nemico solo grazie a Lakon e alla sua arcana sapienza che la porteranno su in alto fino a solcare i cieli di Muareb.

Titolo: Arma Infero: I cieli di Muareb | Autore: Fabio Carta | Editore: Inspired Digital Publishing | Anno di pubblicazione: 2016 | prezzo: 1,99 € (ebook)

I cieli di Muareb è una vera e propria seconda puntata rispetto a Il mastro di forgia: il racconto riprende in pratica dove il primo volume si interrompe, riprendendone i fili interrotti, e la trama del secondo sarebbe incomprensibile senza aver letto il primo. A suo modo Fabio Carta si riallaccia così alla tradizione del romanzo popolare.

La continuità narrativa si riflette anche nei personaggi, gli stessi del primo tomo. E ancora una volta è Karan che parla in prima persona, continuando il racconto dove l’aveva lasciato, senza mai abbandonare il suo punto di vista.

Eppure I cieli… presenta molte differenze rispetto a Il mastro di forgia.

Lo stile è molto diverso dal primo episodio. Se Arma Infero I si affida a un’eloquenza altisonante e simil-medievale, Arma Infero II si affida a una lingua, nel complesso, più contemporanea e diretta, più abbordabile, forse, ma non per questo meno studiata o curata.

I personaggi sono gli stessi del primo libro, ma, come nel primo, si evolvono. Anzi, nella prima parte almeno, offrono un lato più intimista e sentimentale. L’epica di Il mastro.. lascia il posto alla vita di coppia, al matrimonio, a battibecchi pubblici, privati e familiari. Costruttore e cesellatore di mondi, Carta qui ci dà un altro aspetto del mosaico Muareb (sempre comunque tramite l’esperienza di Karan). E di Karan vediamo anche vizi e debolezze: l’ambrosia, che gli permette la mistica connessione con gli zodion, è a tutti gli effetti una droga e lui, consapevolmente, ne è schiavo (sarcastica e spaventosa il momento in cui Karan succhia le ultime gocce di ambrosia da un’ampolla vuota).

In seguito il viaggio di Karan l’inquieto, l’insoddisfatto, riprende. E ci ritroviamo tuffati nelle mille facce di Muareb. E ancora Muareb diventa un pretesto per un labirinto di temi che vanno dal privato al sociale, dallo scientifico al filosofico, dall’esistenziale al religioso. E il viaggio di Karan, attraverso le sue esperienze e incontri, nelle sue trasformazioni caratteriali, nella sua maturazione psicologica ci presenta un’ambiziosa e provocatoria saga insieme cosmica e privata.

Se i personaggi (e Karan in testa) evolvono, lo fanno anche le macchine. Lo zodion, la motocicletta monoruota dei calanchi, subisce una doppia metamorfosi: prima acquisisce due gambe che ampliano i suoi movimenti, poi apprende a volare. Salta all’occhio qui una delle (probabili) fonti di ispirazione di Carta: le anime giapponesi sui robot. Ma non è solo un omaggio a un ricordo d’infanzia, perché l’autore personalizza questo spunto per farne un’interpretazione del tutto personale e originale, funzionale alle sue ambizioni tematiche.

I tecnicismi abbondano in ambo i romanzi. La ricchezza di dettagli sui funzionamenti degli zodion e di altre macchine è sempre sbalorditiva, forse un po’ prolissa, ma sempre generosa e immaginosa.

In Arma infero I l’azione è distribuita lungo tutto il romanzo. Ancora distinguendosi, nel secondo romanzo Carta la concentra in un unico, lungo episodio: la battaglia di Azin. È un gioiello di coreografia, ritmo e tensione, e include quello che secondo me è il momento più alto e poetico di tutto il romanzo, quando lo zodion di Karan e quello di Wotan si trasformano in due semisfere che si congiungono in una sfera perfetta, formando un’unione insieme meccanica e fisica, spirituale ed emotiva fino all’estasi mistica, sfiorando l’amore, in un preludio a… ma non faccio spoiler.

Più in generale le scene migliore di I cieli… sono quelle in cui il “sense of wonder” tipico della migliore fantascienza si fonde con condizioni come l’estasi (la scena appena citata), il sogno (il risveglio di Karan dall’ibernazione) o l’allucinazione lisergica (il collaudo dello zodion Luzon, innervato dall’ambrosia). Sono momenti di potenza visionaria e di grande coinvolgimento emozionale, evocative e pittoriche insieme.

Lakon, coprotagonista in Il mastro… è il convitato di pietra di I cieli…, assente per quasi tutto il romanzo, ma motore delle azioni di Karan. Mosso alla sua ricerca, nella parte finale del libro Karan si spinge fino al Polo Nord di Muareb, nella nazione di Serendin, luogo mitico e mitizzato, ma dove Karan troverà le risposte alle sue domande personali come a quelle di tutta la Falange, e insieme a esse… ma evito gli spoiler.

Questi ultimi capitoli sono i più ambiziosi di tutto il libro. Come in un romanzo di Thomas Mann l’introspezione psicologica si alterna a descrizioni ambientali e a lunghi dialoghi filosofici, in cui Carta sublima tematiche universali, ma anche riferimenti alla nostra attualità (come l’energia nucleare). Forse non sempre riesce ad amalgamare e a equilibrare un insieme così vasto, ma resta comunque il fascino di una lettura coraggiosa e mai banale, ricca sempre di inventiva e suggestione.

Una delle fonti di piacere sta nella lingua stessa. Carta usa termini come calanchi, malga, vernacolare, che fanno pensare a una lontana origine italiana nei progenitori di Muareb, “involuti” colonizzatori del cosmo, e la loro definizione – “transumani” – forse è un ironico riferimento a una “transumanza” spaziale. E inventa neologismi come “tecnomante” o “meccanomago”, che rendono bene la cultura della Falange, fusione tecnocratica ed esoterica.

Carta ama giocare con i nomi, e strizza spesso l’occhiolino ai fan della fantascienza, dando ai suoi personaggi secondari nome come l’armiere Heinlein, il guerriero Algernon, il meccanomago Stirling.

Ci sarà una terza puntata di Arma infero? La seconda si conclude annodando alcuni dei fili lasciati in sospeso dalla prima, ma lasciandone irrisolti altri, e il racconto che Karan impegna davanti alla piazza nel prologo di Il mastro… non sembra terminato.

Mario Luca Moretti

Fabio CartaL’AUTORE

Fabio Carta, classe 1975; appassionato di fantascienza ma anche dei classici della letteratura, come i romanzi del ciclo bretone e cavallereschi in generale; laureato in Scienze Politiche in indirizzo Storico – Politico, ha scritto “I Cieli di Muareb” dopo il fortunato esordio con il suo primo romanzo, “Il Mastro di Forgia”, primo volume della saga di Arma Infero. Impiegato, marito e padre di due figli; nei ritagli di tempo concessi dal lavoro e dalla famiglia – abituata a tollerare pazientemente i suoi momenti di evasione nel remoto spazio siderale – Fabio prosegue indefesso nella stesura della sua saga, gettando complotti, guerre ed eroi dalla tastiera sullo schermo del pc, fantasticando sul giorno in cui potrà eleggere la sua passione a professione.