Positronici si nasce

Articolo di Alessandro Viettihard_255Gli impareggiabili robot partoriti dalla fantasia di Isaac Asimov hanno iniziato alla fantascienza più di un lettore, e hanno costituito forse il più cospicuo contributo alla robotica che la letteratura abbia concepito finora. In uno speciale incentrato interamente sui robot, potevano forse mancare?

“E io, modestamente, lo nacqui!” La risposta al titolo viene quasi spontanea anche per il lettore che non si sente propriamente un robot positronico, perché, tra gli amanti della fantascienza, chi può negare di essere stato concepito e quindi “nato” alla passione per questo genere letterario anche grazie, e in molti casi soprattutto, alla lettura delle storie robotiche di Isaac Asimov? Robbie, Andrew, Daneel, Giskard, Speedy sono per tutti noi un campionario di personaggi indimenticabili non solo per la loro “diversità” meccanica, ma perché incarnano un punto di vista unico che Asimov per primo ebbe l’intuizione di adottare rispetto alla macchina intelligente creata dall’uomo. E non parliamo solo dell’invenzione delle famigerate Tre leggi della Robotica, bensì anche del più semplice fatto che, con l’avvento di Asimov, il robot viene finalmente emancipato, si scrolla di dosso il pregiudizio di mostro di frankeinsteiniana memoria pronto a ribellarsi al proprio creatore, per diventare invece un collaboratore, un amico, una creatura da capire, con molti doveri, ma anche con qualche diritto. Rispetto al passato, la concezione del Buon Dottore diventa quindi ottimistica e positivistica nei confronti della tecnologia, una visione del mondo nella quale l’uomo si pone con fiducia e speranza di fronte al proprio progresso senza restarne vittima. E per una volta, la creazione di macchine “simili a lui”, capaci di comprendere e di avere coscienza di sé, non è più interpretata come un sintomo di arroganza rispetto alla divinità della quale l’uomo aveva, fino ad allora, cercato di prendere il posto.

Dunque, dopo anni di ribellioni andate a male, il robot asimoviano comprende finalmente il suo ruolo attivo e fecondo all’interno della società umana e si integra con profitto all’interno di essa, diventando così per molti versi migliore dell’uomo stesso, operando una svolta fondamentale non solo nella storia della letteratura fantascientifica, ma anche del nostro modo di rapportarci con le macchine.

E dire che tutto quanto scaturì da una considerazione che oggi appare addirittura banale…

Isaac AsimovC’era una volta un cliché…

… quello del robot che si ribellava allo scienziato pazzo che lo creava. Ora, vale la pena notare che la condizione che lo scienziato fosse davvero pazzo si rivelava necessaria perché nessuno sano di mente si sarebbe sognato di creare un essere di metallo in tutto e per tutto simile all’essere umano, ma con una forza dieci volte tanto, senza assicurarsi di avere sotto mano qualche valido dispositivo di sicurezza. Ce l’hanno i frullini, le cucine a gas, gli scaldabagni e gli asciugacapelli, perché non avrebbe dovuto averceli un tipo un po’ allampanato, alto un paio di metri, fatto interamente di fili elettrici, metallo e altri aggeggi strani, con due temibili tenaglie al posto delle mani e altrettanti occhi a lampadina incapaci di sorridere? E infatti l’opinione di Asimov era che:

“[…] un robot – soprattutto nelle prime fasi della sua evoluzione – sarebbe costruito in modo da non ribellarsi al suo costruttore; sarebbe dotato di meccanismo interni di sicurezza, come del resto le altre macchine. Quando si installa una sega elettrica, la si munisce di una ringhiera di protezione. Se in una fabbrica automatica si usano liquidi infiammabili, vi sono anche estintori automatici. Se si costruisce un impianto atomico, lo si dota degli schermi protettivi che sono necessari, quindi se si costruisce un robot, indubbiamente nella sua programmazione debbono essere inclusi dispositivi di sicurezza…” (1)

Il percorso logico che condusse Asimov alla formulazione delle Tre leggi della Robotica, seguì però una strada meno lineare e immediata di quello che si è comunemente portati a pensare, giacché lo scrittore partì dal presupposto di scardinare semplicemente il luogo comune della tradizione narrativa robotica dell’epoca. Tuttavia, non ci fu solo questo. La strada che portò Asimov alla concezione dei suoi robot non poteva prescindere da un’altra considerazione che faceva strettamente parte della sua cultura, e per la quale dobbiamo fare un passo indietro.

Ralph McQuarrieIl ruolo del golem

Asimov nacque in Russia da una famiglia di origini ebree e, nell’ambito della tradizione ebraica una figura di grande impatto e suggestione è senza dubbio quella del golem (che letteralmente significa “materia amorfa”), creatura fatta di argilla che può essere portata in vita da un rabbino mediante particolari accorgimenti di cui egli solo è depositario, una particolare combinazione di lettere e la conoscenza del misterioso Schemhamphotos, il nome della divinità e degli “alfabeti delle centoventun porte”, che devono essere ripetuti su ogni organo del golem. Inoltre, per animare la creatura:

“Sulla fronte dell’uomo artificiale va incisa la parola aemeth, che significa ‘verità’; ogni venerdì sera si deve cancellare dalla fronte della creatura la sillaba ae, proponendosi di non riscriverla fino alla domenica seguente. Le lettere che rimangono formano la parola meth, cioè ‘morte’, e rappresentano il comando rivolto al golem di rimanere inerte per tutta la giornata del sabato.

Asimov ha rispettato questa tradizione: il miracoloso Schemhamphotos e gli alfabeti delle centoventun porte sono diventati nei suoi racconti la ‘teoria di base’ del golem positronico; le parole sacre aemeth e meth, con la procedura che le accompagna, sono diventate le Tre Leggi della Golemica, ben note a tutti i lettori.

[…] Ma, come si è detto, soltanto un rabbino può animare il golem: Asimov laicizza di poco questo particolare inventando la U.S. Golems & Mechanical Men Corp. Misteriosa società dai poteri quasi divini i cui officianti sono gl’incomprensibili (per il resto del genere umano) golemisti e golem-psicologi, gli ingegneri che si sono dedicati al compito di sollevare l’uomo dalle fatiche del lavoro materiale”. (2)

E con tutta probabilità sarà davvero così, in quell’universo alternativo in cui Karel Čapek non ha mai messo in scena la sua commedia R.U.R., e dove quindi la parola robot non esiste, ma esiste solo la parola golem. Tuttavia, anche nel nostro universo, il golem che Asimov aveva comunque dentro di sé grazie al substrato culturale in cui crebbe e si formò, contribuì certamente a fertilizzare il terreno dal quale alla fine degli anni ’30 germogliarono i suoi robot.

RobotIl primogenito

Non si deve pensare che nemmeno uno come Isaac Asimov sia stato risparmiato dai problemi di farsi pubblicare i racconti. Almeno al principio, s’intende! Bisogna peraltro considerare che Asimov era solo ventenne quando scrisse Robbie (1939, Robbie), racconto che dieci anni più tardi avrebbe aperto la sua antologia I, Robot (1950, Io, Robot), ma che dovette penare non poco prima di trovare un pezzo di carta su cui essere stampato. Come gli aveva predetto il suo amico Frederik Pohl, che ne aveva letto in anticipo il manoscritto, John W. Campbell Jr., editore di Astounding Science Fiction, con il quale Asimov aveva già iniziato un fecondo rapporto di collaborazione fin dall’anno precedente, il 6 giugno 1939 rifiutò il racconto per le stesse ragioni addotte da Pohl, ovvero perché aveva un finale debole. In quel periodo Pohl era anche agente di Asimov (per tutti gli editori tranne Campbell, con il quale Asimov non voleva rinunciare ad avere un rapporto diretto), ma non riuscì a piazzare il racconto nemmeno in Inghilterra. L’ironia del caso volle però che, nell’ottobre dello stesso anno, proprio Pohl divenisse responsabile di due nuove riviste chiamate Super Science Stories e Astonishing Stories, e fu lui in qualità di editore ad acquistare il racconto per la somma per allora principesca di 35 dollari. La storia uscì sul numero di settembre del 1939 di Super Science Stories con il titolo Strange Playfellow (lett. Strano compagno di gioco), cambiato poi in seguito dallo stesso Asimov nel più familiare Robbie.

Enormemente influenzato da una storia di Eando Binder intitolata non a caso I, Robot, che apparve sul numero di gennaio 1939 di Amazing Stories, come affermò candidamente Asimov in più d’un occasione, Robbie è un racconto tipicamente giovanile, e in questo senso è affetto da numerosi difetti tipici di una scrittura ancora immatura. I personaggi sono statici, le loro emozioni esagerate, Gloria Weston, è una bambina viziata e i caratteri dei suoi genitori hanno l’impronta degli stereotipi. Non bisogna dimenticare che Asimov aveva solo diciannove anni e le sue esperienze nel campo della famiglia e degli affetti erano esclusivamente quelle legate al suo proprio vissuto familiare, e infatti solo pochi anni dopo il suo stile migliorò enormemente.

Radio ShackLa trama di Robbie si svolge all’interno della famiglia Weston, dove Robbie è la “bambinaia” di Gloria la figlia piccola, per la quale la presenza costante di Robbie è diventata ormai insostituibile. Un po’ come un’apprensiva mamma di oggi con la Playstation, la signora Weston, temendo che la figlia stia diventando troppo dipendente dal robot, preferisce rispedirlo alla fabbrica. Inutile dire che Gloria non la prende affatto bene e quindi viene chiamato in causa Mr. Weston affinché trovi un accomodamento che plachi il dolore della figlia e le esigenze della detestabile moglie. Alla fine Mr. Weston riuscirà a far tornare Robbie a casa e, contemporaneamente, a sfuggire alle ire della moglie, in una sorta di finale che da’ a tutto il racconto un’atmosfera leggera e gentile, quasi da favola.

Robbie non è quindi una delle cose migliori che Asimov abbia scritto in gioventù, basti pensare che Nightfall (1941, Notturno) uno dei suoi racconti di sempre più celebrati, apparve solo due anni dopo, ma va ricordato soprattutto per il valore storico di essere stato il primo racconto robotico in assoluto.

Io, elettrodomestico

Malgrado la scrittura ancora acerba e una trattazione ancora parecchio superficiale delle Leggi della Robotica, alle quali viene accennato solo con l’esistenza di una certa Prima legge, senza peraltro enunciarla, che condizionerebbe i robot a non poter fare del male gli esseri umani, e che costituisce l’artificio narrativo necessario a giustificare in pieno il superamento della visione del robot-mostro, Robbie ha però il pregio di definire un altro elemento fondamentale che Asimov manterrà pressoché costante nelle sue storie robotiche, e che lui stesso spiegò così in un’intervista rilasciata poco tempo prima di morire:

“Nella fantascienza si pensa sempre ai robot come a creature metalliche antropomorfe, ma in realtà qualunque macchina computerizzata è un robot. E ad oggi abbiamo robot industriali che non assomigliano neanche un po’ agli essere umani e che fanno cose che fino a una ventina d’anni fa solo gli esseri umani erano in grado di fare. E vivremo in un futuro in cui avremo pure dei robot personali. Robot che avranno l’aspetto di esseri umani e che rimpiazzeranno (per la prima volta) quelli che noi eravamo abituati a chiamare schiavi e servi, e serve, e ci renderanno del tutto liberi”. (3)

Il robot è quindi prima d’ogni altra cosa un elettrodomestico, come un frigorifero o una lavatrice, che l’uomo deve imparare ad usare e con il quale l’uomo deve imparare a convivere. Il robot asimoviano dunque non ha diritti, se non quello di preservarsi in mancanza di altre priorità più importanti grazie alla Terza legge; esso non è una vera e propria creatura, ma un oggetto, un utensile poco più evoluto del nostro PC e così, in buona sostanza, vi rimarrà almeno fino all’avvento de L’uomo bicentenario, racconto che farà salire al robot un altro gradino nella scala della sua evoluzione.

Quello che risulta chiaro fin dai primi racconti, è dunque che l’intelligenza artificiale del robot non è comunque sufficiente a renderlo a tutti gli effetti un essere vivente, bensì è proprio la sua intelligenza retta dalla ferrea logica delle Tre leggi della Robotica, ad accendere la maggior parte delle trame che, dai varchi imperscrutabili lasciati dalle leggi robotiche, mostrano all’uomo la difficoltà di adattarsi e confrontarsi con il comportamento della macchina, spesso incomprensibile e bizzarro, ma che alla fine risulta perfettamente logico. E tutto questo ha origine all’interno del mirabile cervello positronico.

Ralph McQuarrie 2La mente impossibile

Diciamolo subito e togliamoci il pensiero: il cervello positronico non può, né potrà mai esistere! Il positrone, l’elettrone con carica positiva del quale Paul Dirac postulò l’esistenza nel 1930, che venne effettivamente individuato alcuni anni più tardi e per il quale il fisico inglese ottenne il Premio Nobel nel 1933, è una particella di antimateria che non appena viene a contatto con la sua gemella di materia si annichila producendo radiazione X. A questo punto risulta ovvio che un robot fatto di materia non può avere all’interno degli elementi costituiti da antimateria, poiché essi si annichilerebbero con i gemelli della materia circostante in una frazione infinitesimale di secondo. Asimov, il quale nel suo secondo racconto robotico, Reason (1941, Secondo Ragione, conosciuto anche come Essere razionale) si era trovato nella necessità di citare il dispositivo nel quale risiedeva l’origine del pensiero robotico e aveva scelto la parola “positronico” perché allora era sufficientemente esotica e misteriosa per indicare un oggetto altrettanto esotico e misterioso come un apparecchio in grado di simulare la complessità di un cervello umano. Del resto a quell’epoca la computerizzazione era ancora abbastanza lontana…

“Quando cominciai a scrivere le mie storie di robot, nel 1939, non li associai alla computerizzazione e io non lo previdi. Previdi però che il cervello doveva essere elettronico, in qualche maniera. Però ‘elettronico’ non mi pareva abbastanza futuristico. Il positrone, una particella subatomica esattamente uguale all’elettrone ma con carica opposta, era stato scoperto solo quattro anni prima che io scrivessi la mia prima storia di robot. Pareva davvero molto fantascientifico, così detti ai miei robot un ‘cervello positronico’ e immaginai che i loro pensieri consistessero in fulminei flussi di positroni che acquisivano esistenza, per poi scomparire quasi subito. Perciò le storie che scrissi vennero definite ‘serie dei robot positronici’, ma l’uso dei positroni al posto degli elettroni non aveva nessun altro significato se non quello che ho illustrato”. (4)

Robot AsimovVerso le Tre leggi

Reason diede parecchi grattacapi ad Asimov, il quale dovette scriverlo e rivederlo più volte, ma l’approvazione entusiastica di Campbell quando gliene aveva accennato la trama nell’ottobre del 1940, gli aveva dato l’impulso giusto per mettercisi di lena. E difatti il 18 novembre 1940 lo terminò e lo consegnò a Campbell, il quale solo quattro giorni più tardi gli fece sapere di averlo accettato senza bisogno di nessuna modifica. Reason apparve Astounding Science Fiction nel numero di aprile 1941 e costituì un considerevole salto qualitativo rispetto al lavoro precedente. La trama, assai meno infantile di quella di Robbie, racconta la vicenda di due tecnici esperti in robotica assoldati dalla U.S. Robots and Mechanical Men per risolvere i problemi più strani manifestati dai robot, i quali si trovano sulla Stazione Solare Numero 5 dove devono risolvere il problema di QT-1 (Cutie), un robot che rifiuta di credere di essere stato creato dagli esseri umani, ma piuttosto da un essere superiore, il Padrone, al quale il robot decide di offrire la sua obbedienza, e che non è altro che il Convertitore di Energia della stazione. Come di consueto, alla fine i due umani capiranno la psicologia del robot alla luce delle Leggi della Robotica e decideranno di lasciarlo così com’è, visto che sa comunque fare eccellentemente il suo lavoro. Nell’economia dei racconti robotici asimoviani, Reason è importante per almeno due fatti. Primo perché i due personaggi in questione sono Michael Donovan e Gregory Powell, una coppia che sarà protagonista di altri racconti come Asimov desiderava da tempo e come aveva già provato a fare con Turner e Snead di Ring Around the Sun (1938, Anello attorno al sole), mutuati da Penton e Blake, due personaggi protagonisti di una serie di racconti di Campbell.

A dispetto però dell’esplicita citazione nel testo dell’esistenza di una Prima e di una Seconda legge della Robotica (nessun accenno viene ancora fatto alla Terza), senza però la relativa formulazione, Asimov allora non aveva ancora assolutamente chiara la funzione delle Leggi né la loro enunciazione formale. Così come la parola “positronico” gli serviva a identificare l’organo artificiale sede dell’intelligenza robotica, le prime due Leggi erano la chiave per formalizzare rispettivamente le caratteristiche di sicurezza e di obbedienza implementate nel cervello della macchina direttamente dal suo costruttore. Le Tre leggi della Robotica come le conosciamo noi, nacquero qualche settimana dopo la consegna di Reason a Campbell, e precisamente il 16 dicembre 1940.

Quel giorno Asimov si recò nell’ufficio di Campbell, cosa che in quel periodo faceva assai di frequente, per sottoporgli il soggetto di un nuovo racconto robotico che aveva in mente, in cui un robot, per qualche strano accidente avvenuto durante la sua costruzione, manifestava la capacità di leggere nella mente. Campbell mostrò di gradire l’idea, ma prima che Asimov potesse terminare la sua esposizione, gli disse che doveva comunque considerare che qualsiasi robot costruito dall’uomo doveva obbedire a tre regole. In primo luogo i robot non potevano ferire gli umani, poi dovevano seguire gli ordini senza ferire gli umani, e terzo avrebbero dovuto proteggere loro stessi da eventuali danneggiamenti. Questa conversazione fu sufficiente a far germogliare in Asimov l’idea della formalizzazione delle Tre leggi, la cui paternità peraltro Asimov attribuì sempre a Campbell:

“Fu mentre Campbell e io discutevamo di questa storia […] che vennero messe a punto le Tre Leggi della Robotica. (Io dico che fu Campbell a svilupparle, lui dice che sono stato io: ma io so di avere ragione. È stato lui.)” (5)

Le Tre leggi tuttavia non ebbero il tempo di comparire nella loro compiutezza in quel terzo racconto che Asimov quel giorno era andato a raccontare a Campbell, che peraltro l’editore accettò senza riserve alla fine di gennaio del 1941. Liar! (1941, Bugiardo!) tuttavia è un racconto fondamentale soprattutto perché è in esso che fa il suo debutto un nuovo importante personaggio che avrebbe accompagnato i robot asimoviani in numerose altre avventure.

Ralph McQuarrie 3Robot in terapia

Susan Calvin è senz’alcun dubbio il personaggio femminile più riuscito di Asimov, ed anche lo scrittore non negò mai di avere per la robopsicologa della U.S. Robots and Mechanical Men una predilezione del tutto speciale, fino a fargli addirittura ammettere che:

“Via via che il tempo passava, mi innamorai della dottoressa Calvin. È un personaggio scostante, tanto per intenderci, simile alla concezione popolare del robot molto più delle mie creazioni positroniche, ma io l’amavo lo stesso”. (6)

Secondo le informazioni fornite da Asimov nelle sue storie, Susan Calvin adesso avrebbe diciott’anni. Ella infatti è nata nel 1982, e, dopo aver frequentato la Columbia University, si laureerà nel 2003 e si specializzerà in robotica. A partire dal 2010, poi, lavorerà alla U.S. Robots and Mechanical Men come robopsicologa, ruolo nel quale la Calvin diverrà il maggior esperto mondiale. Ma quello che forse non tutti sanno, è che Susan Calvin era basata su una donna con cui Asimov a quel tempo era a stretto contatto accademico guarda caso proprio alla Columbia University, la Professoressa Mary Caldwell. Il carattere della donna non era come quello della dottoressa Calvin, ma non si può negare che Asimov non l’avesse in mente quando scrisse il racconto, visto che nella prima stesura il personaggio della robopsicologa si chiamava Susan Caldwell! Ma pochi giorni prima che il pezzo andasse in stampa, ad Asimov venne qualche timore all’idea di usare il nome di uno dei suoi professori in un suo racconto, per cui si recò da Campbell per chiedergli se poteva cambiarlo. Campbell però quel giorno non c’era poiché era malato, e allora Asimov chiese alla sua segretaria, Katherine Terrant, se si poteva fare.

“- Suppongo che tu voglia che io scorra l’intero manoscritto per cambiare il nome, vero? – dichiarò la donna con un sorriso. Al garbato ‘per favore’ di Asimov, ella replicò: – Bè, in cosa lo cambio?

Cercando di pensare un nome che avrebbe richiesto il minor cambiamento possibile, Asimov se ne uscì con ‘Calvin’, e così rimase.” (7)

Alcuni considerano Liar! come la miglior storia robotica di Asimov e di certo è un racconto inusuale dove in primo piano ci sono i problemi umani dei personaggi coinvolti in una storia costruita soprattutto sulle loro emozioni, piuttosto che su divertenti esercizi intellettuali spesso basati sulla risoluzione di un enigma tecnico della maggior parte degli altri racconti robotici.

Il robot protagonista di Liar! si chiama Herbie (RB-34) e, come Asimov aveva già detto a Campbell, per un guasto durante la costruzione, è in grado di leggere nella mente. Questa facoltà tuttavia va facilmente a collidere con le Tre leggi, poiché Herbie è strutturalmente obbligato a dire ai suoi padroni ciò che essi vogliono sentirsi dire. In particolare, durante una ricerca del problema di Herbie, la squadra di investigazione si trova coinvolta in una serie di equivoci causati dall’innocente interferenza del robot che scatena le loro debolezze. E la debolezza di Susan Calvin è il suo interesse segreto per un collega, Milton Ashe, il quale è, secondo l’opinione di Herbie, ugualmente interessato a lei. Ovviamente il robot sta mentendo per cercare di assecondare i desideri della Calvin e non ferirla, e quando la dottoressa lo scopre, la sua reazione esplode in tutta la sua amarezza, il suo dolore e la sua frustrazione tipicamente umane che, quasi in una sorta di vendetta personale, portano il robot alla pazzia.

Mai in nessun altro racconto robotico come in Bugiardo!, Susan Calvin ci mostra una gamma così varia di emozioni, dalla vulnerabilità, alla rabbia, alla disperazione, che fanno da contraltare alla freddezza della logica robotica, così distorcente e perversa eppure, allo stesso tempo, ingenua e innocente, ciononostante, Asimov la preferiva in Galley Slave (1957, Lo schiavo, conosciuto anche come Il correttore di bozze), che era il suo racconto preferito con Susan Calvin.

Ma in Liar! compaiono per la prima volta anche altri due comprimari della U.S. Robots and Mechanical Men che Asimov riutilizzerà in alcuni altri racconti. Parliamo del dr. Peter Bogert, Matematico Capo ed esperto di robotica, che comparirà anche in Little Lost Robot (1947, Il piccolo robot perduto), Feminine Intuition (1969, Intuito femminile), e del dr. Alfred Lanning, Direttore delle Ricerche dai lunghi capelli bianchi che gli conferiscono un’aria da patriarca biblico, che sarà protagonista delle storie Evidence (1945, La prova), il già citato Galley Slave (1957) e Lenny (1957, idem), quest’ultimo insieme al suddetto Bogert.

Si diceva che, benché Asimov avesse ormai abbastanza chiara la questione delle Tre leggi, in Liar! esse non sono ancora espressamente citate. Anzi, per la verità, si fa riferimento solo alla Prima senza soffermarcisi troppo. Il primo vero ingresso delle Tre leggi nella loro forma esplicita, quella rimasta invariata fino ad oggi, avvenne nel successivo racconto robotico.

Robot ALa formalizzazione

In un momento di tensione e nervosismo, all’aperto sulla superficie di un Mercurio “dotato di una carica di jettatura inversamente proporzionale alle sue dimensioni”, è Gregory Powell a battezzare ufficialmente le Tre Leggi della Robotica nel momento in cui le espone via radio al suo compagno Michael Donovan:

“- Adesso stammi a sentire. Cominciamo con le tre Leggi fondamentali della Robotica. Le tre Leggi che sono impresse più profondamente nel cervello positronico di un robot -. Nell’oscurità, le sue dita guantate batterono sulla roccia per sottolineare ogni punto.

– Dunque. Uno: Un robot non può recar danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

– Esatto!

– Due, – continuò Powell. – Un robot deve obbedire agli ordini impartiti da un essere umano purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

– Esatto.

– Tre: un robot deve proteggere la propria esistenza purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.” (8)

Il racconto in questione è Runaround (1942, Girotondo, conosciuto anche come Circolo vizioso) e, in realtà, non è cronologicamente il quarto racconto robotico, che, per un solo mese, è invece l’atipico Source of Power, tentativo di unire umorismo e robotica che Asimov non teneva in grande considerazione giacché non ebbe neppure il coraggio di farlo leggere a Campbell, preferendo dirigersi prima a Thrilling Wonder Stories e poi, dopo un rifiuto, ad Amazing Stories dove apparve nel febbraio del 1942 con il titolo Robot AL-76 Goes Astray (1942, Il robot scomparso, conosciuto anche come AL-76).

Runaround non tradisce invece la linea ormai consolidata dei primi tre racconti e in questo senso si può considerare a buon diritto il vero e proprio quarto racconto robotico, che fu proposto a Campbell il 20 ottobre del ’41 e accettato istantaneamente, per apparire tra le pagine di Astounding nel marzo dell’anno successivo.

In questo racconto SPD-13, ovvero Speedy, è un sofisticato robot che Poweel e Donovan hanno portato su Mercurio per impiegare nella rimessa in funzione di una Stazione Mineraria installata sul lato illuminato del pianeta, dopo che una missione precedente era fallita. I due inviano Speedy a recuperare del selenio sulla superficie, elemento fondamentale per la loro sopravvivenza, ma il robot si mette a muoversi in cerchio recitando filastrocche senza senso come un ubriaco. Dopo l’analisi delle Tre leggi, applicate alla situazione, i due tecnici capiscono che Speedy è in equilibrio tra un potenziale di Seconda legge basso ma prioritario, ovvero l’ordine impartitogli, e un potenziale di Terza legge, più alto perché il robot è molto costoso e quindi dotato di un maggiore istinto di autoconservazione, ma con priorità minore, scatenato dal pericolo di effluvi di ossido di carbonio che intaccano il ferro, principale materiale di cui è fatto il robot. Quest’anomala situazione di equilibrio causa non solo il movimento a girotondo del robot, ma anche questo suo andare “fuori di testa” che Powell risolverà imprimendo al robot un potenziale di Prima legge più forte degli altri due, mettendo la propria vita a repentaglio, e spezzando così finalmente il ciclo indefinito dentro il quale era caduta la macchina.

Io RobotIl titolo rubato

Si può dire che il 1941 sia stato davvero l’anno della svolta della carriera di Asimov. Non solo infatti egli concepì le Tre leggi, ma qualche mese prima, durante l’estate, insieme all’immancabile Campbell, gettò le basi anche di un nuovo e più ampio progetto di una serie di racconti tutti imperniati sulla caduta del Primo Impero Galattico e sulla nascita del Secondo, a modello della caduta dell’Impero Romano. Era l’inizio del mito della Fondazione che nel giro di dieci anni avrebbe proiettato lo scrittore una volta per tutte tra i grandi del genere. Nel 1950 infatti la sua fama era già notevole e, forte dei suoi successi, Asimov pubblicò la sua prima antologia di racconti, che conteneva solo storie robotiche, nove per la precisione. L’editore era Martin H. Greenberg per la Gnome Press, e durante le fasi finali di revisione del manoscritto accadde un aneddoto particolarmente divertente:

“In origine, aveva il titolo preliminare Mind and Iron. Verso le fasi finali del lavoro di revisione del manoscritto, Martin Greenberg […] suggerì il titolo I, Robot. Ad Asimov l’idea piaceva ma obiettò che l’omonima storia di Eando Binder apparsa sul numero di gennaio 1939 di Amazing ne precludeva l’uso. – Fuck Eando Binder! (lett. ‘Fanculo Eando Binder!) – fu la replica di Greenberg.” (9)

Fu in questo modo assai colorito che fu tenuto a battesimo uno dei testi maggiormente letti e famosi della fantascienza di questo secolo, il cui titolo divenne molto famoso (assai più grazie ad Asimov che a Binder!), facendo conoscere Asimov a un pubblico maggiormente eterogeneo, composto non solo dagli appassionati di fantascienza, e contribuendo a creare quel falso binomio Asimov = Fantascienza che ancor oggi è ritenuto vero da più d’uno. Ma questo era solo, si fa per dire, l’inizio.

Dopo un gran numero di racconti pubblicati nell’arco di poco più di un decennio, e subito dopo l’uscita nel 1950 del suo primo romanzo Pebble in the sky (Paria dei cieli), Asimov, che fino ad allora non aveva preso in grande considerazione l’idea del romanzo, non poteva non affidare prima o poi alla narrazione lunga i personaggi con cui era maggiormente in debito.

Ralph McQuarrie 4Se il robot si colora di giallo

Quando Asimov si cimentò con il suo primo romanzo robotico, la Fondazione era già una realtà consolidata. I racconti che andarono a costituire la prima Trilogia della Fondazione o Trilogia Galattica, quella classica, che per intenderci comprende Foundation (1951, Cronache della Galassia), Foundation and Empire (1952, Il crollo della Galassia centrale) e Second Foundation (1953, L’altra faccia della spirale), erano tutti quanti apparsi negli anni ’40 e ormai Asimov considerava l’argomento chiuso. Difatti sarebbero trascorsi trent’anni prima che lo scrittore riprendesse in mano il tema della Fondazione con Foundation’s Edge (1982, L’orlo della Fondazione), forse anche grazie alla pressione dagli editori che volevano rinverdire i fasti di qualcosa che era già stato un successo senza precedenti.

Ma nel 1954, dopo che, appunto, la Trilogia della Fondazione era compiuta e anche la cosiddetta trilogia dell’impero trantoriano, ovvero Pebble in the Sky (1950, Paria dei cieli), The Stars Like Dust (1951, Il tiranno dei mondi) e The Currents of Space (1952, Le correnti dello spazio) era archiviata, Asimov decise di dedicarsi a un nuovo progetto, che coniugava i robot con una delle sue passioni: il giallo. Tuttavia, come spesso gli accadde in quegli anni, lo spunto gli fu suggerito da un editore, come racconta lo stesso Asimov:

“Il 9 aprile 1952 Horace Gold e io ci mettemmo a discutere sul progetto di un nuovo romanzo da pubblicare su Galaxy, la rivista da lui diretta. Gold lanciò l’idea di una storia di robot, ma io scossi fermamente la testa: i miei automi erano apparsi solo in racconti brevi e non ero affatto sicuro di poter reggere un intero libro sull’argomento.

– Ma certo che puoi – mi disse Gold. – Che ne dici di un mondo sovrappopolato in cui i robot stanno soffiando il lavoro agli uomini?

– Deprimente – risposi. – Non sono affatto sicuro di voler scrivere un pesante romanzo sociologico.

– E allora fallo a modo tuo. Ti piacciono i gialli: metti un delitto nel mondo che ti ho descritto e fallo risolvere da un detective umano aiutato da un robot. Il detective sa che, se non risolverà il caso, il robot gli soffierà il posto.

Questo mi entusiasmò: John Campbell aveva detto spesso che un giallo fantascientifico era una contraddizione in termini, che le invenzioni tecnologiche care alla fantascienza avrebbero permesso al detective di risolvere il mistero con mezzi sleali, e che quindi i lettori sarebbero stati ingannati.

Io decisi di scrivere un romanzo che rispettasse le regole classiche del giallo e non ingannasse i lettori e che, al tempo stesso, avesse un perfetto svolgimento fantascientifico.” (10)

Nacquero così i famosi The Caves of Steel (1954, Abissi d’acciaio) e The Naked Sun (1957, Il sole nudo), seguiti poi, molto più tardi, da The Robots of Dawn (1983, I robot dell’alba) che chiude idealmente la trilogia e da Robots and Empire (1985, I robot e l’Impero), i quali, questi ultimi due, contribuiscono a tessere l’ordito necessario a ottenere un’unica visione di storia futura insieme al ciclo della Fondazione.

Dunque, il primo elemento che spicca di questi nuovi romanzi (almeno i primi tre) è il fatto che essi siano costruiti come detective story e in quest’ottica, la contaminazione tra fantascienza e giallo è palese. C’è un omicidio, ci sono i detective e ci sono le indagini: moventi, armi del delitto ecc. ecc. Ma sopra ogni altra cosa ci sono il contesto in cui si muovono i personaggi, nonché i due indimenticabili protagonisti.

Abissi d'acciaioI nostri eroi

Come non si fa fatica a capire dal titolo, la Terra di Abissi d’acciaio non è un posto molto piacevole dove vivere. Urbanizzata, e metallificata all’inverosimile, è un pianeta in piena crisi, dove coloro che non hanno scelto di andare a vivere su una delle colonie, sono costretti a vivere stipati come formiche, mai a contatto con l’aria aperta o con il cielo per il quale provano addirittura paura, in una sorta di agorafobia collettiva indotta dall’abitudine alla reclusione. Un’avversione estrema che i terrestri provano anche per i robot, banditi dalla Terra perché giudicati pericolosi, mentre sono prosperi nelle colonie spaziose, aperte e lussureggianti esattamente come Spacetown, la città degli spaziali. Ma, come spesso accade, il sentimento è reciproco, e anche gli Spaziali non vedono di buon occhio i Terrestri, considerati esseri sporchi e inferiori. In quest’atmosfera ricca di spunti ed elementi contrastanti, si muovono Elijah Baley, miglior poliziotto della City e R. Daneel Olivaw, miglior poliziotto di Spacetown. Ed è proprio dal confronto tra i due, il primo terrestre, il secondo robot sofisticatissimo, che scaturisce quanto di meglio c’è in questi romanzi asimoviani.

Elijah Baley è un eroe di carne e sangue, mentre Daneel Olivaw è una creatura sfuggente, misteriosa, quasi mistica,

“Eppure a un certo punto del romanzo Lije Baley pensa esattamente il contrario: di essere lui la creatura misteriosa inarrivabile, dotata di un cervello che nessuno conosce a fondo; mentre un robot è solo un robot, il cui cervello è noto nei minimi dettagli o non potrebbe essere costruito” (11)

E anche sotto l’aspetto morale, la distinzione non è così netta e le contraddizioni tra l’etica umana supportata dall’educazione, dalla legge della società civile o dalla religione, e quella robotica integrata nelle sue Tre leggi, sono spesso uno spunto interessante poiché, considerando ad esempio l’aspetto religioso:

“[…] i robot ignorano il senso della morale cristiana, anzi della morale in genere, perché capaci soltanto di un’interpretazione letterale della realtà, a cui sono estranei i principi astratti. Eppure è Daneel quello che, schiaffeggiato, porge l’altra guancia; ed è sempre Daneel a dar prova di come un essere capace di reagire soltanto alla lettera dei fatti progredisca verso uno stadio intellettuale (morale?) superiore”. (12)

Cosa che peraltro diverrà più che più che evidente con lo sviluppo sfrenato del suo personaggio che Asimov intraprenderà a partire dalla metà degli anni ’80, con l’intreccio multiplo delle sue serie, che condurranno il robot ad agire in favore di Hari Seldon, aiutandolo, spronandolo e proteggendolo dalle forze ostili dell’Impero affinché il matematico possa sviluppare la sua Psicostoria, fondamentale per limitare il periodo buio tra la caduta dell’Impero e la rinascita della civiltà.

Dean Ellis - The Proud Robot, 1975Il terzo romanzo

Si sa che il “tre” è il numero perfetto, e la trilogia è la forma letteraria per eccellenza per chi voglia sviluppare un argomento complesso in episodi successivi, non necessariamente concatenati tra loro. Per questo non sorprende tanto il fatto che Asimov abbia scritto tre romanzi su Elijah Baley e Daneel Olivaw, piuttosto che abbia aspettato ben un quarto di secolo prima di scrivere il terzo, questo sì! Il fatto è che il Buon Dottore un terzo romanzo lo aveva iniziato già nel 1958, si intitolava The Bounds of Infinity (I margini dell’infinito) e vedeva ancora protagonisti Baley e Olivaw. Per una volta, però, Asimov si inceppò e all’ottavo capitolo piantò il romanzo a metà, dopo aver incocciato in un problema insormontabile: descrivere la storia d’amore tra il suo personaggio femminile principale e R. Daneel Olivaw. Il problema era che la trama avrebbe necessariamente richiesto ad Asimov di descrivere la relazione in certi dettagli che erano terribilmente difficili da affrontare nel clima sociale degli anni ’50, per cui alla fine Asimov non riuscì a gestire la storia e abbandonò il lavoro a metà. Ma venticinque anni dopo, tali problemi non sussistevano più e Asimov decise di affrontare quell’argomento in un nuovo romanzo robotico. Non la ripresa di The Bounds of Infinity, bensì una storia completamente nuova in cui, tuttavia, ad un certo punto, si scopriva che una donna, Gladia Solaria, già protagonista de Il sole nudo, aveva avuto una scandalosa relazione con il robot Jander Panell, la vittima dell’omicidio. Asimov terminò il romanzo intitolato The World of Dawn (Il mondo dell’alba) il 28 marzo 1983 e lo presentò a Doubleday, il suo editore, il quale però pretese che un romanzo robotico avesse la parola “robot” nel titolo (un po’ come succedeva per i suoi romanzi della Fondazione, con la parola “Fondazione”, appunto!) e così, con il beneplacito di Asimov, il romanzo diventò The Robots of Dawn (1983, I robot dell’alba).

Ma, oltre a costituire il ritorno dopo tanto tempo a un soggetto così glorioso della Golden Age della fantascienza, questo romanzo è speciale per almeno altri tre aspetti:

1) con questo romanzo Asimov cominciò ad accarezzare l’idea di far convergere in un’unica visione, i romanzi sui robot e quelli della Fondazione;

2) Elijah Baley cita esplicitamente per la prima volta Susan Calvin, mettendo così in collegamento diretto il lontano futuro degli Spaziali con le storie del ventunesimo secolo di I, Robot e The Rest of Robots;

3) compare il personaggio di un nuovo robot molto sofisticato, Giskard Reventlov, addirittura dotato di poteri telepatici, che sarà protagonista anche del successivo romanzo robotico e che risulterà un punto di forza insostituibile nella costruzione del ponte narrativo verso la Fondazione.

I robot e l’ImperoLe altre Leggi

La questione fondamentale su cui Asimov si soffermò nel momento in cui decise di unire insieme le sue due maggiori concezioni era: perché nella Fondazione non esistono robot? Lo scrittore decise di spiegarlo con il fatto che la Galassia doveva essere stata colonizzata da persone che erano specificatamente ostili all’uso dei robot. Poiché una simile società esisteva sulla Terra durante l’epoca degli Spaziali, ne conseguì logicamente che la Galassia doveva essere stata colonizzata da Terrestri piuttosto che da Spaziali. Questo era un punto di partenza, ma c’erano anche alcuni aspetti particolari della Terra che Asimov doveva cercare di far conciliare, come ad esempio il fatto che nella trilogia robotica la Terra era sovrappopolata, mentre nella trilogia dell’Impero Trantoriano dei primi anni ’50 (Paria dei cieli, Il tiranno dei mondi e Le correnti dello spazio), la Terra era assai spopolata con vaste regioni della superficie contaminate da radiazioni. Inoltre, non ci poteva essere stata una guerra nucleare, poiché un simile evento sarebbe stato abbastanza devastante da lasciare porzioni di pianeta radioattivo per decine di migliaia di anni, cosa che avrebbe facilmente estinto l’umanità, condizione ovviamente inconciliabile con i romanzi dell’Impero.

Il risultato della soluzione di questi problemi Asimov lo trovò ne Robots and Empire (1985, I robot e l’Impero), romanzo robotico, ma atipico rispetto agli altri tre precedenti perché non si tratta di un mistery. Del resto, al momento dello svolgimento dei fatti narrati nel romanzo, Elijah Baley è morto da duecento anni e, a parte lui, i protagonisti sono ancora quelli de I robot dell’alba, i due robot Daneel e Giskard, e Lady Gladia Solaria.

L’ambientazione riflette quello che Asimov aveva bisogno di giustificare, ovvero l’assenza dei robot dalla Galassia. Gli Spaziali sono quindi visti come una società ormai appagata e in declino, insediatasi stabilmente sui loro 50 mondi senz’altri aneliti espansionistici, mentre sono i Terrestri ad essersi spinti prepotentemente nello spazio, in una colonizzazione forsennata che sta minacciando la sopravvivenza degli stessi Spaziali i quali, guidati dal dottor Kelden Adamiro coadiuvato dal roboticista Levular Mandamus, hanno escogitato un modo per distruggere la Terra e scongiurare la minaccia alla fonte.

Oltre alla prova narrativa di tutto rispetto che ha consentito ad Asimov di costruire un romanzo di frontiera che incastra i pezzi del mosaico robotico con quelli del quadro imperiale senza troppe stonature, ci pare che I robot e l’Impero vada ricordato per altri due spunti notevoli. Il primo è quello della Legge Zero della Robotica, che innalza di un gradino la priorità della Prima legge mettendo al primo posto l’incolumità ed il benessere dell’umanità intera, a scapito di quello del singolo individuo. Asimov si vide costretto a formularla nel momento in cui si rese conto che, in seguito a una ristretta interpretazione della Prima legge, un robot avrebbe protetto una persona anche se la sopravvivenza dell’intero genere umano fosse messa a repentaglio. Dietro possibili minacce come l’annichilazione da parte di una razza aliena o l’eliminazione totale causata da un virus mortale, un robot avrebbe avuto la capacità di capire che l’umanità era condannata, ma, nonostante ciò, avrebbe potuto seguire esclusivamente le sue Leggi. Ovviamente, la difficoltà di giudizio da parte del robot viene messa a dura prova da questa nuova Legge, giacché è relativamente facile capire quando una persona ha bisogno di essere salvata, mentre lo stesso non vale per l’umanità che comprende un numero smisurato di individualità, ragion per cui è estremamente complicato giudicare quando un’azione (anche se lesiva nei confronti di un individuo) può portare un beneficio all’intera razza. In un certo senso, se la Prima Legge è assolutamente deterministica, la Legge Zero sposta il campo nella statistica. Asimov tuttavia aveva riflettuto anche su questo, e aveva capito che nel momento in cui si doveva decidere tra un individuo e l’umanità, della quale non è possibile conoscere tutti gli aspetti e le implicazioni con cui si sta trattando, le Leggi della Robotica cominciavano a scricchiolare. E infatti, non appena viene introdotta l’umanità come entità astratta, le Leggi della Robotica iniziano a confondersi con le Leggi dell’Umanica. È questo il secondo elemento notevole del romanzo, la concezione delle Leggi dell’Umanica, che cominciano a frullare nel cervello positronico di Giskard e che risulteranno essenziali nello sviluppo della Psicostoria, la scienza sviluppata da Hari Seldon che sta alla base dei romanzi della Fondazione, e che, guarda caso, si fonda sulla formalizzazione dei comportamenti umani su grandissima scala proprio in base a calcoli di natura probabilistica. Secondo Asimov:

“In senso stretto, le Leggi dell’Umanica dovrebbero essere una descrizione, in forma concisa, di come si comportano effettivamente gli esseri umani. Naturalmente non esistono categorie così precise. Persino gli psicologi, che studiano la materia scientificamente (per lo meno spero che lo facciano) non possono presentare nessuna ‘legge’, ma soltanto descrivere con ricchezza di particolari quello che la gente sembra fare. E niente di ciò che affermano è assoluto. Quando uno psicologo dice che la gente reagisce in un certo modo a uno stimolo di un certo tipo, intende dire soltanto che qualcuno lo fa in certi momenti. Altri potrebbero farlo in altri momenti, o potrebbero non farlo affatto. Se dovremo aspettare delle leggi vere e proprie sul comportamento umano per poter fondare la psicostoria (e di certo dovremo farlo), allora suppongo che dovremo aspettare ancora a lungo.

[…] in I robot e l’Impero, è un robot, Giskard, che solleva il problema delle Leggi dell’Umanica. Essendo un robot, deve vedere ogni cosa dal punto di vista delle Tre Leggi della Robotica, dal momento che i robot sono costretti a seguirle.

[…] Dunque, a me pare che un robot non possa far altro che pensare che gli essere umani debbano comportarsi in maniera tale da facilitare ai robot l’obbedienza a queste leggi. […] Se un uomo ha il diritto di dare a un robot qualsiasi ordine che non comporti un danno a un altro essere umano, allora deve avere la decenza di non impartire mai a un robot un ordine che comporti un danno a un altro robot, a meno che ciò non venga dettato dal bisogno di salvare la vita umana. Un grande potere impone grandi responsabilità, e se i robot hanno le Tre Leggi che proteggono l’uomo, vi sembra troppo chiedere agli uomini di attenersi a una o due leggi che proteggano i robot?

[…] cosa accadrebbe se un essere umano fosse minacciato dall’azione di un altro essere umano? Qui un robot deve prendere una decisione. Può salvare il primo senza far del male all’altro? Oppure, se si trovasse costretto a fare del male, quale linea di azione dovrebbe seguire per ridurlo al minimo?

Sarebbe assai più facile per il robot, se gli esseri umani si preoccupassero del benessere degli esseri umani, così come ci si aspetta che facciano i robot. E, in effetti, qualsiasi codice dell’etica umana impone agli esseri umani di prendersi cura gli uni degli altri e di non farsi del male reciprocamente. Il che è, dopotutto, il mandato che gli esseri umani hanno dato ai robot. Perciò la Prima Legge dell’Umanica dal punto di vista del robot dovrebbe essere la seguente:

 

1. Un essere umano non può recare danno a un altro essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno.” (13)

Analogamente si ricavano abbastanza facilmente anche le altre due leggi, che sono:

“2. Un essere umano deve impartire ai robot ordini che non turbino la loro l’esistenza robotica, a meno che tali ordini non causino danno o dolore ad altri esseri umani.

3. Un essere umano non deve recare danno a un robot, o permettere che, a causa del suo mancato intervento, i robot subiscano danni, a meno che tali danni siano necessari per impedire che venga recato danno a un essere umano, o per permettere che un ordine vitale venga eseguito”. (13)

The Bicentennial ManIl robot più grande

Ovviamente le Leggi dell’Umanica non possono essere integrate nel cervello umano come quelle della Robotica, ma nel momento in cui l’uomo avrà potere su esseri intelligenti, ancorché meccanici, come i robot, egli dovrà sentirsi responsabile verso di essi. E questa considerazione ci conduce a quella che è forse l’opera robotica per eccellenza di tutta la produzione asimoviana. Un’osservazione di questo genere viene infatti espressa dal personaggio umano del racconto The Bicentennial Man (1976, L’uomo bicentenario, conosciuto anche come L’uomo del bicentenario), che, considerando anche che la relativa traduzione in romanzo scritta a quattro mani con Robert Silverberg The Positronic Man (1992, Robot NDR-113) e uscita pochi mesi prima della morte dello scrittore, costituisce il vero e proprio testamento robotico di Isaac Asimov.

Anche questa volta, il suggerimento per la storia, venne servito ad Asimov su un piatto d’argento da un editor. Era il 15 agosto 1974 e Naomi Gordon andò a trovarlo per proporgli l’idea di un’antologia di fantascienza che avrebbe dovuto essere pubblicata in occasione del Bicentenario dell’America nel 1976 e che avrebbe raccolto le storie di dieci famosi scrittori di fantascienza. Altra particolarità era che tutte le storie avrebbero dovuto intitolarsi The Bicentennial Man, che sarebbe stato anche il titolo del libro. Asimov accettò e disse alla donna di tornare quando il progetto si fosse consolidato. A dire il vero Asimov non si aspettava di vederla tornare, cosa che invece accadde il 27 gennaio 1975, giorno in cui la Gordon si rifece viva con un contratto e un anticipo. Asimov non aspettava altro e iniziò a scrivere il 2 marzo, decidendo di optare per la celebrazione di un altro duecentesimo anniversario, quello in cui un robot riusciva a raggiungere il suo scopo di diventare umano. Asimov terminò la storia in una dozzina di giorni e la spedì alla Gordon. Pochi mesi più tardi, Asimov venne a sapere dalla moglie di Lester del Rey, Judy-Lynn, la quale stava a sua volta preparando un’antologia e che gli rimproverava di aver scritto un racconto per Naomi Gordon e non per lei, che il progetto era fallito e che l’antologia della Gordon non sarebbe uscita. Allora Asimov restituì l’anticipo e si riprese la storia, che a quel punto non poté fare a meno di cedere alla moglie di del Rey! Così, The Bicentennial Man apparve alla fine nel gennaio 1976 nell’antologia Stellar-2, e divenne uno dei più popolari racconti di Asimov, apprezzati sia dal pubblico che dalla critica, e capace di fargli vincere sia il Premio Hugo che il Premio Nebula come miglior racconto lungo del 1976.

Robot su licenza

Come ogni macchinario che si rispetti, anche il robot positronico può essere costruito da altri, purché su licenza o concessione del brevetto. E questo è proprio quanto è accaduto in più d’un caso, grazie alla smisurata celebrità dei robot asimoviana che ha indotto molti editori, magari non immuni alla tentazione di sfruttare editorialmente un soggetto così popolare, per sviluppare svariate opere sui robot positronici, ma scritte da altri.

Il primo esempio in assoluto risale alla seconda metà degli anni ’80 e precisamente al 1987. Diciamo “in assoluto”, poiché fino ad allora Asimov, per sua stessa ammissione, benché potessero essere usate liberamente, le Tre leggi della Robotica non potevano essere citate da altri, perché:

“Le idee può usarle chiunque, ma le parole sono mie”. (14)

E così fu finché la Byron Preiss fece ad Asimov la proposta giusta, affinché lo scrittore cedesse ad altri il privilegio di confrontarsi con i suoi robot. Il progetto era di affidare a diversi giovani scrittori la stesura di una serie di romanzi raggruppati sotto il titolo Robot City. I concetti asimoviani avrebbero potuto essere utilizzati nella più completa libertà, in compenso Asimov avrebbe svolto il ruolo di consulente, avrebbe dato consigli, eliminato le cose improprie e creato le premesse per lo svilupparsi del ciclo, offrendo nel contempo ad alcuni giovani autori la possibilità di mettersi in mostra e di sfondare. Del resto Asimov, allora vicino ai settant’anni cominciava a sentirsi vecchio, e decise di cogliere quell’occasione anche per cercare di perpetrare e rinvigorire alcuni prodotti della sua fantasia. Il primo dei sei romanzi, che si sviluppavano su una storia unitaria, fu Robot City – Book 1: Odissey, (1987, Robot City – Libro primo: Odissea) di Michael P. Kube-Mc Dowell, unico autore del gruppo poco conosciuto in Italia, ma comunque in grado di raggiungere una considerevole notorietà in campo internazionale anche grazie a tre romanzi ambientati nell’universo di Star Wars (La trilogia della crisi della flotta nera) e altri romanzi apprezzati tra cui Progetto Diaspora (1990, The Quiet Pools) di prossima pubblicazione nella nuova collana Solaria di Fanucci (a dicembre 2000), e il recente The Trigger (1999), firmato in coppia con Arthur C. Clarke. Gli altri episodi furono Robot City – Book 2: Suspicion (1987, Robot City – Libro secondo: Sospetto) di Mike McQuay, Robot City – Book 3: Cyborg (1987, Robot City – Libro terzo: Cyborg) di William F. Wu, Robot City – Book 4: Prodigio (1988, Robot City – Libro quarto: Prodigio) di Arthur Byron Cover, Robot City – Book 5: Refuge (1988) di Rob Chilson e Robot City – Book 6: Perihelion (1988) di William F. Wu. La serie racconta le vicende di Derec, un uomo che, avendo perso la memoria, si ritrova dapprima su uno sconosciuto asteroide di ghiaccio e successivamente in una misteriosa città abitata esclusivamente da robot. Di questo primo ciclo in Italia furono pubblicati solo i primi quattro volumi nella collana Edgar Fantascienza dell’editrice Interno Giallo, mentre della altre due serie che seguirono, Robots in Time and Robots and Aliens, composte ciascuna da sei romanzi (ved. cronologia sottostante), in Italia non n’è mai stato pubblicato alcuno.

 

L’anello di CaronteLe trilogie postume

Ma se questi erano tutti autori relativamente giovani, ci sono stati anche scrittori già affermati che si sono confrontati con un certo mestiere a replicare le gesta del Buon Dottore, dopo che questi ci lasciò nell’aprile del 1992. Il primo, nonché il migliore, è stato Roger McBride Allen (conosciuto in Italia soprattutto per il notevole L’anello di Caronte e il suo sequel, La sfera spezzata), il quale ha avuto l’onore, nonché l’autorizzazione ufficiale da parte dei detentori dei diritti sulle opere di Asimov, di scrivere una trilogia robotica in proprio, utilizzando non solo i robot asimoviani ma anche l’universo di Asimov. Sono nati così Isaac Asimov’s Caliban (1993, Il Calibano di Asimov), Isaac Asimov’s Inferno (1994, L’Inferno di Asimov), Isaac Asimov’s Utopia (1996, L’Utopia di Asimov), i quali rispecchiano e recuperano in maniera tutto sommato fedele atmosfere e stili dei romanzi robotici originali, in particolare della trilogia di Elijah Baley e Daneel. Unica licenza che MacBride Allen si concede è quella di concepire dei robot senza leggi… Chissà cosa ne avrebbe pensato Asimov, giacché nei cinquant’anni precedenti mai s’era azzardato a farlo!

Ma c’è stata anche una seconda trilogia, questa volta facente parte del ciclo della Fondazione, ma che ci sentiamo in dovere di citare, giacché i robot, e in particolare Daneel Olivaw, hanno acquistato una parte fondamentale all’interno di essa. Parliamo della cosiddetta trilogia delle tre “B”, ovvero dei romanzi di Gregory Benford, Greg Bear e David Brin, rispettivamente Foundation’s Fear (1997, Fondazione – La paura), Foundation and Chaos (1998) e Foundation’s Triumph (1999), ognuno dei quali, peraltro conservando il personalissimo stile di ciascun autore, cercano di colmare le lacune narrative sulla storia dell’avvento della Fondazione lasciate da Asimov, soprattutto riguardo ai fatti intercorsi tra Fondazione anno zero e Cronache della Galassia. E in essi. Il ruolo giocato dai robot, a cominciare da Daneel Olivaw e Dors Venabili, risulta ancora una volta indispensabile.

Il film robotico mai realizzato

Dopo aver parlato lungamente di racconti, romanzi e personaggi, molti dei quali estremamente popolari, in ultimo abbiamo deciso di lasciare qualcosa di diverso e di atipico, che forse non tutti conoscono.

Tutto cominciò a due anni dalla pubblicazione de L’uomo bicentenario e qualche mese dopo l’uscita cinematografica che avrebbe radicalmente cambiato il modo di intendere la fantascienza a 24 fotogrammi al secondo, Star Wars. Ebbene, nonostante l’enorme successo planetario di Asimov, e quarant’anni di onorata carriera, fino ad allora nessuna sua opera era mai stata tradotta in film (di Viaggio allucinanteFantastic Voyage, 1966 – Asimov fece solo la novelization dell’omonimo film, mentre il soggetto originale era di Jerome Bixby e Otto Klement), nonostante ciò a questo proposito Asimov dice che:

“La mia non-apparizione sullo schermo non mi ha mai preoccupato. Io sono essenzialmente uno scrittore da carta stampata. Scrivo materiale destinato a comparire su una pagina e non su uno schermo, sia esso grande o piccolo. Sono stato invitato in svariate occasioni a scrivere una sceneggiatura per un lungometraggio o un telefilm, sia qualcosa di originale sia un adattamento di una mia storia o di quella di qualcun altro, e ogni volta mi sono rifiutato. Per quanto io possa essere eclettico, non ho il talento di saper scrivere per gli occhi, ma sono una persona sufficientemente fortunata da riconoscere quello che so fare.” (15)

Già a metà degli anni ’50, Hollywood aveva manifestato interesse per I, Robot, nella persona del produttore John Mantley, il quale alla fine si era accordato con Asimov e aveva opzionato il romanzo per trarne una pellicola cinematografica. Le opere opzionate sono tuttavia sempre un numero assai maggiore di quelle che alla fine raggiungono le sale, e infatti per più di dodici anni di I, Robot non si fece nulla. Malgrado ciò, l’opzione venne rinnovata e rinnovata ancora, finché ad un certo punto la macchina del cinema decise di mettersi in moto e ad Asimov venne chiesto di scriverne il relativo adattamento per il grande schermo. Lo scrittore, ovviamente, rifiutò, e allora:

“A quel punto hanno fatto una cosa estremamente intelligente. Sono riusciti a ingaggiare Harlan Ellison.” (16)

Isaac Asimov e Harlan Ellison, a sua volta apprezzato autore di fantascienza non solo letterario ma anche televisivo con apprezzate incursioni in serial famosi come Star Trek e Ai confini della realtà, erano amici di lunga data e grandi estimatori l’uno dell’altra, per cui sembrava non poter esserci connubio migliore per poter finalmente vedere un’opera asimoviana illuminata dalla luce di un proiettore. Le premesse c’erano tutte. Ellison terminò la sceneggiatura nel 1978 e la sottopose ad Asimov, al quale piacque moltissimo. Vi trovava tutti gli elementi fondamentali e lo spirito dei suoi racconti. C’erano Susan Calvin, Gregory Powell e Michael Donovan, come pure alcuni dei suoi robot. E la trama, non solo si basava sul materiale contenuto in Io, Robot, ma riusciva nella mirabile impresa di mettere in evidenza

“nuove e sbalorditive sfaccettature. La sua sceneggiatura sarebbe diventata un film meraviglioso, secondo me” (17).

Asimov ne era addirittura entusiasta, come scrisse in una lettera che inviò all’amico il 18 agosto 1978:

“È magnifico, Harlan. Ti avevo chiesto nella mia lettera del 9 marzo di farne ‘ il primo film di fantascienza realmente adulto, complesso e valido mai realizzato’ e tu ce l’hai fatta. Hai apposto una cornice attorno quattro dei miei racconti, hai mantenuto le storie mie nell’essenza e in gran parte dei dettagli, hai creato una struttura tutta tua (con un’abilità e un’immaginazione che io non mi potrei mai nemmeno sognare di eguagliare) e tuttavia ti sei anche attenuto allo spirito di I, Robot. In particolare, hai mantenuto Susan Calvin la mia Susan Calvin, e questo è meraviglioso.” (18)

Purtroppo, però, una molteplice serie di ragioni, non fece mai entrare il film in produzione (come invece è purtroppo successo con il recente L’uomo bicentenario, che per fortuna Asimov non ha potuto vedere, e sul quale preferiamo sorvolare…). Innanzitutto i soldi di cui la visione di Ellison aveva bisogno e che si aggiravano intorno ai trenta milioni di dollari, cifra che la compagnia che deteneva i diritti sul film, non era certa di riuscire a recuperare con gli incassi.

“In secondo luogo la sceneggiatura di Harlan fu scritta dopo l’apparizione del lungometraggio Star Wars e quelli di Hollywood non sono precisamente noti per la loro abilità nel distruggere una macchina da soldi. Visto che Star Wars aveva fruttato milioni di dollari, a Harlan fu chiesto di creare robot ‘graziosi’ come R2-D2 e di rendere Susan Calvin graziosa come la Principessa Leia.” (19)

Infine pare che Ellison non sia il tipo che scende facilmente a compromessi. E di cose, quando si deve realizzare un film, ce ne sono parecchie con le quali si deve scendere a patti.

Insomma, il film rimase per una decina d’anni nel limbo, dopodiché, quando i diritti scaddero ed Ellison tornò in possesso della sceneggiatura, propose che venisse pubblicata a puntate sulle pagine dell’Asimov Science Fiction Magazine. Asimov ovviamente accettò e Gardner Dozois non si fece certo pregare, e così la sceneggiatura apparve sulla rivista in tre puntate successive nell’autunno del 1987. Ellison però non l’abbandonò, e ci lavorò ancora sopra in vista della sua pubblicazione in volume che avvenne nel 1994 e che in Italia sarebbe giunta nel maggio 1996, un’edizione impreziosita da una serie di tavole e di disegni di Mark Zug, che purtroppo Asimov non avrebbe mai avuto la possibilità di vedere.

 

AsimovUn futuro senza Leggi?

Dal breve viaggio che abbiamo percorso, è facile capire che i robot positronici devono praticamente tutto alle Tre leggi della Robotica, invenzione mirabile non solo dal punto di vista letterario, di cui Asimov andava orgoglioso e sulle quali non perdeva mai occasione per dire che erano già prese molto sul serio anche dagli scienziati, dagli ingegneri e dagli esperti di robotica e intelligenza artificiale. E auspicava, anzi era pressoché certo, che le leggi venissero integrate nei dispositivi dotati di intelligenza artificiale che non avrebbero tardato molto ad essere costruiti. Ma sarà davvero così? I primi rudimentali esempi non sembrano esserne dotati…

In un suo breve saggio di qualche anno fa, ma che è ancora rintracciabile in rete (http://www.sfwriter.com/rmasilaw.html), scritto poco dopo l’uscita del suo romanzo Golden Fleece (1990, Apocalisse su Argo – Urania n. 1369) in cui le intelligenze artificiali non si mostravano esattamente benevole nei confronti degli esseri umani, Robert J. Sawyer affermava che assai difficilmente le Tre leggi sarebbero state impiegate realmente nell’industria e nell’ingegneria, soprattutto perché lo sviluppo dell’intelligenza artificiale era soprattutto un business, una questione economica, e in questi casi:

“Gli affari non sono notoriamente interessati agli aspetti fondamentali della sicurezza… specialmente quelli filosofici. (Alcuni esempi: l’industria del tabacco, dell’automobile, del nucleare. Nessuna di queste ha detto dall’inizio che c’erano delle salvaguardie fondamentali necessarie, tutte quante hanno resistito alle protezioni e alle restrizioni imposte dall’esterno e nessuna ha accettato alcuna disposizione assoluta contro il causare danno agli umani. In verità, dato che la stragrande maggioranza della ricerca sull’intelligenza artificiale e la robotica è sottoscritta dai militari, sembra che difficilmente ci sarà mai una ‘legge’ generale contro il causare danno agli esseri umani.

[…] Viviamo già in un mondo in cui le Tre leggi della Robotica di Asimov non hanno alcuna validità…” (20)

E probabilmente Sawyer ha ragione, forse tra un tempo non troppo lungo ci toccherà guardarci le spalle dalla Playstation 3000, o stare ben attenti a non urtare la suscettibilità della nostra sveglia con sberle troppo forti al lunedì mattina.

I dispositivi elettronici odierni presentano delle protezioni intrinseche, ma non possono ancora essere paragonate alle Tre Leggi, giacché gli oggetti non sono ancora dotati di intelligenza artificiale. Quando arriveranno, vedremo… Ma, intanto, se davvero sarà così come dice Sawyer, è difficile pensare che il mondo sarà un bel posto dove vivere, un posto dove aspetteremo con ansia la domenica mattina, per lasciare a casa il nostro proiettore di libri elettronici, e andare nel luogo più lontano possibile da qualsiasi macchina esistente, tirare fuori dal nostro zaino le pagine ingiallite e impolverate di Io, Robot e, appoggiati al tronco di un albero finto, sognare un mondo migliore.

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Note e riferimenti bibliografici:

(1), (8) Io, Robot, di Isaac Asimov – Tascabili Bompiani (1989)

(2), (11), (12) Asimov e l’uomo d’acciaio, di Giuseppe Lippi (in Abissi d’acciaio, di Isaac Asimov – Oscar Fantascienza, Mondadori 1988)

(3) Interview with Isaac Asimov, di Richard Diercks (1992)

(4) I miei robot, di Isaac Asimov, in Visioni di Robot, di Isaac Asimov – Interno Giallo (1991)

(5) Asimov Story, di Isaac Asimov – Oscar Fantascienza, Mondadori (1987)

(6) Il secondo libro dei robot, di Isaac Asimov – Tascabili Bompiani (1990)

(7), (9) Asimov: The Unauthorized Life, di Michael White, Millenium – Orion Books (1994)

(10) The Story Behind the Robot Novels di Isaac Asimov, in Introduzione di Giuseppe Lippi a Il sole nudo, di Isaac Asimov – Oscar Fantascienza, Mondadori (1986)

(13) Le leggi dell’umanica, di Isaac Asimov, in Visioni di Robot, di Isaac Asimov – Interno Giallo (1991)

(14) Introduzione a Robot City Libro Primo (Odissea, di Michael P. Kube-McDowell), di Isaac Asimov

(15), (16), (17), (19) Io, Robot secondo Harlan Ellison, di Isaac Asimov, in Io, Robot di Harlan Ellison e Isaac Asimov (Super Blues Mondadori, 1996)

(18) Io e Isaac al cinema – Breve memoriale della Cittadina Calvin, di Harlan Ellison, in Io, Robot di Harlan Ellison e Isaac Asimov (Super Blues Mondadori, 1996)

(20) On Asimov’s three Laws of Robotics, di Robert J. Sawyer (http://www.sfwriter.com/rmasilaw.html)

Isaac Asimov Home Page, di Johnny Pez: http://www.clark.net/edseiler/www/asimov_home_page.html

ISFDB (Internet Speculative Fiction Data Base): http://www.sfsite.com/isfdb/sfdbase.html

Amazon: http://www.amazon.com

Catalogo Sf, Fantasy e Horror, a cura di Ernesto Vegetti: http://www.cavaglia.com/CatalogoSF