Musica e fantascienza: “La macchina salvamusica” (The Preserving Machine, 1953) di Philip Kindred Dick

Pietro Argenti“E ovviamente nei miei scritti è costantemente presente il tema della musica, dell’amore e dell’attenzione per la musica.

La musica è il filo rosso che percorre e dà coerenza alla mia vita.”

PHILIP K. DICKi

DickUn giovane Dick

PHILIP K. DICK

La macchina salvamusica

(The Preserving Machine, 1953)

“La musica è una delle cose più deperibili, fragili e delicate:

una delle cose che si distruggono più facilmente.”

Doc Labyrinth

Doc Labyrinth sulla sdraio da giardino, chiudendo tristemente gli occhi. Si tirò la coperta sulle ginocchia.

«Be’?» dissi. Stavo davanti al barbecue, a scaldarmi le mani. Era una giornata chiara e fresca. Il cielo soleggiato di Los Angeles era quasi privo di nuvole. Oltre la modesta casa di Labyrinth c’era una distesa leggermente ondulata di verde che arrivava fino alle montagne… una piccola foresta che dava l’illusione della natura selvaggia dentro i confini della città. «Allora, dimmi: la Macchina ha funzionato come avevi previsto?» chiesi ancora.

Labyrinth non rispose. Io mi voltai. Il vecchio aveva lo sguardo imbronciato fisso di fronte a sé, stava guardando un enorme scarafaggio color grigio spento che risaliva lentamente un lato della sua coperta. Lo scarafaggio saliva metodicamente, con il muso inespressivo nella sua dignità. Arrivò in cima e scomparve dall’altra parte. Di nuovo soli.

Labyrinth sospirò e mi guardò. «Oh, sÍ; ha funzionato anche troppo.»

Cercai lo scarafaggio, ma era scomparso. Una leggera brezza spirò intorno al me, fredda e sottile nel crepuscolo morente del tardo pomeriggio. Mi avvicinai di più al barbecue.

«Raccontami» dissi.ii

The preserving machinePiù fantasy che fantascientifico, questo racconto testimonia ovviamente del grande amore dell’autore per la musica, ma anche di una riflessione non banale del giovane Dick sui rapporti fra cultura e biologia, affine per certi versi a quella del racconto più o meno contemporaneo Non saremo noi.

Doc Labyrinth, preoccupato per i rischi di decadenza della civiltà (il solito parallelo con la civiltà romana così diffuso nella cultura – e nella fantascienza – americana dell’epoca), si fa costruire una macchina per trasformare le partiture musicali in forme di vita. In caso di collasso della civiltà, così ragiona, la musica non correrà il rischio di scomparire, se è incarnata in esseri viventi intenzionati a lottare per la propria sopravvivenza. La macchina funziona secondo un criterio indecifrabile, e per ogni spartito produce un diverso animale: ecco così l’uccello-Mozart, le cimici-Bach e altri esseri sconosciuti, come l’animale-Schubert e l’animale-Wagner. Tutti si disperdono per il giardino di Labyrinth, e il simpatico vecchio non ne sa più niente. Finché, un giorno, non scopre l’animale-Schubert barbaramente ucciso da un animale-Wagner decisamente mutato e incattivito rispetto a come era uscito dalla macchina. Tutti gli animali stanno mutando. Spaventato, Labyrinth inserisce nella macchina la cimice-Bach per effettuare la trasformazione inversa: lo spartito che ne esce è orrendamente cacofonico.

La lotta per la sopravvivenza trasforma i propri attori, mentre l’opera d’arte dovrebbe restare immutata e fedele a se stessa. Non ci può essere corrispondenza meccanica tra i dispositivi della cultura e quelli della natura.iii

Ascoltai la musica. Era terribile. Non avevo mai sentito una cosa così terribile. Era distorta, diabolica, senza senso o significato, tranne forse un senso alieno e sconcertante che non avrebbe mai dovuto esserci. Solo facendo un grande sforzo si riusciva a credere che una volta fosse stata una Fuga di Bach, parte di un’opera ordinatissima e rispettata.

«Non c’è speranza» disse Labyrinth. Si alzò in piedi, prese in mano lo spartito e lo fece a pezzetti.

Mentre facevamo il sentiero a ritroso verso la mia auto, esclamai: «Suppongo che la lotta per la sopravvivenza sia più forte di ogni ethos umano. Fa sembrare la nostra preziosa morale e le nostre preziose maniere in qualche misura irrilevanti.»

Labyrinth ne convenne. «Allora forse non si può fare nulla per salvare quelle maniere e quella morale.»

«Solo il tempo potrà dirlo. Anche se questo metodo è fallito, qualcun altro potrà funzionare, un giorno o l’altro potrebbe venire fuori qualcosa che al momento non possiamo prevedere o predire.»

È sintomatico che in questo apologo triste e inquietante, che si apre con il timore della scomparsa della bellezza e della cultura dalla Terra e che vuole suggerire l’impossibilità di accoppiare meccanicamente i processi culturali con quelli della vita biologica, sia stata scelta a simbolo del coté culturale proprio la musica: forse perché quest’arte, come dice Doc Labyrinth, “è la più deteriorabile delle cose, fragile e delicata, facile da distruggere”. D’altra parte il filo rosso che dava coerenza alla vita di un uomo come Philip Dick non poteva essere che una cosa così, fragile e delicata, facile da distruggere.iv

Philip Dick fece il suo ingresso nella fantascienza nel 1952. In quell’anno uscirono quattro racconti di fantasy e SF. Nel 1953 furono trenta, sette nel solo giugno, tra cui The Preserving Machine nel numero 25 di The Magazine of Science Fantasy, rivista allora diretta da Anthony Boucher.

Il Dr. Rupert Labyrinth ritornerà in un altro racconto del 1954 The Short Happy Life of the Brown Oxford (Breve vita felice di una scarpa marrone nella traduzione italiana del 1988, Urania 1068).

EDIZIONI ITALIANE DEL RACCONTO

Conservazione della specie – 1970 IN [Il fuoco della luna] Nova SF* a. IV n. 12, Libra Editrice – TRADUZIONE: Mariella Anderlini

La macchina conservatrice – 1973 IN Zoo-Fantascienza Andromeda 9, Dall’Oglio – TRADUZIONE: Maria Silva

La Macchina Salvamusica – 1976 IN Le Voci di Dopo [e altre storie] Futuro. Biblioteca di Fantascienza 26, Fanucci Editore – TRADUZIONE: M[aurizio] Nati

La Macchina Salvamusica – 1988 IN Le voci di dopo Biblioteca di Fantascienza [2] (2) <2>, Fanucci Editore – TRADUZIONE: M[aurizio] Nati

La macchina salvamusica – 1993 IN Futuro News a. XXII, n. 4 Futuro News a. XXII, n. 4, Fanucci Editore – TRADUZIONE: [Maurizio Nati]

La macchina salvamusica – 1994 IN Le presenze invisibili. Volume primo IperFICTION, Interno Giallo/Mondadori – TRADUZIONE: Vittorio Curtoni

La macchina salvamusica – 1996 IN Le presenze invisibili. Tutti i racconti- vol 1 Oscar Narrativa 1604, Arnoldo Mondadori Editore – TRADUZIONE: Vittorio Curtoni – ISBN: 8804413239

La macchina salvamusica – 2002 IN I giorni di Perky Pat e altre storie Tascabili Immaginario 12, Fanucci Editore  – TRADUZIONE: Paolo Prezzavento

La macchina salvamusica – 2006 IN Tutti i racconti 1947 – 1953 Collezione Dick 28, Fanucci Editore – TRADUZIONE: Paolo Prezzavento

COMMENTO MUSICALE

«L’animale wagner» disse Labyrinth con voce roca. «Ma è cambiato. È cambiato. Lo riconosco appena.»

Come cambiata dovrebbe suonare nelle orecchie dei puristi della classica (e direi anche dei puristi del jazz) questa versione kentoniana del più famoso brano musicale di Richard Wagner.

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Stan Kenton è tra le grandi figure del firmamento della storia del jazz. La sua orchestra, fortemente caratterizzata da un particolare suono (kenton sound) sapiente e seducente getta un ponte tra la musica jazz afro-americana e le acquisizioni raffinate e suggestive della musica colta del novecento. Specializzato nell’arrangiare ritmi afro-cubani (di cui fu un pioniere) per grandi organici (e alcune delle sue orchestre sfioravano i quaranta elementi) Kenton fu un direttore d’orchestra dotato di un suono distintivo e di una grande influenza sul panorama musicale: i componenti delle sue orchestre erano normalmente solisti di prim’ordine. Le idee che propugnava, e soprattutto il suo modo di porle, gli attirarono molte critiche inclusa quella (mossagli da Leonard Feather e probabilmente ingiusta) di avere pregiudizi razziali. Resta di lui e della sua orchestra una grande e imponente discografia variamente citata (il suo brano Intermission Riff è la sigla della rubrica settimanale del TG1 Tv7).

Un elemento che contraddistinguerà Kenton in molte sue registrazioni (e che sarà oggetto di critiche continue), è l’accostare veri e propri muri sonori di fiati (trombe, tromboni), spinti al massimo, talvolta alla dissonanza, a temi e melodie tranquille. L’imprevedibile è sempre un elemento principale in Kenton, tant’è che in molti suoi brani non si è mai in grado di capire cosa accadrà dopo: un piano solo, un tema eseguito dall’orchestra o un’esplosione astratta di note, eseguite dai fiati.

da Kenton suona Wagner (1964) uno dei suoi più importanti progetti:

Ride Of The Valkyries from “Die Walküre”

From the Album “Kenton Wagner”

https://youtu.be/STFx2yW-SBA?list=PLBIiojdRsFPDl—ZNrYsKaaLNrog2NED2

Pietro Argenti

NOTE

i Dick 1980, Introduzione a The Golden Man in Mutazioni. Scritti inediti, filosofici, autobiografici e letterari. Titolo originale: The Shifting Realities of Philip K. Dick. Selected Literary and Philosophical Writings, a cura di Lawrence Sutin (1995). Feltrinelli, Roma 1997

ii Il testo dickiano è tratto da “Philip K. Dick. I giorni di Perky Pat e altre storie” a cura di Carlo Pagetti. Traduzione di Paolo Prezzavento. Fanucci Editore, Roma 2002.

iii Antonio Caronia in “Philip K. Dick, la macchina della paranoia”, a cura di Antonio Caronia e Domenico Gallo, Agenzia X, Milano 2006

iv A. Caronia, op. cit.

NOTA MUSICALE

Le informazioni su Stan Kenton sono state prese da Wikipedia, l’enciclopedia libera.