La musica nei mondi di Jack Vance – Prima Parte

Pietro Argenti

Chi non ritornerebbe da una visita nel mondo di Jack Vance senza l’impressione di essere stato in un luogo unico, e di aver sperimentato cose che nel nostro mondo terreno non avrebbe mai potuto sperimentare.

ROBERT SILVERBERG

01 Terry and Jack Vance 1988Jack Vance al banjo e kazoo e Terry Dowling al washboard 1988

 

«Good music always defeats bad luck»

JACK VANCE

Stava seduto sul ponte posteriore esercitandosi col ganga, uno strumento simile alla cetra, ma non molto più grande della sua mano. Un centinaio di metri verso la riva, la schiuma delineava una striscia di spiaggia bianca; dietro si alzava la giungla, con i contorni di nere colline rocciose che si stagliavano nel cielo. In alto brillava Mirella, bianca e nebbiosa, come se vista attraverso il garbuglio di una ragnatela; il volto dell’oceano si univa e si rimescolava con la lucentezza della madreperla. La scena era diventata familiare, anche se non così noiosa, come il ganga a cui l’uomo aveva dedicato due ore strimpellando le scale sirenesi, formando accordi, modulando semplici progressioni. Adesso posò il ganga e prese lo zacinko, una scatola musicale piena di tasti che si suonava con la mano destra. Premendo i tasti si faceva passare l’aria attraverso dei pettini posti nei tasti stessi, che producevano un suono di accordeon. Thissell eseguì una dozzina di veloci scale, facendo pochissimi errori. Dei sei strumenti che egli doveva imparare, lo zacinko era quello che gli era risultato meno antipatico (a eccezione, si capisce, dell’himerkin, lo strumento che emetteva schiocchi, sbattimenti e fracasso, fatto di legno e pietra e usato esclusivamente con gli schiavi).

Thissell si esercitò altri dieci minuti, poi mise via lo zacinko. Piegò le braccia e fece schioccare le dita doloranti. Ogni attimo che era stato sveglio, da quando era arrivato, era stato dedicato agli strumenti: l’himerkin, il ganga, lo zacinko, il kiv, lo strapan, il gomapardo. Si era esercitato a eseguire scale su diciannove chiavi e quattro modi, innumerevoli accordi, intervalli mai immaginati sui Pianeti Patria. Trilli, arpeggi, legature, pause armoniche e nasalizzazioni; smorzamenti e aumenti dei sopratoni; vibrati e dissonanze; concavità e convessità. Si esercitava con diligenza incredibile, lavorando come un cane, per cui il suo originale concetto della musica, come fonte di piacere, era da tempo andato perduto. Osservando gli strumenti, Thissell dovette resistere al desiderio di scaraventarli tutti e sei nel Titanico.

moonmoth_05Immagine da The Moon Moth, graphic novel di Humayoun Ibrahim

Tornato sul ponte posteriore, Thissell prese lo strapan; una scatola musicale tonda, del diametro di venti centimetri. Da un mozzo centrale si dipartivano quarantasei corde che si innestavano sulla circonferenza a un campanello o a una barra tintinnante. Quando si pizzicava, le campanelle suonavano e le barre scampanellavano; se le corde venivano strimpellate tutte assieme, lo strumento dava un suono di chitarra tintinnante. Se era suonato con abilità, le piacevoli dissonanze acide producevano un effetto molto espressivo; una mano inesperta dava risultati meno felici e poteva anche ottenere dei rumori qualsiasi. lo strapan era il punto debole di Thissell ed egli si esercitò con costanza durante tutto il viaggio verso nord.

Dopo qualche tempo, la casa galleggiante accostò alla città galleggiante.

I pesci da traino furono trattenuti, la casa fu fissata agli ormeggi. Sul molo una fila di oziosi ponderava e valutava ogni aspetto della casa galleggiante, degli schiavi e dello stesso Thissell, secondo gli usi sirenesi. Thissell, non ancora abituato a un’ispezione così penetrante, trovava sconvolgente l’esame, soprattutto per la completa immobilità delle maschere. Di proposito si sistemò meglio il suo Faleno Lunare e scese la scaletta verso il molo.

Uno schiavo si sollevò nel punto dove era rimasto accovacciato, passò le nocche sul nero tessuto che portava sulla fronte e cantò una frase interrogativa su tre toni:

— Forse il Faleno Lunare che mi sta di fronte esprime la persona di Ser Edwer Thissell?

Thissell picchiò sull’himerkin che portava appeso alla cintura e cantò:

— Sono Ser Thissell.

— Sono stato onorato di una missione — cantò lo schiavo. — Ho atteso sul molo tre giorni, dall’alba all’imbrunire; tre notti dall’imbrunire all’alba, sono rimasto accoccolato su una zattera sotto questo stesso molo ad ascoltare i passi degli Uomini-notte. Finalmente ho scorto la maschera di Ser Thissell.

Thissell evocò un impaziente acciottolio dall’himerkin. — Qual è la natura di questa missione?

— Reco un messaggio, Ser Thissell. È rivolto a lei.

Thissell porse la mano sinistra, suonando l’himerkin con la destra.

— Dammi il messaggio.

— All’istante, Ser Thissell.

JACK VANCE Il Faleno lunare (The Moon Moth, 1961)

Traduzione di Franco Giambalvo

jim burns - space operaI tre amici, seduti a un tavolino esterno dell’Albergo Antico Regno, sorseggiavano vino dolce osservando i passanti. Reith era dell’idea che la musica rappresentasse la chiave per capire i caratteri di un popolo e, quella mattina, passando davanti a un’osteria aveva ascoltato brani di musica locale. L’orchestra era composta da quattro strumenti. Il primo era una specie di scatola di bronzo, nella quale erano incastrati dei coni coperti di pelliccia che, strofinati, emettevano un suono simile alle tonalità più basse della cornetta. Il secondo, un tubo di legno tenuto in verticale, del diametro di una trentina di centimetri e con dodici corde tese attraverso altrettante fessure, emetteva degli arpeggi striduli. Il terzo, una batteria di quarantadue tamburi, contribuiva a fornire un ritmo attutito, molto complesso. Il quarto, un corno di legno, emetteva possenti note e forti acuti.

La musica eseguita da questo complesso era sembrata a Reith singolarmente semplici e limitata: una ripetizione di una

melodia elementare, suonata con pochissime varianti. Al suon di questa musica ballavano alcune coppie. I danzatori stavano uno di fronte all’altro, tenendo le braccia tese lungo i fianci e intrecciando in modo complicato le gambe.

A Reith quello spettacolo era sembrato noioso e monotono, ma, al termine dell’esecuzione, aveva visto le coppie separarsi con un’espressione di grande soddisfazione e rimettersi immediatamente a ballare non appena la musica riprendeva. Col passare del tempo, anche Reith aveva cominciato ad apprezzare l’esecuzione; ne aveva capito la complessità, afferrando le impercettibili e continue variazioni che, al primo ascolto, gli erano sfuggite. Come la rancida salsa nera che accompagnava invariabilmente tutte le portate, anche la musica esigeva uno sforzo notevole per essere apprezzata. Ma il gusto, il piacere addirittura che se ne poteva trarre, doveva restare al di là della comprensione degli estranei. Forse, pensava Reith, quelle minime variazioni, quei tremuli accordi striduli erano un’espessione di raffinato virtuosismo. Forse i cittadini di Sivishe erano fatti per apprezzare le cose appena accennate, fuggevoli, appena percettibili. Questa capacità, questa sensibilità estrema erano probabilmente l’effetto prodotto dalla vicinanza della città di Dirdir.

JACK VANCE I tesori di Tschai (The Dirdir, 1969)

Traduzione di Beata della Frattina

Si dice tuttavia che Vance abbia avuto una vita piuttosto avventurosa ed abbia molto viaggiato per il mondo, trascorrendo vari anni nella marina mercantile. Adesso si è stabilito in California con la moglie e il figlio. Avram Davidson, parlando di Vance in una nota introduttiva al racconto Green Magic, sull’antologia The Best of Fantasy and Science Fiction: 13th series, racconta: «Tra i piaceri e i tesori riservatici dal calendario dell’anno passato, includiamo senz’altro la nostra scoperta di Jack Vance… la preferenza della signora Grania Davidson per la California come teatro della sua luna di miele un po’ differita ci ha permesso di incontrare il simpatico Jack Vance, assieme alla sua simpatica moglie e al suo simpatico figliolo… I Vance hanno attraversato la California nello spazio e nel tempo da quando un suo bis-bisnonno vi arrivò undici anni prima della Corsa all’oro; Jack è nato a San Fancisco, è cresciuto a San Joaquin-Delta del Sacramento, ha compiuto gli studi superiori a Los Angeles ed ha frequentato l’Università della California… ha raccolto frutta, suonato campane, lavorato come inscatolatore, minatore, ha costruito, equipaggiato, viaggiato per mare, suonato la tromba in un complesso jazz… vive in una vecchia casa nelle Oakland Hills, e ha sfidato bufere e tempeste costruendo la famosa casa galleggiante assieme a Frank Herbert e Poul Anderson… Nulla di quanto detto spiega ovviamente il suo talento narrativo. È un uomo che è vissuto nella terra delle fate, senza qualsiasi traccia di sdolcinatezza che un’affermazione del genere potrebbe implicare, e con in più una sofisticazione ed una perfetta eleganza di linguaggio difficili da eguagliare. Ci piacerebbe sapere qualcosa di più su merrihews, sandestines e magners, creature benigne e maligne, che Jack Vance si limita a menzionare di passaggio nelle sue storie. Ma forse va bene così. Jack Vance, che non si accontenta di occuparsi di magia bianca o nera, dice di essere a favore di: feste e festeggiamenti, viaggi su barche a vela, libri, scotch, bourbon, birra, gin e vino; e contrario a: architettura moderna, psichiatria, confusione, Picasso, Muzak, progressisti e reazionari, tabacco, peccato e corruzione.» Per la cronaca, la famosa casa galleggiante aveva una spiacevole tendenza ad affondare e Vance se ne è quindi disfatto.

Sandro Pergameno

dall’Introduzione a Marune, in Cosmo. Collana di fantascienza 92, Editrice Nord 1979

 

COMMENTO MUSICALE

SFWA Grand Master Jack Vance, 96, Plays Ukulele with Gusto

Science fiction legend and grand master Jack Vance, 96, owns you completely with his ukulele and kazoo. He plans to sell music from his Go For Broke Jazz Band as well as the e-books already for sale on his website, http://www.jackvance.com. Vance sings and plays harmonica, kazoo, ukulele and jug, and his friend Kevin Boudreau plays string bass and the washboard. Taken during a recent interview with Vance, for Locus Magazine, http://www.locusmag.com. The Vance interview appeared in the August 2012 issue of Locus, available here: http://www.locusmag.com/Magazine/2012….

https://youtu.be/oiOt6eW0pZI

Pietro Argenti