La fantascienza degli anni ’60 e il rinnovamento culturale (Seconda parte) – Fantascienza e impolitica

Articolo di Daniele Savant Aira

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Fantascienza e impolitica

Ci si è chiesti più volte in che misura un genere letterario come la fantascienza possa intersecarsi con la controcultura degli anni’60. Si è stati tentati di vedere in un primo momento nella letteratura di quegli anni una sorta di movimento conchiuso in se stesso e autonomo. Tuttavia la società americana degli anni ’60 subisce dei profondi mutamenti in campo culturale che portano in alcuni campi a trasformazioni d’avanguardia. Ad esempio se si prende in analisi il rapporto interdipendente tra controcultura e musica, quest’ultima oltre a essere la riproduzione dell’esperienza lisergica risulta essere anche sperimentale, d’avanguardia; è essa stessa il “drop-out”[2]. Per quanto riguarda la fantascienza non si può certo sostenere che essa stessa sia il “drop-out”, ma recepisce e rimodella quella spinta al cambiamento nell’immaginario degli anni ’60. Si può verosimilmente affermare che, in relazione a un contesto culturale in fermento, sia una fantascienza d’avanguardia, una “fantascienza sociologica” che prova a raccontare le mutazioni di una società attraverso una potente lente di ingrandimento sul presente. Molti dei romanzi fantascientifici presi in esame possono essere anche una sorta di documento di quegli anni, una fonte che getta luce su un certo modo di pensare, comunicare, agire della controcultura[3]. Questi romanzi o racconti usano il pretesto fantascientifico per narrare l’esperienza contro culturale degli anni’60 e in qualche caso per auto-rappresentarsi o con l’occhio del presente sono utili al fine di comprenderla meglio.

Chris Foss - Mindmix, 1973La controcultura degli anni ’60 è anche una ribellione plurima contro il mito della neutralità della scienza, contro l’ideologia che fa dipendere la coscienza dalla condizione lavorativa. Sono movimenti interessati alla soggettività, il partire da sé, l’uscire dai modi di pensare della società occidentale (“drop-out”) per riscoprire l’io attraverso un processo di de-soggettivizzazione. È quindi necessariamente un movimento utopico, non influenzato da una dottrina nel senso stretto e classico del termine. Anzi è esattamente la politica sotto attacco in quegli anni. È una sorta di rivoluzione della vita quella che si sperimenta nelle università: pensiamo al ruolo della felicità, della gioia e all’esaltazione della contentezza. Assistiamo a quella che è stata definita una “felicita pubblica[4]” all’interno della quale si sperimentano mondi possibili, alternativi, rivoluzionari. Ed è proprio l’importanza della fortissima componente utopica che rende rilevante la fantascienza, con la sua creazione non solo di mondi possibili ma di immaginari, mentalità e società alternative. È una sorta di fantasia speculativa quella che emerge nei racconti e nei romanzi che saziano quel bisogno di trascendenza del nuovo pubblico. Affiora tramite le narrazioni fantascientifiche il nuovo gergo generazionale, quel modo di scrivere epocale e psichedelico- politico, che sfida l’episteme occidentale; viene inoltre alla ribalta quel potere sensuale dell’immaginazione contro l’esistente. Da un lato La fantascienza di quegli anni attinge e trova un potente stimolo nell’immaginario dei giovani degli anni ‘60. Dall’altra certe volte la precede ed è per questo che si è parlato di un rapporto riflesso o dialettico per quanto riguarda il legame tra contro-cultura e fantascienza.

BallardAll’interno di questo discorso uno dei primi libri importanti è “Straniero in terra straniera” di Robert Heinlein. Qui l’autore anticipa i cambiamenti all’interno del genere fantascientifico (ci si riferisce alla “new wave” o all’ introspezione dello spazio interiore enunciato da Ballard) sia le rivoluzioni e i cambiamenti prodotti dall’immaginario contro culturale. È assai importante anche per il successo, relativamente tardo (vince il premio Hugo nel ‘62) che ha avuto per tutti gli anni ’60; attualmente è ancora il libro più venduto dall’autore. L’edizione del ’61 è tagliata dall’editore di circa un quarto, riduzioni che vanno a colpire soprattutto i continui riferimenti, considerati imbarazzanti, alla sessualità, alla religione e alla moralità americana. È stato notato da diversi autori tra cui Aldiss che “Straniero in terra straniera” non sembrerebbe questa bruciante accusa alla cultura americana, ma più che altro un porre l’attenzione su una serie di idiozie che permeano la cultura degli anni ’50[5]. Indipendentemente dalle critiche si può notare come il libro di Heinlein trova il suo successo nel nuovo pubblico degli anni ’60 e che i lettori non possono che identificarsi in molte situazioni ricreate all’interno della narrazione.

Il libro è incentrato sulle vicende di un umano cresciuto da una cultura marziana che, arrivato sulla terra, si scontra con la diversità della cultura terrestre. L’espediente della completa alterità culturale e psicologica del protagonista (Valentine Michael Smith) porta l’autore a fare continui riferimenti e paragoni con la cultura terrestre (che a sua volta ha moltissimi collegamenti con la cultura degli anni ’50 americana) per rivelarne l’arroganza e l’egoismo morale e culturale. Nello specifico, il protagonista non capisce le passioni umane, è vissuto in un contesto in cui non esiste moneta, proprietà, così come gli è alieno il concetto di possesso. Nel suo imparare l’ inglese e la cultura terrestre il personaggio principale prende coscienza della propria diversità che lo porta a fondare, nel tentativo di aiutare la propria stessa razza una sorta di nuova religione che proclama il libero amore e la fine della proprietà. L’ultimo capitolo sembra il più interessante, qui il protagonista crea una sorta di comune che raccolta sotto la religione si stacca dalla società per ricreare quello che Heinlein chiama (attraverso uno dei suoi personaggi) un recinto “extraterriotoriale”. In un discorso tra i membri di questo credo uno dei protagonisti dice:

“Nessuna società permette che i suoi principi vengano calpestati. E noi stiamo sfidando tutto, dalla santità della proprietà alla santità del matrimoni”[6].

GrokSembra la prefigurazione di quella secessione e di quel distacco individuale e di gruppo che proporranno poi molti soggetti appartenenti alla controcultura. Quel modello politico radicale e alternativo all’esistente; attraverso il libero amore questa specie di comunità disimpara il valore della gelosia, della moneta, dei conflitti e impara il ruolo della responsabilità personale e individuale. Questo romanzo lascia un impronta notevole all’interno della cultura americana del periodo tanto che il termine “groccare” diventa ormai un neologismo. Groccare è usato dal protagonista, Mike il marziano, come un termine che riproduce una forma estrema di empatia se non di amore. Questa intento comprensivo è talmente marcato che il soggetto diventa parte di ciò che osserva provocando a sua volta un processo di de-soggettivizzazione. Attraverso l’espediente dell’alterità e della fantascienza quindi si può forse definire questo libro come una sorta di primo tentativo, non privo di sfumature e elementi che non c’entrano nulla con la controcultura, di dar voce in forma di racconto, alla successiva sfida impolitica ai limiti epistemologici della società occidentale degli anni ‘50.

L’espediente dell’alterità e diversità del protagonista viene utilizzato anche dalla Le Guin in quella che da altri presupposti e in un contesto mutato sembra essere uno dei contributi più maturi della new wave. Infatti la Le Guin nei “Reietti dell’altro pianeta”, unisce l’ispirazione fantastica e la dimensione mitica, al dibattito sull’organizzazione della società moderna e delle sue istituzioni che qui raggiungono un grado di fusione e di sintesi narrativa difficilmente raggiunto da altri. Nel suo ritrarre le vicende di Shevek all’interno del romanzo l’autrice colloca il suo protagonista e metà tra due mondi e tra due frontiere ideologiche, politiche e culturali.

L’obbiettivo di Le Guin, riprendendo Carlo Pagetti nell’introduzione a “Dodici punti cardinali”, è abbandonare le illusioni di una falsa «oggettività» (questa è anche la lezione di Dick e di Ballard) per esaminare la realtà attraverso l’unico filtro possibile, quello di un soggetto senziente, di un individuo alla ricerca di un rapporto con l’«altro» che nella sua fragilità — nella sua, appunto, assoluta soggettività — si fa però carico di «comprendere» il reale[7]. L’importanza dell’elemento soggettivo, il ruolo della scelta e della responsabilità sono centrali nel pensiero letterario e politico della scrittrice. In uno dei suoi racconti si chiede: “Chi è anarchico? Colui che per scelta accetta la responsabilità della scelta”[8].

Infinite Regression by Jon LombergUn altro tema che interessa la fantascienza è sicuramente il ruolo da assegnare alla rivoluzione politica. Nella nostra ricognizione bibliografica Heinlein sembra anche qui uno dei primi a proporre il tema nel suo “La luna e una severa maestra” dove il dibattito sulle modalità della rivoluzione politica è al centro dell’interesse dei ribelli della colonia penale lunare. In una disputa sulle modalità di lotta politica per la liberazione della colonia lunare uno dei protagonisti, il professore Bernardo De la Paz dice di essere un razionalista anarchico. Qui ritorna il tema della scelta e della responsabilità individuale:

“Il razionalista anarchico ritiene che sia impossibile trasferire una colpa, condividere una colpa, distribuire colpe… poiché colpe, decisioni e responsabilità sono cose che accadono nella sfera individuale degli esseri umani e da nessuna altra parte. […] Il mio punto di vista è che ogni persona è responsabile. Se le bombe nucleari esistono, ed è un fatto, qualche uomo deve pur controllarle. In termini di morale, non esiste una realtà come quella dello Stato. Solo uomini. Individui. Ciascuno responsabile dei propri atti.

Un razionalista anarchico crede che concetti come “Stato” e “società” non abbiano una esistenza propria, salvo che sia fisicamente rappresentata negli atti di individui responsabili”[9].

Indipendentemente dalla struttura narrativa e dal pensiero dell’autore ciò che risulta essere interessante è come sono stati riletti questi romanzi. Vengono alla luce, infatti, pure qui, il tema del distacco, della responsabilità, dell’individualità e della rivoluzione. Per quanto riguarda quest’ultimo tema. Le Guin ne dà una caratterizzazione che risulta essere tra le più interessanti.

Ursula K. Le Guin_1974_The Dispossessed“Nessuno di noi ha potere. Se è Anarres ciò che volete, se Anarres è il futuro che cercate, allora vi dirò che dovete accostarvi ad esso con mani vuote. Dovete raggiungerlo da soli, e nudi, come il bambino giunge nel mondo, nel futuro, senza alcun passato, senza alcuna proprietà, dipendente in tutto da altri per la sua vita. Non potete prendere ciò che non avete dato, e dovete dare voi stessi. Non potete comprare la Rivoluzione. Non potete fare la Rivoluzione. Potete soltanto essere la Rivoluzione. È nel vostro spirito, oppure non è in alcun luogo.” (…) “Noi non siamo i sudditi di uno Stato fondato sulla legge, bensì i membri di una società fondata sulla rivoluzione. La rivoluzione è il nostro obbligo: la nostra speranza di evoluzione. «La Rivoluzione è nello spirito individuale, oppure non è da nessuna parte. È per tutto, oppure non è nien-te”[10].

Qui viene fuori tutto l’ethos, politico e utopico dell’anarchismo post-classico del dopoguerra che ha un carattere quotidiano, intuitivo e impolitico. La rivoluzione è nel quotidiano. È nell’essere. Il personale è politico. È una rivoluzione della vita attraverso un procedimento anche di natura psicologica. La controcultura ha spesso un progetto, se si vuole rintracciare una visione coerente, sovente implicito, di anarchismo: nella rivendicazione di una partecipazione più diretta tramite l’individualità, attraverso l’attacco alla tecnoburocrazia; con la critica delle relazioni di potere fondate sul dominio; con l’apologia di uno stile di vita comunitario e “personalistico” esistenzialmente antagonistico[11]. Occorre del resto rivelare come negli anni ’60 questi ideali sono vissuti tramite il sesso, il rock, la droga ma anche attraverso lo stare insieme, l’irriverenza e la desacralizzazione come strumento di critica.

Oltre all’aspetto impolitico o utopico arrivano anche le contraddizioni sotto forma di distopie che permeano anche il libro della Leguin. Se Jerry Rubin aveva detto: “non fidarti di chi ha più di trent’anni”, Norman Spinrad usa il pretesto fantascientifico e forse anche l’elemento distopico per chiedersi che fine quei ventenni (appartenenti e non al movement americano) che si inseriscono successivamente nel mondo dei trentenni. Qui troviamo anche l’elemento della spettacolarizzazione della politica che diventa inscindibile dalla politica stessa. Il potere è il potere di influenzare l’audience televisivo in una sorta di equazione potere-audience.

Si può dunque affermare che nel genere fantascientifico arrivano numerosi aspetti che si presentano tutti intrecciati tra loro: il gergo epocale e psichadelico-politico intesse una narrazione intrisa di utopie, contraddizioni, sesso e droga.

Daniele Savant-Aira


[1] Per impolitico qui non si intende il contrario di una politica accorta, efficace od opportuna. Né è da considerarsi come una completa estraneità alla politica di chi non vi aderisce o non professa alcuna opinione, così come non è un atteggiamento anti-politico. Si è usato il termine impolitico per indicare un ethos generalizzato all’interno della controcultura americana degli anni ’60, che ha degli stretti collegamenti teorici con l’anarchismo post-classico del dopoguerra. Ci si riferisce a quello slancio, a quella sfida utopica, individuale e di gruppo, contro l’esistente. A quel rifiuto della politica come dimensione primaria. All’uscita dalla società, attraverso un processo di de-soggettivizzazione, come esito della critica alla politica per creare una contro-società. L’impolitca, così come viene intesa in queste pagine, è la critica della società occidentale attraverso un esperimento esistenziale che prevede una secessione individuale e di gruppo dal forte carattere “anti-moderno” e utopico.

[2] con questo termine intendiamo il principale progetto (im)politico dei membri della controcultura degli anni ’60. Esso costituisce il segmento principale dello slogan di Timothy Leary (uno dei più influenti leader dei figli dei fiori): “drop out, turn on, tune in“. Letteralmente significa “distaccarsi”, ovvero uscire dalla società (lasciare la scuola, il lavoro, gli obblighi e le convenzioni sociali ecc.). La convinzione che accomuna i seguaci di Leary a gran parte degli altri gruppi di hippie sparsi nel Nord America è che le contestazioni di massa non funzionano: non è possibile combattere il sistema dall’interno, ma è necessario disconoscerlo in toto. Una volta fuoriusciti, infatti, gli individui, potranno riaggregarsi in piccoli gruppi tribali, chiamati anche klan o comuni. In questi luoghi sarà possibile abbandonare stabilmente la dimensione del politico, ovvero ogni rapporto di potere – come accade (ma solo momentaneamente) nei concerti rock, nell’atto sessuale libero da convenzioni e nelle esperienze psicotrope. Dato che l’effettiva messa in atto del drop-out appare quasi impossibile e paradossale, essa richiede grande sforzo immaginativo e audacia creativa, il che forse spiega l’incredibile vitalità artistica di questi anni.

[3] G. Fofi, Introduzione In: N. Spinrad, Jack Barron Show, Fanucci Editore, 1994, Roma.

[4] Termine che ha sicuramente avuto un successo notevole per indicare un certo modo di concepire e vivere quegli anni. Anna Bravo, nonostante si concentri di più sul contesto europeo e italiano che non quello americano, ricorda così la sua esperienza degli anni ’60 italiani: “ma quando si è sperimentato qualcosa di simile alla felicità pubblica, lo scotto sono certe visite a sorpresa della nostalgia”. A. Bravo, A colpi di cuore, storie dal sessantotto, Laterza, Roma, 2008, p.25

[5] Cfr., Trillion Year Spree, p. 362.

[6] R. Heinlein, Straniero in terra straniera, Editrice nord, Milano, 1977, p. 408

[7] C. Pagetti, Presentazione In: U. Le Guin, I dodici punti cardinali, Editrice Nord Sdf, Milano, 1979.

[8] U. Le Gguin, La vigilia della rivoluzione In: U. Le Guin, I dodici punti cardinali…cit.

[9] R. Heinlein, La luna è una severa maestra, collana Urania N. 446, Arnoldo Mondadori Editore, pp. 65-66

[10] U. K. Le Guin, I reietti dell’altro pianeta, collana narrativa di anticipazione n.6, Editrice Nord, 1976, p. 235.

[11] Cfr., P. Adamo, L’anarchismo americano nella seconda metà del Novecento: La rinascita In: AA. VV, Il capitalismo americano e i suoi critici, Jaca Book, Milano, 2013, p. 509.