Introduzioni Cosmo Oro: “Gli amanti di Siddo” (The Lovers, 1961) di Philip J.Farmer

Riccardo VallaIntroduzione di Riccardo Valla al volume GLI AMANTI DI SIDDO di Philip José Farmer COSMO – CLASSICI DELLA FANTASCIENZA – Volume n. 119 (Settembre 1991)

Gli amanti di SiddoIl gregge di Rastignac

È una storia che vorremmo presentare con trombe e fanfare: eventualmente anche con una sfilata. È così che la pensiamo. Ci freniamo con difficoltà dallo smaniare solo perché sappiamo che la nostra dignità ne soffrirebbe.

Samuel Mines, direttore di Startling Stories nel presentare The Lovers, agosto 1952

Samuel Mines non sarà celebre come certi altri direttori delle riviste americane di fantascienza della sua epoca — il “mitico” Campbell di Astounding, o l’“impegnato” Gold di Galaxy — ma verso il 1950 la sua rivista non aveva molto da invidiare alle colleghe più celebri, e se Campbell aveva Eric Frank Russell e Heinlein, e Gold aveva Sheckley e Pohl, lui aveva Vance e Farmer. E non si può neppure dire che non si rendesse conto di quel che pubblicava, perché, quando nel 1952 uscì sulla sua rivista la prima versione di The Lovers, di un Farmer esordiente, Mines dedicò due pagine del suo editoriale a dire che Farmer era “la scoperta dell’anno” e a spiegare in lungo e in largo quanto fosse importante il romanzo. Diceva Mines in quell’occasione che una buona storia di fantascienza deve essere anche una buona storia tout court, e che The Lovers era una storia “calda ed emotiva in cui le persone vengono prima delle macchine, diversamente dalle storie fredde e obbiettive in cui le macchine vengono prima, e le persone dopo. Eppure è fantascienza e non è romance, perché se si toglie la scienza si toglie anche la storia. ’’Minesprevedeva anche che qualcuno avrebbe “strillato” per certi contenuti del romanzo, ma spiegava che la fantascienza cambiava, che scrittori come Hamilton, Crossen e R.J. McGregor ormai affrontavano generi di storie nuove, così come avevano sempre fatto Sturgeon e Bradbury. E le nuove storie di fantascienza, continuava Mines, dovevano essere “una sintesi tra la satira brillante e la saga, la storia umana e l’epica”; a quel punto, ormai lanciato a ruota libera, terminava con un colpo da mattatore: “Tra dieci anni, The Lovers non sembrerà affatto notevole. È quanto ci auguriamo. Perché se dovesse ancora sembrarlo, vorrebbe dire che il campo è rimasto fermo. ”

Cover by David Myers and Les KatzNaturalmente, così facendo, Mines suggeriva anche ai suoi lettori cosa scrivergli, se volevano vedere pubblicate le loro lettere nella rubrica della posta, e le reazioni non si fecero attendere. Dopo il tempo fisiologico di pubblicazione (in uno dei fascicoli apparsi in quei mesi apparve L’odissea di Glystra di Jack Vance), nel fascicolo di novembre apparvero le prime lettere dei lettori, con la seguente presentazione di Mines: “Essendo questo il fascicolo in cui si fa l’autopsia di quello d’agosto, eravamo pronti a stampare sia le lodi sia gli insulti suscitati da The Lovers. Ma in tutta la massa di lettere ricevute, solo tre non l’approvavano. A rischio di sembrare noiosi, aggiungiamo che questo depone bene per la maturità della fantascienza”.

Tra la “massa” di lettere, Mines ne pubblicò 28: oltre a quelle dei soliti sconosciuti (alcuni scesero ai più bassi compromessi, per farsi pubblicare: per esempio, un certo Victor R. Juengel che mandò una lettera di due pagine scritta tutta con parole che iniziavano per “d”, e un certo Voigt che mandò anche una poesiola), c’erano una lettera di Forrest Ackerman, “Mister Fan”, che come sempre era entusiasta, e una di Jim Harmon, che faceva un paio di osservazioni tecniche a Farmer, da scrittore a scrittore: le spiegazioni erano un po’ troppo lunghe (“le cose vanno agite invece che dette”) e mancava una scena strappalacrime finale, del tipo: “Devo lasciarti, ma ti amerò sempre”, e “No, non puoi lasciarmi, come farò?” che, diceva Harmon, sarà bolsa e trita, ma che il suo marcio effettaccio lo ottiene sempre. Per tutto il resto, i commenti erano quelli prevedibili, e in genere non si scostavano da quanto diceva Mines nell’editoriale e terminavano asserendo che da tempo non si leggeva una storia così appassionante. Soprattutto veniva apprezzato il modo in cui Farmer trattava le forme di vita del pianeta in cui era ambientato il romanzo e si giudicava bella la storia; la trovata finale, di far conquistare la nave terrestre da uno sciame di insetti-commando, riceveva vari applausi a scena aperta. Nessuno, comunque, faceva osservazioni sulla società religioso-repressiva che dominava sulla Terra di The Lovers, ma Mines non ne aveva parlato nell’editoriale e a nessuno era venuto in mente di parlarne.

Cover by  Boris VallejoC’è da tenere presente che Farmer ha rimaneggiato due volte la storia, e che la prima versione conteneva solo le parti sul pianeta Ozagen, dalla gita in macchina in cui Yarrow incontra Jeannette alla fine del romanzo. Per l’edizione in volume, qualche anno dopo, Farmer aggiunse il preambolo sulla Terra e fece qualche piccolo cambiamento: per esempio, aggiunse qualche frase alla fine per aumentare il senso tragico (la soluzione da lui scelta fu più raffinata di quella suggerita da Harmon, perché inserì qua e là degli accenni ambigui, che rimanevano in sospeso per varie pagine, alimentando una debole speranza, e che diventavano chiari solo alla fine del romanzo) e diluendo nel corso del libro le spiegazioni. Alcuni cambiamenti sono alquanto curiosi: per esempio, la questione della lingua francese. Nella prima versione, i terrestri avevano ordine di parlare tra loro in francese per non farsi capire dagli Ozageni, con conseguente grande sorpresa quando si scopre che Jeannette parla quella lingua; inoltre, la spedizione di Rastignac era arrivata direttamente dalla Terra e non da un pianeta intermedio. Anche la trovata finale, degli insetti che entrano dai boccaporti e sterminano l’equipaggio, viene eliminata (benché fosse piaciuta ai lettori) e sostituita dalla bomba che mette fuori combattimento l’equipaggio, con la sua onda d’urto.

A questo punto, il romanzo era composto di due parti: una che si svolge sulla Terra, e che è stata scritta nel 1956 anche se, per il suo clima da 1984, sembrerebbe scritta qualche anno prima, e una che si svolge su Ozagen e che è del 1952. Successivamente, per un ’edizione definitiva in volume rilegato, Farmer riprese in mano The Lovers e nella terza versione mise a posto varie piccole incongruenze. Per esempio, spiegò meglio la storia della Terra dopo la guerra batteriologica che distrusse l’umanità, aggiunse molti particolari sul viaggio che portava il protagonista dalla Terra a Ozagen, descrisse meglio l’evoluzione della vita sul pianeta. Comunque, nella colonna della posta di Startling Stories, nessuno notò qualcosa di particolarmente spinto nel modo in cui era trattato il sesso. Eppure, al Farmer di quegli anni resterà poi l’etichetta di autore spinto, soprattutto a causa di un articolo di Sam Moskowitz, intitolato “P.J. Farmer: Sesso e fantascienza”, in cui, per dire che Farmer abbatteva dei tabù, Moskowitz lo fa sembrare molto più ardito di quel che non fosse.

Cover by Clyde CaldwellCome si vede, The Lovers offre vari spunti. Innanzitutto c’è lo spunto biologico: un pianeta dove l’evoluzione ha seguito una linea diversa per arrivare a una creatura molto simile all’uomo. Poi c’è la storia del protagonista, che viene da una Terra puritana e attraverso il rapporto con Fobo e Jeannette allarga i propri orizzonti e si ribella. Infine la sorpresa finale, che porta Jeannette a essere da un lato molto meno di quel che si credeva, dall’altro molto di più.

Che cosa intendeva fare, Farmer, con storie come queste? Tra gli interessi di Farmer, quando esordì su Startling Stories, c’erano l’antropologia del Ramo d’oro e la psicologia di Freud e Jung; tra i narratori preferiva Dostoevski (cosa che non sorprende perché anche Dostoevski è “scientifico ”, in quanto i suoi romanzi si basano sulla scienza della psicologia). Gli piaceva anche leggere libri di scienza, ma soprattutto amava la narrativa popolare da Sherlock Holmes a Tarzan e a John Carter di Marte: bastava che avesse, come protagonisti, personaggi eccezionali. Un genere di interessi che porta a vedere la narrativa popolare come gli antropologi vedono i miti e le fiabe. All’inizio, inoltre, Farmer tendeva a scrivere come Dostoevski, cioè a prendere un comportamento anormale, nevrotico, e a spiegarne l’origine, lo sviluppo, l’eventuale cura, attraverso quel che leggeva nei libri di psicologia. In questo senso, le prime storie di Farmer, come The Lovers e Mother, seguono le idee di Freud sulla cura delle nevrosi: in Mother c’è quel che si potrebbe definire un caso classico di complesso d’Edipo non risolto perché compensato dall’ambiente (anche se l’ambiente capace di compensarlo è alquanto particolare, essendo costituito da un organismo extraterrestre), in The Lovers c’è perfino una specie di psicanalista, cioè Fobo, ma dietro la storia c’è tutta una vecchia polemica dei discepoli di Freud sulla repressione sessuale e le tendenze guerrafondaie. Tuttavia, già allora Farmer vedeva un limite in questa psicologia un po’ troppo diretta, del tipo “metti uno stimolo qui e toglierai una nevrosi là”, e infatti, in The Lovers, chi guarisce il protagonista dalle sue nevrosi non è tanto il ragionevole Fobo, quanto la perentoria Jeannette.

Cover by Richard PowersJeannette appare fin dall’inizio come una ninfa della mitologia: fa appello all’irrazionale che c’è nel protagonista, è una specie di divinità a cui si deve obbedire (più avanti, infatti, si dirà che le antenate di Jeannette erano venerate come dee). Ora, la psicologia che più si è occupata di questi rapporti tra umano e divino è quella di Jung: lo stesso Jung ha parlato nei suoi scritti di una sorta di antenata letteraria di Jeannette, un’altra “a cui si deve obbedire”, ossia Ayesha, la “Donna eterna — Dea della città perduta” del romanzo She di Rider Haggard. L’essenza della psicologia di Jung è che ciascuno di noi ha bisogno di vivere certi miti, magari anche solo leggendoli su un romanzo, e l’interesse di Farmer per i vecchi romanzi d’avventura è dovuto al fatto che quei romanzi erano delle ottime macchine per la produzione di miti: il mito dell’infallibilità della ragione di Sherlock Holmes, il mito dell’eterna giovinezza di Tarzan, il mito dell’eroe forte e buono. Tra le opere di Farmer dei primi anni, Flesh [tr. it. Il Figlio del sole.] è il recupero di un vecchio rito delle società matriarcali che si trova descritto nel Ramo d’oro, ossia di scegliere ogni anno un “re” (sposo della Madre Terra simboleggiata dalla regina), che col suo sangue doveva poi assicurare il raccolto dell’anno seguente, ma è anche la descrizione di una società che sente istintivamente il valore dei miti. Nello stesso tempo, Farmer comincia a creare un suo mito: un eroe eternamente giovane, giusto e invincibile, ma che ha queste qualità attribuendole alla scienza. Ma come raccontare queste storie? Ispirandosi agli autori popolari da lui preferiti, e soprattutto a Burroughs, che, con il suo modo di scrivere rapido, a scene veloci, con le sue descrizioni da giornale di viaggi (e con una cosa che anche Farmer aveva: la grande capacità di creare immagini, non solo, ma immagini “giuste”), era sempre riuscito a farsi apprezzare. Il primo di questi cicli “mitici” di Farmer è Alle sorgenti del fiume, con la sua grande immagine dell’umanità misteriosamente rinata e dell’impossibilità di morire, del fiume che porta non si sa dove. L’altro ciclo sarà poi quello del Fabbricante di universi, con l’imprevisto ringiovanimento, i personaggi delle varie mitologie, da quella greca a quelle fantascientifiche. Importante in questi cicli è il contrasto fra il senso di onnipotenza, dato da esseri capaci di costruire interi pianeti, e quello di precarietà, perché sul Mondo del Fiume si può trovarsi improvvisamente lontano da tutto ciò che si è costruito, e anche al fabbricante di universi può succedere di perdere una delle sue porte tra i mondi, con la conseguenza di trovarsi esiliato.

Boris VallejoMeno riuscita la terza serie di miti, quella di Tarzan-Greystoke, che è la più “costruita” a freddo e appartiene alla produzione di Farmer degli anni verso il 1970, quando scrisse una serie di romanzi (il più noto è L’immagine della bestia^ ambientati nella Los Angeles contemporanea. Nel presentare questa sua produzione, Farmer disse di avere voluto scrivere l’equivalente, anni ’70, dei romanzi avventurosi anni ’30, e spiegò quali dovevano essere le differenze per poter piacere al pubblico del 1970: i romanzi dovevano presentare personaggi conosciuti, tratti dalla cronaca, avere una componente fantastica, e contenere scene di violenza e di sesso. Nonostante le speranze di Farmer, questi romanzi non hanno mai avuto molta fortuna; probabilmente, lo sbaglio era quello di voler trarre i protagonisti dalla cronaca, invece di inventare qualche personaggio di maggiore richiamo: tra tutti, sono piaciuti maggiormente quelli che presentavano il personaggio di Tarzan, come Festa di morte e Lord Tyger. In questi, Farmer cerca di mettere insieme tutti i personaggi dei vecchi romanzi, Tarzan, Doc Savage, Sherlock Holmes, spiegando che appartengono a un gruppo di extraterrestri che vive in incognito sulla Terra. Naturalmente, c’è qualche reminiscenza di William Burroughs, in questa idea del complotto, ma Farmer non riuscì mai ad arrivare al pubblico di (W.) Burroughs.

Come si vede, Farmer è uno scrittore piuttosto consapevole di quel che vuole scrivere, e anche The Lovers è, almeno in parte, una storia programmata. L’idea, probabilmente, era quella di fare una “Ninotckha” al maschile: Hai Yarrow venuto dalla Terra oppressiva scopre la bella vita di Ozagen e molla il Precursore e il suo piano quinquennale. E la spiegazione del voltafaccia doveva essere attribuita alla scoperta del sesso. Poi, questa idea è passata in secondo piano rispetto alla descrizione del pianeta e delle lalithe, e Farmer deve avere sentito che il centro del romanzo era la lalitha, non la psicologia di Yarrow. Così, la prima stesura è tutta dedicata a Jeannette, che prima ci appare come una ninfa dei boschi, poi come una moglie perfetta, e che solo alla fine appare per quel che era veramente: l’appartenente a una razza che per alcuni lati è sovrumana, ma per altri è schiava dell’uomo, dato che senza uomini non può riprodursi. Sono questi contrasti, presenti nel personaggio della lalitha, a dare alla storia la sua forza: e la storia è talmente forte che è inutile analizzare i vari punti e dire che la società terrestre descritta nel romanzo non è molto convincente, che è poco credibile che i wog abbiano la stessa mentalità dei terrestri e che è strano che gli animali del pianeta possano mangiare i terrestri senza morire avvelenati. L’inutilità di queste considerazioni è chiara, per esempio, se si va a esaminare la spiegazione-chiave, cioè la descrizione dei nervi “fotocinetici” delle lalithe: è una spiegazione più geniale che plausibile, perché non c’è mai stato un sistema biologico che funzionasse in quel modo (nel 1952 si sapeva che avrebbe richiesto un gene per ogni diverso connotato da riprodurre, e oltre a questo un sistema di analisi dell’immagine, un secondo sistema che associa il risultato dell’analisi al gene corrispondente, con eliminazione di tutti gli altri: a farlo con pochi tipi di naso, di labbro ecc., la somiglianza che si ottiene è quella degli identikit, a farlo con tanti tipi diversi, il sistema diventa enorme; invece, nel 1952, e per altri trent’anni ancora, non sì sapeva che nei sistemi naturali, come per esempio nella produzione degli anticorpi, quel genere di specificità viene ottenuto creando tutte le combinazioni possibili e amplificando poi quella efficace).

No person credited for the art coverEppure, i nervi “fotocinetici” sono un luogo mitico-letterario che compare nella Bibbia e nel Mahabharatha, e che di solito viene indicato come “gregge di Giacobbe”: l’idea che l’aspetto del nascituro sia determinato da quel che vede la madre all’istante del concepimento. Nella Bibbia, Giacobbe deve servire Labano, il quale gli promette tutte le pecore che nasceranno pezzate (pochissime, si presume); Giacobbe, però, conosce il posto dove le pecore si accoppiano, e dispone laggiù dei bastoni bianchi e neri; vedendo i bastoni durante il concepimento, le pecore partoriscono agnelli bianchi e neri. Nel Mahabharatha, morti il padre e i fratelli, l’asceta Vyasa riceve l’ordine di generare figli al fratello Vicitravirya dalle sue vedove, perché la dinastia non si spenga; s’accinge all’opera, ma la prima moglie si spaventa nel vedere l’orrido aspetto del penitente e chiude gli occhi durante il concepimento, con il risultato che il figlio Dhrtarashtra nasce cieco; la seconda moglie impallidisce per la paura e genera un figlio di carnagione troppo bianca. Insomma i nervi “fotocinetici” di Farmer hanno una loro dignità ancor più alta di quella scientifica.

Complessivamente, infatti, tutto il resto del romanzo, i wog, il pianeta, la sua biologia, gli insetti veri e falsi, parassiti e non, servono solo a presentare l’ultima rivelazione sulla lalitha, che si conclude con un interrogativo sulla natura dell’amore e della paternità. Era vero amore, quello tra Jean-nette e Yarrow, e le figlie di Jeannette sono figlie sue? Per una creatura ragionevole come Fobo, la risposta non può che essere affermativa, ma in realtà la risposta non esiste, o meglio dipende dalla definizione di amore e di paternità (che è come dire che deve essere Yarrow a deciderlo). Allo stesso modo, il Burton che è rinato sulle rive del fiume è lo stesso Burton che è morto a Trieste? Dipende da quel che intendiamo con “morto”, e con “Richard F. Burton”.

È questo il vero risultato di Farmer: servirsi di elementi mitici, inseriti in una narrazione di tipo avventuroso, per mostrare le intime contraddizioni di alcuni concetti che sembrerebbero evidenti, e il tabù da lui abbattuto non è tanto quello del sesso come diceva Moskowitz (giacché le descrizioni di “sesso esplicito”, in Farmer, sono limitatissime, oppure troppo goliardiche per essere prese sul serio), ma quello che ci impedisce di rimettere in discussione concetti come “morte”, “personalità”, “apparenza ed essenza” e, qui, “amore” e “paternità”.

Riccardo Valla

Philip José FarmerL’AUTORE

Philip José Farmer (Terre Haute, 26 gennaio 1918 – Peoria, 25 febbraio 2009) è stato uno scrittore e autore di fantascienza statunitense, attivo dalla seconda metà degli anni quaranta fino alla morte nel 2009. Narratore eclettico, ironico e dissacrante, è noto per avere rotto il tabù del sesso in questo genere letterario con i suoi romanzi e i suoi racconti. Si è aggiudicato alcuni tra i maggiori riconoscimenti nel campo fantascientifico.