Intervista a Romina Braggion

Autrice di fantascienza con una predilezione per il solarpunk, Romina Braggion vive in provincia di Verbania, a due passi dal Lago Maggiore e a quattro dalle amate montagne Ossolane.

Da quasi cinquant’anni svolge la professione di “absolute beginner”, distinguendosi nell’autodidattica.

Per lavoro si occupa di comunicazione per un paio di aziende. Nel tempo libero cura il suo blog Diario di ErreBi in cui parla di fantascienza, meglio se italiana, e porta avanti un progetto di condivisione della memoria delle scrittrici: La Metà del Mondo.

Le attività di Romina non finiscono qui. Ha collaborato con il sito “Leggere Distopico” recensendo libri di fantascienza e di altri generi. Collabora inoltre con un paio di associazioni culturali della sua città dando una mano nell’organizzazione di piccoli eventi.

Tra le sue passioni annovera la cucina, il trekking, il body building, la fotografia, l’arte di disegnare e cucire abiti e confezionare calze di lana. Ha anche innumerevoli interessi e dice sempre che, prima o poi, dovrà decidere cosa fare da grande.

Nel frattempo è sbarcata nel settore della narrativa, dove si è subito fatta notare.

Il suo primo racconto è stato segnalato al concorso “Iniziamo da qui!” di Spunto Edizioni; il secondo ha avuto una sorte oscura; il terzo è stato pubblicato a febbraio 2020 nella collana Futuro Presente di Delos Digital col titolo “La Compagnia Perfetta”.

Altri suoi racconti si possono trovare in contest letterari online. La sua ultima storia, “Nero assoluto”, è invece inclusa in “Assalto al Sole”, la prima antologia solarpunk di autori italiani, uscita a settembre 2020 per i tipi di Delos Digital.

Franco Ricciardiello, curatore della raccolta e scrittore d’esperienza, ha definito Romina “un enigma” per la sorprendente crescita di qualità della sua scrittura, avvenuta nel giro di pochi mesi.

Conosciamo meglio Romina Braggion.

 

Ciao, Romina, e benvenuta su Andromeda – Rivista di Fantascienza. Partiamo con due domande classiche: chi sei e perché scrivi narrativa?

Ciao Valeria, ciao a tutti i lettori.

Chi sei, domanda difficilissima. Per molto tempo sono stata interpretata come lunare, senonché mio figlio mi disse che sono solare. Potrei dire che sono quello che vedono gli altri, ma evidentemente sono solo rappresentazioni. Con una persona posso essere in un modo, con un’altra l’opposto. Chi si è nel mondo è il frutto di scambi e reciprocità. Chi sono nell’intimo forse non è chiaro nemmeno a me stessa.

Scrivere e leggere è il mio modo per maneggiare lettere, parole e frasi, per rendere corporeo un mio pensiero o quello di altri. Sono affascinata dai font, dal modo in cui una “a” si lega alla lettera successiva, per esempio. Leggo di tutto, sin dalla più tenera età, in un libro non tralascio nulla, nemmeno dove è stato stampato. La scrittura è intimamente legata alla lettura e sono consapevole che senza lettura non si può scrivere.

Scrivo sempre, mi occupo di comunicazione per due aziende e nel resto del tempo scrivo per passione. Si è mostrata presto la passione per la scrittura di narrativa, poi l’ho sopita per molto tempo, mentre la lettura mi ha sempre accompagnato. Una crisi esistenziale l’ha fatta uscire di nuovo allo scoperto e, tra i vari perché, ne esiste uno legato alla salute.

“La Compagnia Perfetta” è il tuo primo racconto lungo? Com’è nato?

In realtà è il primo racconto lungo arrivato agli onori della cronaca. Il suo predecessore è stato segnalato a un concorso ma lì si è fermato.

“La Compagnia Perfetta” è nato per un’esigenza di collana o, al contrario, ciò che volevo scrivere ha trovato la sua culla in una collana. Dopodiché, come ho dichiarato in un altro sito, come io sia arrivata alla fine non mi è chiaro.

Però ricordo, ben prima della stesura, durante la lettura di “Ballata per Lima” di essere rimasta affascinata da una delle ambientazioni “nostrane”, un luogo familiare che però si poteva ritrovare ovunque nel mondo. Il modo di dipingere con le parole, di Daniela Piegai, mi ha conquistata.

Ricordo anche la determinazione di alcune scrittrici nell’affrontare tematiche spinose, senza troppi peli sulla lingua, mentre di altre ricordo l’immaginazione prolifica nel creare mondi così inconsueti da scatenare il mio sense of wonder, altre scrivono per ricordare al mondo come si dovrebbe vivere, e infine molte hanno toccato nervi scoperti.

Quindi, mentre non posso dire come, posso dire grazie a chi mi sono ispirata per la nascita del racconto.

La storia rientra nel solarpunk, un sottogenere della fantascienza poco conosciuto in Italia. Ci spieghi in cosa consiste e perché ti piace scriverlo?

Il solarpunk si lega alla mia intimità: se si evidenzia un problema, cerco cento modi per risolverlo, anche i più assurdi. Analizzare una situazione critica e lavorare per superarla mi entusiasma e rinvigorisce, ecco perché sono appassionata di questo genere.

Il solarpunk è ciò che esisterà dopo l’apocalisse e, dal momento che vivremo quella realtà, cosa possiamo fare ora per raggiungere la destinazione? Il genere ha sedimentato dentro di sé tutti gli ammonimenti della distopia, dà per certa l’apocalisse ma non si rassegna allo sfacelo in corso e propone vie d’uscita.

Il solarpunk è realista, antinegazionista, operoso e speranzoso. Attenzione però, la parola punk è un’indicazione precisa: il realismo e l’attivismo dirompente sono porzioni essenziali di questo genere che supera la distopia ma sa che l’utopia è irraggiungibile o, almeno, non condivisibile senza rischi o ulteriori complicazioni.

La vicenda si svolge in un futuro post-apocalittico, eppure le comunità montane sembrano delle proto-utopie: i personaggi non si scannano tra loro e non si rubano le risorse, ma collaborano per un fine comune…

Così dovrebbe essere anche oggi, non credi? In realtà questo succede durante e dopo le catastrofi; l’essere umano attiva la vera cooperazione, senza scopi e senza lucro, solo se costretto e in una fase di completa incertezza. Appena l’emergenza passa e la situazione si assesta, dopo qualche tempo subentra l’individualismo e necessità improcrastinabili che ci rendono speciali rispetto a tutto il resto del mondo e immemori delle avversità patite.

In questo racconto, l’elemento punk ci ricorda che la solidarietà è una necessità per continuare a esistere come specie all’interno di un olobioma e non una prassi interiorizzata. Forse la catastrofe è ancora fresca oppure è stata così devastante da imporre il mutuo soccorso.

Quale sarà la spiegazione? In realtà non è compito del solarpunk spiegare cosa è successo e come si è arrivati fino a lì, a quello ha già pensato la distopia.

Orso: una donna e una scienziata; fragile in apparenza ma ben determinata

Siamo tutte un po’ Orso, fragili ma determinate. Lei è consapevole della sua debolezza, ha compreso la necessità di vivere un’intimità con un altro essere umano che va oltre il rapporto di amicizia. Allo stesso tempo, il suo individualismo si scontra con un altro più forte e scoppia il conflitto.

SPOILER NEL PROSSIMO CAPOVERSO

Un paio di signore mi hanno detto di aver tirato un sospiro di sollievo per la sorte di Orso. Siamo davvero certi che la sua sia la scelta migliore tra altre possibili? Si tratta di mettere una pezza per ritardare l’inevitabile oppure è un modo per aprire una porta che conduce alla comprensione del proprio sé?

Sembra che tutti i nodi siano stati dipanati ma ho lasciato in sospeso una questione, poiché secondo me Orso deve ancora fare i conti con sé stessa.

Il “clo”, il “dro”. Orso e i suoi amici hanno l’abitudine di troncare alcuni termini dopo la prima sillaba. Una tendenza presente nel linguaggio dei giovani e visibile sui social… Da quale bisogno deriva secondo te?

Mi manca una laurea in sociologia e non sono nemmeno un’esperta, ma provo a formulare un’ipotesi. I giovani hanno la necessità di esprimersi in fretta, poiché l’urgenza li spinge sempre in avanti, sembra una forma mentis. Inoltre troncare i vocaboli contribuisce a creare uno slang identificativo di una generazione e di un gruppo più ridotto.

Comunicare mediante un codice poco comprensibile agli adulti è un primo modo per affermarsi nel mondo, per riconoscersi tra pari. È anche un modo semplice e a portata di mano per portare una prima innovazione nella società e, se un neologismo risulta utile, comincia a circolare e a essere utilizzato da tutti. Fate una prova: dimostrate di conoscere il vocabolo “resellare” per esempio, durante un dialogo con un adolescente. La reazione è davvero emblematica, lo confermo per averci provato: si passa dall’ilarità al compiacimento. Del tipo: “Apperò, la babbiona ha usato un nostro termine”, dove nostro qualifica loro come portatori di cambiamento e noi come geriatriche ancore conservatrici. Peraltro la lingua evolve continuamente e dovremmo essere meno integralisti nell’uso dei nuovi vocaboli.

La montagna e la cucina. Due passioni ben presenti sul tuo profilo Facebook e che ritroviamo nel racconto…

Ho la fortuna di vivere in una provincia ricca di cultura e di paesaggi naturali di ineguagliabile splendore. Nel giro di 60 km si incontrano piccole pianure, tre laghi, cime alpine, il confine con un altro stato e un’altra regione italiana.

Non saprei dire cosa preferisco, se scoprire angoli nascosti lungo le sponde lacustri, passeggiare in mezzo ai colori di fiori e alberi monumentali, ammirare la bellezza di palazzi e ville storiche o camminare in montagna. Di certo la montagna mi rilassa, osservare il contrasto netto tra il verde smeraldo delle foglie o il grigio delle morene e l’azzurro del cielo è uno spettacolo che manda scariche provvidenziali di serotonina.

Inoltre camminare da sola per chilometri è davvero una forma di meditazione, la pratico appena posso.

La cucina assolve al mio bisogno di creare ed è funzionale alla passione per il cibo buono e sano.

Scrivere è un’attività creativa, e sono fortunata di potermene occupare anche per lavoro, ma ho la necessità di produrre materialmente qualcosa.

Cucinare è l’unica attività creativa/manuale rimasta. Anni fa realizzavo abiti, ho anche un diploma da modellista, ma ora non ne ho più il tempo, con grande rammarico.

Sono però fiduciosa di poter riprendere in mano squadre, forbici e tessuti, prima o poi.

Le comunità del tuo futuro osservano dei nuovi comandamenti. Da dove provengono?

“Riproduciti” è un’esigenza di trama. “Non uccidere” è universale e senza tempo. “Non attaccare” scaturisce dall’esempio di mia nonna. Era una contadina che detestava la violenza gratuita, anche nei confronti degli animali che allevava con cura. Naturalmente uccideva le bestie per cibarsene ma aveva una tattica che definirei “pietosa”: il minimo sforzo con il massimo risultato. Nessuna gallina, anatra o tacchino hanno mai emesso un verso di paura sotto le sue mani. Peraltro non era una carnivora e, anche in tempi meno miseri, era molto morigerata nel consumare carne.

“Non sprecare”, “Vivi in armonia con la terra”, “Vivi in armonia con l’umanità”, “Vivi in armonia con te stesso”, “Aiuta il tuo prossimo” e “Condividi” sono state la quotidianità alla quale ho assistito sia nel piccolo paese di montagna dove sono cresciuta, sia nella campagna veneta dove ho trascorso la mia infanzia.

Naturalmente ho idealizzato propensioni pratiche dettate dalla necessità e dal contesto sociale di quarant’anni fa, traslandole in avanti di quasi tre secoli. Il buon cuore disinteressato e la purezza d’animo non li ho comunque incontrati se non tra le righe delle utopie.

Il titolo “La Compagnia Perfetta” si presta a varie interpretazioni che lasciamo scoprire al lettore. A te invece chiedo: cos’è per Romina Braggion una “compagnia perfetta”?

La compagnia perfetta non esiste se prima non si sta bene con sé stessi e non ci si ama. Il punto uno l’ho conquistato, sul secondo sto lavorando ancora. Di certo sono contraria a una pessima compagnia pur di non rimanere soli. A quel punto meglio un libro, un vassoio di tartufi al cioccolato e un gatto.

Sul tuo blog Diario di ErreBi porti avanti da tempo un progetto interessante e, direi, anche unico: “La metà del mondo”…

Sì, la mia creatura.

Trovo davvero ingiusta la prassi meticolosa dell’oblio perpetrato nei confronti delle scrittrici. Tra l’altro che le donne scrivano poco o male o da “femmine” è un pregiudizio facilissimo da smentire, io stessa da due anni sto leggendo con grande piacere quasi esclusivamente autrici e la coda di lettura continua ad allungarsi.

La Metà del Mondo concede uno spazio di memoria amorevole e al quale tento di contribuire appena posso. È anche il mio modo per ringraziare tutte le donne che mi tengono compagnia con i loro scritti, mi fanno riflettere, mi commuovono e mi stupiscono. Ecco, la gratitudine è un sentimento a cui siamo poco abituate. Ogni nostra azione è scontata e questa abitudine è una grave mancanza di rispetto che mi offende più della famigerata ineguaglianza.

Sei tra le autrici di “Assalto al sole”, la prima antologia solarpunk italiana, a cura di Franco Ricciardiello. Il tuo racconto si chiama “Nero assoluto” e menziona i Nuovi Comandamenti. C’è qualche legame con “La Compagnia Perfetta” o hai creato un nuovo universo narrativo?

Gli unici legami sono le coordinate geografiche e, come hai sottolineato, i Nuovi Comandamenti, fulcro di una visione solarpunk relativa alle comunità e ai rapporti tra gli individui.

Per il resto sono universi dissimili, se non altro in merito all’approccio con gli eventi atmosferici: in “La Compagnia Perfetta”, l’essere umano domina il tempo, mentre in “Nero Assoluto”, convive con le calamità. Non è detto che il primo sia meglio o spostato nel futuro, semplicemente affronta in modo diverso una conseguenza del Capitalocene. Preferisco il secondo universo sebbene entrambi siano tappe intermedie verso qualcosa di più drastico che agita il mio intimo.

Insieme con Franco Ricciardiello, Giulia Abbate e Silvia Treves sei fondatrice del movimento Solarpunk italiano, a cui fa capo il sito dedicato Solarpunk.it. Ci racconti com’è nato il movimento e cosa si propone?

Sono fondatrice, insieme ai miei Solarsoci, del sito Solarpunk Italia, un progetto nel quale crediamo molto.
Il movimento solarpunk in Italia forse non esiste ancora, si potrebbe dire che lo stiamo proponendo insieme ad altre realtà già praticanti il genere da alcuni anni.
Di certo il solarpunk dovrebbe mantenere un respiro globale, incasellarlo ora in vincoli semantici, concettuali, territoriali, ideologici o altro tarperebbe le ali a una creatura dalle potenzialità ancora da concepire.

Detto questo, per comprendere come è nato nel mondo si possono leggere gli articoli all’interno del sito solarpunk.it mentre ti posso raccontare come siamo giunti a voler riunire le nostre forze per immaginare un futuro che esca da una via già tracciata e sempre più profonda a furia di essere solcata.

Per quanto mi riguarda ho scoperto di avere scritto un racconto solarpunk dopo aver ascoltato un panel a Stranimondi, nel 2019. Prima di aver sentito Verso parlarne non sapevo quasi cosa fosse. L’unica certezza che avevo era di volermi discostare da un genere non più nelle mie corde, per il quale provo pochissime emozioni.

In seguito a circostanze inanellate con impeccabile sincronicità, ci siamo ritrovati “quattro amici al bar Internet” a parlare sempre più spesso di cambiamento, attivismo, immaginazione, futuri, utopie e così, di nuovo quasi per caso, ci siamo buttati in questo progetto.

Cosa ci proponiamo noi quattro e cosa ci auguriamo possa rappresentare il genere è scritto nel Manifesto, una proposta derivata da un lungo ragionamento che Giulia Abbate e io abbiamo espresso in un articolo per Zest, Letteratura Sostenibile. Lo riassumo con le parole chiave individuate nell’immagine: il Solarpunk immagina un futuro migliore, coltiva la speranza, pratica la rivolta, rigetta il capitalismo, include umani e non umani.

Su questo, nonostante quattro teste e quattro temperamenti assai diversi, siamo assolutamente concordi: il solarpunk come lo intendiamo noi, a dispetto dell’allure ingenua che gli si vorrebbe appiccicare, è fortemente attivo, propositivo. Infila le mani nella terra e la rivolta. Probabilmente la nascita di un collettore unico, partito da noi quattro ma deciso a includere più realtà solari possibili, è la logica conseguenza della nostra forma mentis e delle nostre visioni.

Stiamo a vedere dove ci porterà l’immaginazione.

Attiva come sei, avrai certamente altri progetti che bollono nella pentola. Vuoi anticiparci qualcosa?

Sono in attesa di scoprire la sorte di un racconto SF parte di un’antologia ancora in divenire. Se vedesse la luce ne sarei davvero lieta per l’autorevolezza del curatore.

Sto partecipando a un nuovo progetto che sarà annunciato entro marzo mentre su un paio di novità, conto di mettermi al lavoro a giorni.

Avrei un altro progetto grosso in mente, purtroppo la mia tabella di marcia subisce rallentamenti continui. Tento di prenderla con filosofia e per il momento focalizzo l’attenzione su lavori più contenuti che sono le fondamenta degli altri a venire.

Si deve osservare un piccolo obiettivo per volta, per non scoraggiarsi. Verso la cima della montagna si guarda una volta sola per decidere la direzione, poi si abbassano gli occhi sul sentiero e si inizia a salire.

E allora saliamo… Grazie, Romina, per la bella chiacchierata e per il tempo che ci hai dedicato. Incrociamo le dita per i tuoi futuri progetti e speriamo di rileggerti presto.

Grazie Valeria per avermi ospitato e grazie ai lettori di Andromeda per la loro attenzione.

Valeria Barbera

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