Intervista a Paul Di Filippo

Nicola ParisiPaul di FilippoCome prima domanda ti chiedo di raccontarci dei tuoi inizi e del momento in cui hai deciso di diventare uno scrittore.

Quando ho terminato gli studi alla High School* avevo diciassette anni, ed ero già pieno di sogni sul diventare uno scrittore di fantascienza, perché avevo scritto saggi divertenti e parodie per il giornale della mia scuola. Certo, mi piaceva leggere libri più di ogni altra cosa, un requisito necessario, credo. Così ho ritardato  l’iscrizione al college, e ha deciso di andare fuori in  qualche posto esotico, come avevano fatto Jack London o Herman Melville. Ma non ero così coraggioso da immaginare il trasferimento in un paese straniero, così ho scelto le Hawaii! Sempre negli Stati Uniti, ma opportunamente “straniere” Mi sono trasferito lì con una valigia piena di libri e di pochi vestiti, e la mia macchina da scrivere portatile. Inutile dire che non ero pronto per una tale ambiziosa carriera.

Babylon SistersNon ero prodigio come Chip Delany! Dopo un mezzo anno in cui non ero riuscito a scrivere nulla di consequenziale, sono tornato di nuovo a casa nel Rhode Island e mi sono iscritto al college. Dopo aver lasciato l’università, ho trovato un lavoro come programmatore. Dopo alcuni anni di questa vita, ho realizzato che dovevo perseguire il mio sogno di scrittore fino a quel momento sempre ritardato, era arrivato il momento dell’ ora o mai più. Questo avveniva nel 1982 (anche se non ho davvero iniziato a vendere fino a tre anni dopo). Ho lasciato il mio lavoro, mi sono immerso dentro, e non mi sono mai guardato indietro preso dai rimpianti da allora!

Sei nato nel Rhode Island e vivi a Providence, questo nella mente di molti fa nascere associazioni con Lovecraft, uno scrittore  sicuramente molto diverso da te, di cui però dimostri di apprezzare l’influenza e l’eredità letteraria. Cosa apprezzai in particolare della sua narrativa e quanto  (se Lo ha fatto ) ritieni ti abbia influenzato?

Ho scoperto gli scritti di HPL al liceo, perché all’epoca vennero ristampati in edizione brossurata da Ballantine, e li ho divorati tutti. Mi è piaciuto tutto, ma non pensavo di basare miei scritti su Lovecraft. Ho apprezzato anche molti altri generi e stili per pensare di concentrarmi su uno solo tra questi. Questo è un fondamento della mia carriera ancora ancora vero anche oggi! Quando ho cominciato  a visitare Providence e quando poi mi ci sono trasferito, ho iniziato ad assaporare le pietre di paragone fisiche della sua vita. Appena ho iniziato a scrivere professionalmente, ho così aggiunto piccoli riferimenti su HPL, all’interno di alcune delle mie storie ma non ho mai effettuato un omaggio in piena regola. Recentemente, in occasione della Necronomicon,  la meravigliosa convention locale, ho riletto molto del suo lavoro per la prima volta da decenni, e sono stato sorpreso di scoprire quanto bene avevano contenuto e accompagnato il mio entusiasmo adolescenziale. Forse sono finalmente pronto per la mia storia tributo a HPL!

Più in generale, quali sono stati gli scrittori che ti hanno maggiormente influenzato come lettore prima ancora che come scrittore ( sbaglio se dico che mi sembra di notare influenze di Ballard, Malzberg  e di Farmer?) e cosa ti ha avvicinato alla fantascienza e alla narrativa fantastica in generale?

*Quei tre scrittori che hai nominato mi hanno influenzato moltissimo. Permettimi di darti alcuni paragrafi che ho recentemente usato per iniziare una recensione di A. Bertram Chandler.

Nel 1985, all’età di trent’anni, ho deciso di aprire un database di tutti i libri che possedevo. Avevo appena intrapreso il mio sogno di diventare uno scrittore  professionista di fantascienza. Penso che forse quella transizione  avesse costituito un motivo inconscio per la valutazione e la catalogazione della mia biblioteca. Ma la ragione principale di cui ho ricordo era  che così potevo portare in giro una stampa dei libri in mio possesso quando andavo a fare acquisti in modo da evitare di comprare tanti duplicati maledetti di titoli dimenticati che possedevo, ma non avevo letto e che non ricordavo. A quel tempo, i miei libri, forse 2000 o giù di lì, furono infatti suddivisi sulle mensole in letti e da leggere. Non avevo un sofisticato software per l’indicizzazione,  1985, ricordi? -quindi Ho semplicemente iniziato prendendo i libri e digitando i loro dati in un file di word-processing, catalogando manualmente in ordine alfabetico autore per autore.

Per qualche motivo, ho deciso di fare due file separati: letti e non letti. Avrei potuto catalogare per titoli, ma non l’ho fatto.

Ora i numeri della mia biblioteca contano circa 14.000 libri, e io continuo a registrare i dati di ogni nuova voce.

Col senno di poi, sono felice di aver diviso le mie proprietà libresche in due categorie, perché uno di questi file rappresenta un’istantanea risalente al 1985 di tutto ciò che avevo acquistato e letto nel periodo intercorrente tra i miei circa dodici anni fino almeno ai trenta anni. La roba formativa, prima del tentativo di diventare un professionista. Vedo vaste fasce di Van Vogt, Ellison, Asimov, Moorcock, Philip K Dick, James Graham Ballard, Simak, Heinlein, Andre Norton, Poul Anderson, Gordon Dickson, Brian Aldiss, e tanti altri titani del settore, molti dei quali divorati da adolescente, quando il tempo di leggere sembrava infinito.*

Leggendo le tue opere si nota che una costante della tua narrativa è da un lato il profondo eclettismo (sei stato associato sia allo steampunk che al cyberpunk) dall’altro dal rifiuto costante dell’appartenenza ad un unico genere letterario: la tua fantascienza, la tua narrativa è un misto di diversi generi (ucronia; steampunk; cyberpunk; weird ….), che unisci con una robusta dose di satira,  di aspirazione all’utopia e di umorismo nero. E’ una ricostruzione sbagliata la mia?

Questo è molto vero. Io sono una”farfalla letteraria“, svolazzante da un fiore all’altro. semplicemente  adoro così tanti tipi diversi di fantascienza che non riesco a scegliere una qualsiasi singolo tipo.  Mi annoierei !

Ma penso che questo eclettismo preveda interessanti ibridi e fusioni. Dobbiamo mescolare i genomi letterari in modo da non sviluppare individui malaticci e prose deboli di mente a causa della consanguineità! Tuttavia, i lettori spesso adorano stereotipare un autore (o  un attore o un musicista o pittore o politico) e si aspettano solo la singola cosa coerente da loro, diventando delusi quando le aspettative non sono soddisfatte. Quindi forse ho sabotato la mia carriera, proprio quando avrei potuto essere il prossimo George RR Martin

Una seconda costante della tua produzione letterarie è quella delle raccolte tematiche . The Steampunk Trilogy  (1995) esplora l’epoca vittoriana; Neutrino Drag (2004)  la fantascienza umoristica; mentre invece Ribofunk (1996) è una variante del Cyberpunk basata sulla biologia; così come Strange Trades (2001) rappresenta una critica al capitalismo.  E’stata una tua scelta cosciente questa? E se si cosa ti affascina delle collezioni tematiche?

Sì, le miei prime raccolte di racconti  furono deliberatamente assemblate in maniera tematica. Quando ho trovato il mio primo editore specializzato in libri, Four Walls Eight Windows, mi sono ritrovato con un grosso arretrato di racconti non-ristampati che ho potuto utilizzare in questo modo. Forse perché non avevo prodotto molti romanzi, mi sono servite come opere semi-unificate che assomigliavano a un romanzo. Ma le mie nuovissime collezioni contengono campioni delle mie numerose voci, fuori dalla necessità, forse, dal momento che non lascio passare molto tempo tra le collezioni, nelle quali posso produrre un volume di valore con i pezzi tematicamente collegati.

Penso che una collezione tematica si distingua meglio nella memoria del lettore, e magari crei un impressione più forte e renda la lettura un’esperienza leggermente più divertente rispetto a una raccolta comunque meravigliosa ma disomogenea. Forse il mio mentore in questo campo è stato Harlan Ellison con  volumi come le Deathbird Stories

Una Terza costante è  l’uso che fai dei personaggi; in molti casi ti piace utilizzare come personaggi degli scrittori famosi (l’antologia Lost Pages del 1998) in altri casi impieghi personaggi creati da altri (come Solomon Kane nel racconto “Fenomeni Osservabili” nella raccolta L’Imperatore di Gondwana). Quanto ti affascina plasmare personaggi già esistiti o creati da altri?

Spero che il mio utilizzo di personaggi reali e personaggi di fantasia creato da altri trascenda la mera “fan fiction” e si avvicini al livello di un Alan Moore. Spero anche che non sia un modo pigro di prendere in prestito la magia creata da altri scrittori. Ma se la narrativa, soprattutto narrativa di genere – è davvero un grande dialogo culturale, come qualcuno ha ipotizzato, allora io sto semplicemente utilizzando le invenzioni di altri come piattaforme di lancio da cui partire per offrire le mie percezioni e valutazioni e pensieri su questioni inizialmente sollevate da tali eroi come ho fatto con Solomon Kane, e da figure pubbliche come ho fatto con Anna Frank, nella mia storia “Anne.”

Invece quando crei invece personaggi tuoi, si ha come l’impressione che tu ti diverta invece a maltrattarli. Per la seconda volta ti chiedo se è una ricostruzione sbagliata la mia?

Beh, l’essenza di ogni narrazione coinvolgente, il motore che guida le nostre storie più primordiali, sembra essere conflitto, difficoltà,  miseria e le sfide! Come ha detto recentemente Umberto Eco, “La narrativa dovrebbe parlare dei  perdenti!” Detto questo, penso che sia molto meno dura per i miei personaggi rispetto a quelli di molti altri scrittori. Prova ad immaginare a immaginare cosa debba essere vivere in un libro di Stephen King! Sono fondamentalmente una persona ottimista e  felice, così cerco di dare ai miei protagonisti un finale e un destino ottimista, anche se  prima di arrivarci devono passare attraverso l’inferno !

Torniamo ai tuoi inizi come scrittore: Nel 1985 vendi i tuoi primi racconti “Rescuing Andy”  a T.E.D Klein per la rivista Twilight Zone e “Stone Lives” ad Ed Ferman per Fantasy & Science Fiction . Ti chiedo quindi di tornare alla memoria a quei giorni e descriverci le sensazioni che hai provato quando hai visto i due racconti venduti e pubblicati.

Provai  immenso orgoglio e  gioia, e una stretta fragile sulle realtà editoriali. All’epoca  pensai che il mio cammino verso la fama e fortuna fosse ormai ben consolidato grazie a queste due storie molto ben accolte. Sicuramente i grandi editori mi  avrebbero buttare soldi a ceste. Ahimè, dopo 30 anni,, tendo a credere, di aver compiuto un sacco di lavoro prezioso, ma senza raggiungere una vera stabilità economica. Ma alla fine, chi se ne frega! Quei sogni giovanili rimangono la stella polare che mi guida !

Dieci anni dopo.  nel 1995 arriva ” La Trilogia Steampunk”. (Se non erro sei stato uno dei primi ad utilizzare la parola “steampunk” in un titolo, giusto?) Con questa tua opera hai contribuito a portare al successo il genere creato da Blaylock; Powers e K.W Jeter. All’epoca immaginavi che sarebbe diventato quel fenomeno di moda che è oggi? E più in generale cosa apprezzi e cosa non apprezzi nello steampunk?

Non avevo idea del futuro dello steampunk  quando ho impiegato il termine come parte del titolo, ed effettivamente, si tratta della prima volta che se ne faceva un tale uso. Essendo  io un appassionato di storia e di romanzi storici, ho solo pensato di essere davanti ad una nicchia più fruttifera  che  la fantascienza e fantasy  avrebbero potuto colonizzare. Ora, naturalmente, la prosa steampunk  è diventata la coda di un immenso cane fatto di cosplay, musica, fabbricanti di berretti, e arte visuale. Sono molto orgoglioso di aver fatto parte delle radici di questo fenomeno inarrestabile. L’età vittoriana continua a fare i miracoli e impartire lezioni a tutti noi.

Come dicevamo  però Sei stato  associato anche al cyberpunk, dal momento che il tuo racconto “Stone Lives” è apparso anche su Mirrorshades. A distanza di anni qual’è la tua opinione sul cyberpunk: è stata una rivoluzione ormai compiuta oppure il genere ha ancora qualcosa da dire?

Il Cyberpunk è stato uno dei movimenti più importanti e produttivi della fantascienza moderna, e sono orgoglioso di averne fatto parte. Io uso ancora le tecniche  e gli insegnamenti del cyberpunk nei miei scritti oggi, sia pure in forme più sofisticate. Il cyberpunk ha fatto un ottimo lavoro per comprendere e raffigurare il mondo in cui oggi viviamo. Tutti i successivi movimenti del settore da allora sono sembrati un po forzati, limitati e artificiali. Il cyberpunk potrebbe essere considerato  come l’ultima grande ed autentica, tendenza unificante della SF, dato che il settore è ora troppo frammentato perché una qualsiasi cosa possa comprenderlo e attraversarlo in tutte le sue parti.

Un ‘altra tua antologia molto importante è “Ribofunk”, uscita nel 1996 n cui dai la sensazione di distaccarti un po dalle atmosfere e dalle tematiche del cyberpunk. Possiamo dire che “Ribofunk” sia un po la tua risposta ad alcuni limiti o difetti della visione artistica del cyberpunk? E sopratutto ti va di parlare ai tuoi lettori italiani di come sono nati sia il termine che l’antologia?

Sì, nel bel mezzo del massimo splendore del cyberpunk, ho cominciato a notare che veniva posta troppa enfasi sul silicio, e non abbastanza sui sistemi organici. Ho messo insieme un manifesto di massima sul futuro dell’ingegneria genetica nella narrativa, che ho spedito in giro e che all’epoca è stato pubblicato in un paio di zines. Poi, dopo aver aperto la mia enorme boccaccia, ho dovuto creare alcune buone storie che potessero giustificare la mia ideologia programmatica! Ho scritto le storie a intervalli casuali senza grandi globali”archi narrativi“. Poi, quando ho avuto abbastanza materiale per un libro, io li ho raccolti. Uno o due racconti, pubblicati successivamente a quella raccolta, rimangono al di fuori del volume, e dovrebbero essere incorporati in una nuova edizione. In sostanza, il mio obiettivo era quello di mostrare come gli esseri umani e tutte le forme di vita organiche sono il più grande esempio di tecnologia che si possa immaginare, al di là di qualsiasi cosa meccanica.

Veniamo adesso ai tuoi romanzi . Una delle tue opere più popolari in Italia è il dittico della “Città Lineare“, in cui descrivi un mondo affascinante ma poco plausibile scientificamente. Quanto è importante per te il worldbuilding nella tua narrativa? E cosa conta di più per la riuscita di una buona storia: lo scenario, i worldbuilding, i personaggi o lo stile di scrittura?

Worldbuilding è qualcosa che solo i generi  della tipologia del fantastika (per usare un termine di John Clute) possono davvero fare bene. Uno scrittore mimetico potrebbe riuscire molto bene nella costruzione di un simulacro su pagina di New York o di Parigi o della corte di Enrico VIII, ma sarà solo un  trascrivere la realtà adattandola attraverso il suo occhio visionario e la sua sensibilità. Confina con il mero giornalismo. Ma nei generi di fantastika si possono inventare ogni nuovo mondo esotico che si possa immaginare. Detto questo, io mi schiero assieme con M. John Harrison, che ha sostenuto che il worldbuilding può diventare un feticcio, e ostacolare la narrazione. Quindi direi, i personaggi, lo stile e la prosa vengono per primi, il worldbuilding per secondo.

Nello scriverei tuoi romanzi applichi lo stesso processo e le stesse regole di scrittura che impieghi per i tuoi racconti? E dove trovi l’ispirazione per le tue storie?

Probabilmente tendo a delineare di più per le opere più lunghe. Ma il processo di scrittura giorno per giorno rimane la stesso. Provo a realizzare 500-1000 buone parole che non dovrò buttare via il giorno dopo, per far avanzare la storia secondo la mia visione. Per quanto riguarda l’ispirazione, la trovo dappertutto, dai libri e dalla vita al tempo stesso. Ad esempio, un giorno stavo camminando attraverso il campus della nostra locale Università, la  Brown University, e ho visto delle matricole alla giornata di orientamento sul prato a giocare al gioco del Twister, come parte dei riti ufficiali di accoglienza. Mi sono detto, “Ma questo è un asilo o un istituto superiore?”

In quel momento, ho ideato un romanzo per una storia alternativa in cui il mondo del 2015 sarebbe stato molto differente.

L’ispirazione è ovunque, basta rimanere di mentalità aperta, ed essere attenti e curiosi.

Recentemente hai dato il via ad una collaborazione con lo scrittore italiano Claudio Chillemi. Il primi due frutti di questa collaborazione , cioè i racconti”The Via Panisperna Boys in ‘Operation Harmony” è “The Horror at Gancio Rosso” sono stati pubblicati sia negli Usa che in Italia ( il primo sull’edizione americana e poi in quella italiana di F& SF ed il secondo  per la Acheron ) Sono molto incuriosito da questa collaborazione. Ci puoi raccontare com’è nata, come si è sviluppata, e qualche aneddoto sulla scelta dei protagonisti dei rispettivi racconti (Ettore Majorana e Joe Petrosino) ?

Sono stato molto fortunato ad essere invitato alla STICCON nel 2012, dove ho fatto la conoscenza di Claudio e di tanti altri meravigliosi amici italiani. Claudio ed io ci siamo trovati subito reciprocamente simpatici **, e quando poi lui ha suggerito che collaborassimo, ero ansioso di farlo. In entrambi i casi, Claudio ha fornito i personaggi e concetti originali, che io ho elaborato. Ad esempio, io conoscevo  Majorana, ma non sapevo nulla di Petrosino prima delle grandi idee di Claudio.

Ho aspettato fino a quasi la fine dell’intervista per porti questa domanda, visto che te la fanno abbastanza spesso :qual’è l’apporto o l’influenza delle  tue origini italiane all’interno delle storie che scrivi?

La mia eredità italiana è dunque questa: da parte di mia madre, i suoi nonni erano la generazione di immigrati. Da parte di mio padre, i suoi genitori erano i nuovi arrivati ​​negli Stati Uniti. Così non ho potuto mai conoscere la generazione del bisnonno, dal momento che se n’erano andati quando sono nato, ma ho conosciuto molto la cultura italiana tramite mio nonno paterno, con il quale abbiamo vissuto come una giovane famiglia. Ahimè, nessuna delle due parti ha mantenuto tutti i ricordi o le tradizioni orali delle nostre radici in Italia! Hanno subito voluto dimenticare per diventare dei “buoni americani“. Così ho dovuto raccogliere gran parte della mia conoscenza della cultura italiana da adulto. A parte le storie scritte con Claudio, non ho utilizzato le mie radici troppo nei miei romanzi.  Ma la mia storia, “The Mill” riflette il vero lavoro svolto dai miei antenati italiani  nella loro vita nelle fabbriche tessili del New England, un mestiere che ho praticato molto anche io durante le estati dei miei anni al college.

Ma non è mai troppo tardi per aggiungere nuove pietre di paragone culturali ai miei prossimi lavori!

Sei anche un ottimo critico letterario, in questa veste hai lavorato e lavori per diverse riviste americane ed inglesi ( IASFM; F &SF; Interzone) Quanto è  importante la critica letteraria per lo sviluppo della fantascienza come genere? E sopratutto  quanto è importante che a farla sia un critico che conosce il settore anche come scrittore?

Di Filippo:  Uno dei libri maggiormente fondamentali che abbia letto da adolescente è stato In Search of Wonder di Damon Knight. Fu allora che mi resi conto che l’analisi percettiva della letteratura che amavo avrebbe potuto contribuire a migliorarla. Poi, dopo Knight, ho scoperto i saggi di James Blish. Da allora ho dedicato buona parte del mio tempo e delle mie energie per cercare di portare avanti i loro progetti di critica della SF dal punto di vista di un insider innamorato che vuole solo vedere il genere migliorare sempre di più. Penso che tale lavoro sia essenziale per ogni reale progresso.

Secondo  molti critici la fantascienza sarebbe un genere ormai morto: tu cosa diresti a loro per convincerli del contrario? E più in generale che futuro e quali sfide attendono ancora la fantascienza?

La fantascienza è stato spinto verso la parte bassa delle vendite e del successo di pubblico a causa della popolarità di produzioni  fantasy, come i romanzi di George RR Martin. Ma rimane l’unica borsa degli strumenti che abbiamo per anticipare il futuro e per immaginare modi alternativi di vita che potrebbero un giorno effettivamente posti in essere. E’ un valore inestimabile ed anche divertente in un modo che la pura fantasy non può corrispondere, dal momento che il lettore può credere leggendo, “io o i miei figli un giorno potremmo abitare in un tale regno.” Però voi non potrete mai vivere nella Terra di Mezzo, mentre si potrebbe verificare la stessa situazione vissuta dall’eroe di The Martian.

Progetti futuri: a cosa stai lavorando adesso e cosa dobbiamo aspettarci da Paul Di Filippo nel prossimo futuro?

Devo completare diverse opere brevi entro la fine dell’anno, tra cui il mio primo racconto che coinvolge Sherlock Holmes. Poi, come esempio del mio comportamento “a farfalla“, potrei tentare  di scrivere un romanzo giallo, chiamato Big-Get Even. Qualcosa sulla falsariga di un libro di Donald Westlake, in parte divertente,in  parte serio.

Forse potrei anche metterci un eroe italo-americano!

Nicola Parisi

Note:

* High School: la nostra Scuola Superiore

**  In originale Paul utilizza la parola italiana ” simpatico”

Paul Di FilippoL’AUTORE

Paul Di Filippo (Rhode Island, 29 ottobre 1954) è un autore di fantascienza statunitense, conosciuto soprattutto per la sua ecletticità nel genere, che spazia dallo steampunk al cyberpunk. È inoltre un critico per quasi tutte le più grandi riviste del campo, come Asimov’s Science Fiction, The Magazine of Fantasy and Science Fiction,Science Fiction Eye, The New York Review of Science Fiction, Interzone e Nova Express.

Intervista di Nicola Parisi creatore e amministratore del blog Nocturnia

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