GLI ULTIMI GIORNI DELLA NUOVA PARIGI (2016) di China Miéville

1941. A Marsiglia, nel caos della guerra, l’ingegnere americano e appassionato di occulto Jack Parsons cerca di catturare e incanalare il potere immaginativo dei surrealisti, al fine di sconfiggere il Reich. Il suo esperimento cambierà il corso della guerra – e il volto della città – per sempre.
1950. Il surrealista Thibaut cammina per le vie di una nuova e allucinogena Parigi, dove i nazisti e la Resistenza sono intrappolati in un conflitto senza fine, e dove le strade sono infestate da immagini e testi viventi – e dalle forze dell’inferno. Per fuggire dalla città, Thibaut dovrà unire le forze con Sam, una fotografa americana intenta a documentare le atrocità del conflitto.

Titolo: Gli ultimi giorni della nuova Parigi | Titolo originale: The Last Days of New Paris | Autore: China Miéville | Anno di prima pubblicazione: 2016 | Prima edizione Italiana: Fanucci Editore (2020) 

Che tra surrealisti e nazisti non corresse buon sangue è una verità storica ampiamente conosciuta e assodata.

È celebre la frase “Quando sento la parola cultura, metto mano alla pistola”, anche se il più delle volte la si vede attribuita a Goebbels (in realtà il dibattito su chi l’abbia pronunciata è aperto: se la giocano Baldur von Schirach, Hermann Göring e Julius Streicher, tutta gente del partito; sembra però che abbia fatto la sua comparsa nel 1933 all’interno dell’opera teatrale Schlageter, scritta da Hanns Johst, anche lui allineato all’ideologia nazista). O la meno nota “Chiunque veda e dipinga un cielo verde e un pascolo azzurro, dovrebbe essere sterilizzato”, pronunciata da Adolf Hitler, nientemeno. Che tra l’altro fu un pittore fallito, in grado al massimo di dipingere stucchevoli paesaggi da cartolina.
Non tutti invece ricordano che tra le finalità del movimento surrealista c’erano la liberazione dell’inconscio, la liberazione dalle convenzioni sociali e dal “buonsenso”, termine divenuto così di moda nei discorsi di alcuni politici che quasi ci siamo dimenticati la sua assenza di significato.

Copertina di Vincent Chong (Edizione U.S.A. Subterranean Press)

Nel primo manifesto surrealista del 1924 “Breton esplicita “la volontà di rottura con ogni forma di realismo, di compostezza e di rigore razionale, […] rivendicando i diritti espressivi dell’inconscio” (1). Paul Éluard, che è forse la maggiore personalità del movimento, cerca di coniugare nella sua opera “i due principi di fondo del surrealismo: l’utopia estetica, cioè la fiducia nelle potenzialità liberatorie dell’arte, e l’utopia sociale, cioè la fiducia nell’impegno politico a favore di una completa giustizia tra gli uomini”. (2)
Tra i manifesti pubblicati da La révolution surréaliste spiccano quelli che denunciano le istituzioni coercitive (caserme, prigioni, chiese, asili, università, tribunali). Nel n. 2 (gennaio 1925) appare questa parola d’ordine:
“Aprite le prigioni – congedate l’esercito” (3)

Facile capire come queste istanze cozzassero con la visione del mondo dei nazionalsocialisti, e con quelle di altri totalitarismi, ad esempio lo stalinismo. Per questo motivo Miéville caratterizza gli artisti-combattenti di questo libro come contrari a ogni forma di ideologia troppo rigida, comprese quella della Chiesa; non reggono Stalin e vedono persino male De Gaulle (che rappresenta agli occhi del mondo la Francia libera, ma vorrebbe riportare la nazione a un ordine troppo convenzionale).

Torniamo alla realtà, alla nostra dimensione.
Alcuni surrealisti, chiamati da un’espressione di Rimbaud “Main à plume” (4) furono veramente impegnati a combattere attivamente contro l’invasione nazista della Francia.
Alcuni dei più famosi artisti del movimento erano in esilio, (André Breton, per esempio, negli U.S.A.), ma Paul Éluard e Luis Aragon parteciparono attivamente alla Resistenza (5); erano rimasti a Parigi anche Adolphe Acker, Robert Rius (segretario di Breton), Christine Boumester, Jean-François Chabrun, Marc Patin, Gérard de Sède, Noël Arnaud (6). Insieme produssero una rivista “e una ventina di opuscoli difficili ormai da trovare in edizione originale, perché pubblicati in non più di 250/300 esemplari, spesso stampati su carta scadente e ancor più spesso sequestrati o distrutti dalla polizia”. (7)

Non è dunque per puro gusto del Weird (o provocazione dadaista) che Miéville fa scontrare nazisti e surrealisti.

E che racconta di come in città nel 1941 sia scoppiata la bomba S.

Copertina di s.BENeš (Edizione Germania, Golkonda)

Esatto. Una bomba surrealista. Gli artisti dell’avanguardia parigina, coadiuvati da scienziati americani e occultisti vicini ad Aleister Crowley, avrebbero realizzato un ordigno in grado di modificare lo spaziotempo della città, di scambiare le coordinate del reale e del sogno.
Il primo effetto è stato questo: i quadri e i disegni dei migliori artisti hanno preso vita. Queste manifestazioni di arte vivente, a volte minacciose, a volte indifferenti, sempre incontrollabili, si chiamano manif.
Sono nate altre nuove impensabili possibilità. Da quando è scoppiata la bomba è possibile uccidere qualcuno declamando una poesia; nelle battaglie non c’è migliore protezione che indossare un pigiama da donna (all’occorrenza può conferire forza sovrumana o diventare impenetrabile come l’acciaio) e sparare a caso, confidando che i proiettili raggiungano il bersaglio di propria iniziativa.

I nazisti non si sono dati per vinti: dopo aver cercato di eliminare i manif (che il più delle volte ignorano i proiettili) hanno cercato di renderli schiavi (i surrealisti non si sognerebbero mai di asservire un’opera d’arte o di controllarla, al massimo cercano di diventarne amici), o di crearne di propri. Nel corso dei loro tentativi, per non farsi mancare niente, hanno aperto anche le porte dell’Inferno. Non sono solo opere d’arte a camminare per le strade cittadine o volare sui cieli, ma anche i demoni. Che a volte hanno obbiettivi diversi da quelli dell’esercito tedesco, e non di rado gli si ribellano.

La domanda è: come ha fatto China Mieville a non perdersi in questa matassa di idee e di simboli?

L’eccellenza dell’autore è provata dal fatto che non solo ha escogitato questa trama (destando l’invidia di ogni appassionato di surrealismo), ma ha anche dimostrato di saperla gestire senza che mai diventi caotica o eccessivamente ingarbugliata.
Nella straordinaria complessità dell’ambientazione i personaggi risultano credibili e sfaccettati; i loro dialoghi e movimenti non ricalcano gli stereotipi del genere spionistico o bellico, ma sfociano in sequenze e scene originali.
Il finale ci presenta un climax geniale e perfettamente coerente con l’impianto del romanzo. Difficile, molto difficile, fare di meglio.

Da notare anche il grande studio effettuato sulle fonti che è alla base di questo romanzo: l’autore non cita solo la giraffa in fiamme di Dalì, l’elefante Célèbes di Max Ernst e altre opere abbastanza conosciute dal grande pubblico, ma molti artisti e prodotti del surrealismo purtroppo caduti nell’oblio.
Chi nel 2020 ha in mente le illustrazioni di Max Ernst per “Una settimana di bontà”? Chi le sue “trappole arboree per aeroplani”? Chi conosce la storia del mazzo di carte marsigliese che riportava al posto dei tradizionali semi le Stelle Nere (i sogni), le Fiamme Rosse (amore e desiderio), le Serrature Nere (la conoscenza), le Ruote Rosse (la rivoluzione)? E il procedimento combinatorio per creare “cadaveri eccellenti”? I tavoli lupo di Victor Brauner? Chi ricorda Grace Palithorpe, Meret Oppenheim, Toyen (Marie Čermínová), Leonora Carrington, Dorothea Tanning, Simone Yoyotte, Dora Maar, Ithell Colquhoun e tante altre artiste?

Copertina di Claudia Carlsen (Edizione U.S.A. Del Rey)

“Gli ultimi giorni della nuova Parigi” è in definitiva un romanzo coinvolgente la cui lettura sarà gradita agli appassionati di surrealismo, e potrà fornire un ottimo approfondimento a quelli che desiderano saperne di più.

Unica pecca: la traduzione in italiano, che oltre ad essere arrivata con un certo ritardo (il libro è del 2016) risulta a volte legnosa e un po’ confusa, specie nei capitoli centrali.

Per finire c’è da notare una cosa: probabilmente nessun movimento artistico rispetto al surrealismo ha più diritto di essere citato in un romanzo weird o di fantascienza.

Tra i loro ispiratori, i surrealisti citarono sempre gli esponenti della narrativa fantastica, a partire dagli autori dei romanzi gotici.
E come poteva essere altrimenti? “Il vizio chiamato surrealismo” disse Luis Aragon “è l’uso sregolato e passionale di quello stupefacente che è l’immagine”. (8) Del tutto normale, dunque, che godessero delle immagini bizzarre, orride, soprendenti della letteratura di genere, e del sense of wonder che ne consegue.
“[…] era mia intenzione fare giustizia dell’odio del meraviglioso che imperversa in certi uomini, del ridicolo sotto il quale essi vogliono farlo cadere. Diciamo in modo netto: il meraviglioso è sempre bello, addirittura non c’è che il meraviglioso ad esser bello. In campo letterario soltanto il meraviglioso è capace di fecondare opere appartenenti a un genere inferiore come il romanzo (sic!) […]. Il Monaco di Lewis ne è un’ammirevole dimostrazione. […] Il nulla è impossibile a chi sa osare dà nel Monaco tutta la sua misura convincente. Le apparizioni vi svolgono un ruolo logico perché lo spirito critico non se ne impadronisce per contestarle” (9).

L’autore: China Tom Miéville

A parte lo sbrigativo giudizio sul genere del romanzo, i lettori di speculative fiction non potranno trovarsi in disaccordo.
E leggendo “Gli ultimi giorni della nuova Parigi” non mancheranno di emozionarsi, specie se hanno occhi e orecchie per vedere cosa li circonda.

Viviamo infatti in un periodo storico in cui le forze della reazione stanno rialzando la testa, e per fermarle occorrono forza, fantasia e precisi strumenti concettuali.
Nell’inconscio dell’umanità il ferro da stiro di Man Ray, la pipa di Magritte e l’Oggetto Fantasma di Toyen stanno ancora combattendo contro le armate del Reich; chi ha studiato un po’ la storia sa che il nazismo non è germogliato da una malvagità pura e inconcepibile, ma dalla gretta mentalità borghese, dal conformismo, dall’odio per il diverso, dalla repressione psicologica. Pulsioni e disvalori da cui prendere le distanze, da cui difendersi, anche oggi, anche qui.
Avere al proprio fianco un’opera d’arte vivente, un manif alto quattro metri, ammettiamolo, potrebbe aiutare.

Andrea Berneschi

Note:
(1) R. Luperini et al., La scrittura e l’interpretazione, 3, tomo III, Palumbo Editore, 2001, p. 74
(2) Ivi, p. 75
(3) Marcel Jean, Autobiografia del surrealismo, Editori Riuniti, Roma, 1983, p. 165
(4) Citazione da A. Rimbaud, Una stagione all’inferno: “La main à plume vaut la main à charrue”: “la mano da penna vale la mano da aratro”.
(5) R. Luperini et al., op. cit., p. 75
(6) “L’ARENGARIO – studio bibliografico” – Dott. Paolo e Bruno Tonini : https://www.arengario.it/controcultura/la-main-a-plume/
(7) Ibidem
(8) Luis Aragon, Le paysan de Paris, cit. in Marcel Raymond, Da Baudelaire al surrealismo, Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1948, p. 280
(9) Marcel Jean, op. cit., p. 150