Aspetti sociologici nella narrativa di Asimov

Gian Filippo Pizzoasimov-470-0509Isaak Judovič Ozimov meglio conosciuto come Isaac Asimov. Qualunque cosa si possa pensare della sua opera, non si può negarne l’importanza storica e il fatto che per molti anni sia stato l’autore di fantascienza più conosciuto al mondo. Ma poi, è proprio vero che la sua narrativa non abbia grande dignità? Sicuramente dal punto di vista delle idee non gli si può rimproverare niente ed anche l’aspetto sociale delle sue opere non è trascurabile.

Vediamo.

L’importanza di Asimov sta in buona parte nell’aver messo sempre l’uomo al centro del suo interesse di narratore.

La fantascienza è un genere narrativo difficile, che esige un certo impegno mentale. Questo impegno richiede una comprensione per il modus operandi della science fiction, una propensione per la speculazione filosofica, un’attenzione particolare per le «trovate» fantascientifiche.

La sf è, in altri termini, una letteratura di idee, e non avrebbe senso trovarvi altre ragioni che le idee stesse, per quanto non certo svincolate da quelle del mondo reale, che sono ben presenti anche se calate in un universo immaginato e iper-reale. Ove non si riesca ad apprezzare questo meccanismo, la fantascienza appare vuota, inutile, persino risibile (e molta sf, soprattutto cinematografica, lo è, perché predilige il puro meccanismo avventuroso piuttosto che i concetti). Per questo motivo, gli scrittori che più si son fatti conoscere presso il grosso pubblico sono quelli che possono vantare anche altre caratteristiche. Così Ray Bradbury è stato il primo scrittore di sf a diventare famoso al di fuori dell’ambiente e deve ciò all’aver anteposto alle idee (che non sono certo trascurabili) uno stile di scrittura molto letterario e un modo di raccontare vicino a quello della narrativa corrente. Ursula K. LeGuin ha fatto della politica (progressista) e di un uso della allegoria derivato dai contes philosophiques la sua arma vincente; così come Robert Sheckley si è invece servito di una satira portata all’estremo limite. Kurt Vonnegut poteva vantare la piena aderenza alla tradizione letteraria americana e l’appartenenza al mondo intellettuale di maggior spicco nella cultura statunitense; mentre Robert A. Heinlein mostrava una straordinaria abilità narrativa e un accurato uso di trame che ripropone in chiave futuribile i tipici «miti» americani (il rito di passaggio, il self-made-man, la frontiera, lo spirito di corpo, ecc.). James G. Ballard deve alla sua capacità di introspezione – con i suoi richiami che passano dalle teorie psicoanalitiche all’uso coerente di suggestioni derivate dalla pittura d’avanguardia – il suo successo. Arthur C. Clarke, infine – oltre alla fortuna derivatagli dal cinema («2001: odissea nello spazio») – deve la sua fama alla attività di scienziato e di divulgatore, che ha fatto rendere più accettabili le sue storie di fantascienza, considerate forse come versioni fantastiche delle sue tesi scientifiche.

Neanche-gli-dei-Isaac-Asimov1È significativo, infatti, che l’autore forse in assoluto più rappresentativo di tutta la sf, Philip K. Dick, per l’uso massiccio di stilemi tipici fantascientifici e nonostante l’ampiezza speculativa delle sue idee, abbia avuto riscontro per molto tempo solo nel mondo accademico. In questo quadro, la posizione di Asimov sembra abbastanza simile a quella di Clarke, e cioè dimostra di dovere molto alla sua attività scientifica.

Asimov ha sempre fatto un uso oculato delle idee fantascientifiche, rivolgendo semmai la sua attenzione all’uomo e alla sua società, nelle varie forme che questa può assumere. Nella pur vastissima produzione asimoviana non troviamo infatti racconti ambientati nel passato o in un universo parallelo (solo una volta, in «Neanche gli dei», usa, in un modo personalissimo, il concetto di parauniverso); non troviamo racconti di invasione né mostri spaziali e neanche o quasi alieni o extraterrestri (gli Spaziali di Asimov sono semplicemente i di­scendenti dei coloni terrestri); solo una volta ha usato il tema del viaggio nel tempo (in La fine dell’Eternità) ed anche in questo caso si tratta di una variazione originalissima; non troviamo impossibilità scientifiche come uomini invisibili, mostri antidiluviani, esseri deformi o schiere di mutanti genetici (l’ec­cezione, quella del «Mulo» in Fondazione, è accettabile perché statisticamente possibile); non c’è un uso smodato di poteri paranormali, e quel poco che c’è viene spiegato in modo plausibile (come il robot telepatico de «I robot dell’Alba», che viene costruito così, o come il solariano di«Fondazione e Terra», il quale è frutto di ventimila anni di ingegneria genetica).

Le deroghe a questo uso illuministico e positivista della narrativa sono ampia­mente giustificate. L’utilizzazione di astronavi gravitazionali e del concetto di iperspazio nel ciclo della«Fondazione» è dovuta a precise esigenze narrative: come sarebbe possibile altrimenti parlare di Impero Galattico e di migliaia di mondi colonizzati, tutti più o meno in comunicazione fra loro? L’ipotesi dell’uso generalizzato del computer e dei robot, caratteristica distintiva della narrativa asimoviana, mi pare invece ampiamente superata dalla realtà dei fatti; a prescindere dal fatto che lo stilema dell’essere meccanico è stato in pratica inventato da lui (il diritto di utilizzare l’idea bisogna pure concederglielo) e che Asimov stesso ha più volte messo in guardia contro un uso poco corretto della tecnologia, tanto che nella quadrilogia della «Fondazione» i robot non esistono più, mentre nel quinto romanzo «Fondazione e Terra» sono esseri quasi mitici, che ricompaiono in un episodio solo perché se ne possano mostrare i lati negativi.

Frank Kelly Freas depicts Isaac Asimov in space, 1978Per converso, quello che emerge in modo preponderante dalla narrativa di Asi­mov è un’estrema attenzione alla società umana, la consapevolezza che i differenti tipi di civiltà hanno delle precise motivazioni storiche economiche e culturali, anche se si trovano nel futuro remoto e nel lontanissimo spazio, e una attenta analisi dei fenomeni storici (questa caratteristica si ritrova anche nella divulgazione scientifica, dove il Nostro mette regolarmente in giusta luce i fatti storici che hanno portato al progresso scientifico), destinati a ripetersi nel corso del tempo, anche se possono trascorrere millenni, non per qualche tipo di disegno extraumano (=divino) ma per una caratteristica intrinseca della razza e perché da certe premesse ci si può attendere solo un certo tipo di risultato.

Non è certo un caso che l’idea del ciclo della «Fondazione» gli sia venuta dalla lettura del ponderoso saggio di Edward Gibbon «Ascesa e caduta dell’Impero Romano».

Asimov è, oltre che positivista per quanto attiene all’uso della scienza e della tecnologia, un illuminista che crede nella forza della ragione, un materialista storico anche se non in senso marxista (per quanto Asimov sia stato genericamente di sinistra, vale a dire progressista e liberale, lib-lab). Ecco quindi che in «Stelle come polvere» (o «Il tiranno dei mondi») riemerge come arma fondamentale per la libertà l’ormai dimenticata Costituzione degli Stati Uniti. Ecco l’importanza in «Fondazione» della scienza della psicostoria, che riduce a razionalità i movimenti delle masse sociali e rende possibile lo studio dei meccanismi storici. Ecco che lo scioglimento delle trame, la soluzione finale delle narrazioni, è di tipo razionale, mai mistico, mai immotivato (ma attenzione: mai arido). Asimov lascia ampio spazio alla psicologia ed all’intuito, come dimostrano i personaggi di Susan Calvin in «Io, Robot», l’extra-terrologo Urth in «La chiave e altri misteri», o Golan Trevize in «L’orlo della Fondazione» e in«Fondazione e Impero», i seguiti della «Trilogia Galattica», cioè il quarto e quinto libro della «Fondazione»). Così si spiega anche la passione per le storie a incastro, l’adozione di trame poliziesche, cioè il «modulo» più razionale che possa esistere per una storia (i racconti di «Tutti i miei robot» e del citato «La chiave», i fantagialli «Il sole nudo», «Abissi d’acciaio», «I robot dell’Alba» con il suo seguito «I robot e l’impero»). La storia tipica di Asimov, sia essa un grandioso ciclo o un breve raccontino, presenta quasi sempre la stessa situazione: una società, in genere ben descritta e convincente, alle prese con un problema – di tipo fisico o sociale poco importa; alla fine, grazie all’intervento di un personaggio dotato di maggiori capacità degli altri, il problema viene risolto e la società si riassesta su nuove e più forti basi: ma la vittoria è sempre sociale e il protagonista non è stato che un elemento catalizzatore, un deus ex machina.

E’ soprattutto nei racconti non legati a nessun ciclo e quindi non soggetti a stilemi precostituiti che Asimov manifesta il suo interesse per gli aspetti sociali. Ad esempio la critica a un uso smodato della tecnologia è presente in «Nove volte sette»e in «La macchina che vinse la guerra». Nel primo un operaio di un futuro nel quale si è persa la capacità di far di calcolo a causa dell’uso quotidiano di macchine riscopre l’aritmetica semplicemente smontando e analizzando i meccanismi delle calcolatrici (meccaniche), e poiché per giungere al risultato occorre scrivere le operazioni battezza la “nuova” scienza grafitica. Nel secondo due eserciti spaziali in guerra sono in stallo perché i rispettivi computer neutralizzano in anticipo le mosse dell’avversario, fin quando un ufficiale trova il modo di rompere l’equilibrio… semplicemente lanciando in aria una moneta. Il messaggio è chiaro: niente può sostituire l’inventiva umana.

8d4c766bb900f4d57fabf86f858ec558Ancora più pregnante il messaggio che arriva da «È una bellissima giornata»: qui un ragazzino invece di usare il teletrasporto per tornare a casa da scuola preferisce fare una passeggiata e passare per i giardini, a costo di venire rimproverato per il ritardo e per le scarpe sporche di terra. E con «Diritto di voto» il Nostro arriva anche alla critica politica, mostrandoci un futuro – tipicamente statunitense – in cui non è necessario far votare tutti gli aventi diritto per scegliere il Presidente: basta individuare un “uomo medio” e lasciare a lui la scelta. Tanto, dal punto di vista statistico, che si arrivi alla maggioranza interpellando tutti gli elettori o che si scelga un “campione” altamente rappresentativo (anche se in questo caso ridotto al massimo) non inficia il risultato finale.

Su molti altri racconti – fra cui «Il segregazionista»; «Chissà come si divertivano», sulla scuola; «Crumiro», sul problema dei rifiuti e dei lavori discriminati; e soprattutto «Notturno», con la sua descrizione di una civiltà particolarissima – si potrebbero fare discorsi simili, ma penso che gli esempi bastino.

Tutte queste caratteristiche – che probabilmente sono alla base del suo successo – possono fare tutto sommato passare in secondo piano i difetti di Asimov, che sono essenzialmente due. Primo, una certa sciattezza di stile, non freddo e distaccato ma ugualmente pedante e didascalico, senza immagini vivide e descrizioni evocative, che cede in modo particolare nei dialoghi, sovente banali, e che nelle ultime opere è aggravato da un’eccessiva verbosità. Secondo: scarsa capacità di introspezione dei suoi personaggi, che risultano quasi regolarmente immotivati, senza spessore psicologico, senza credibilità, veri burattini che agiscono solo in funzione della trama; direi che non è un caso se le psicologie meglio tratteggiate siano quelle dei robot…

Gian Filippo Pizzo

 

Articolo precedentemente pubblicato su il Blog di Daniele Barbieri & altr*

al link:  https://danielebarbieri.wordpress.com/2013/04/09/aspetti-sociologici-nella-narrativa-di-asimov/